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Sei in: MOTO - ITALIA GIAPPONE E RITORNO - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 50

ITALIA - GIAPPONE E RITORNO
3.6/31.7.2011 - km 33.876

Andata
10 11 12 13 14 15 16 17 18  
Corea
19 21 22 23 24 25 26 27 28  
Giappone
29 30 31 32 33 34 35 36 37 38

(Altaj: 49/51)

 
Ritorno
39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59
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Ringraziamenti
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22.7.2011 - venerdì - giorno 50
Altaj(passo Seminskij) (6.00) [+5]
Altaj(passo Seminskij) (18.43) [+5]
km 636
viaggio h 12.43, guida h 9.23

Gps Garmin
GPX
Google Earth

Fotoalbum del giorno

Mi sveglio prima dell’alba (che qui è alle 5.27), perché voglio partire presto.
Il programma oggi infatti è di arrivare al confine mongolo (o meglio un po’ prima, perché so già che ad un certo punto mi bloccheranno) e tornare indietro più o meno qui, in modo da rientrare con comodo domani a Novosibirsk, da Eugeniy.
La luce, come al solito, è importante, tanto più che sono in una valle tra le montagne, dove quindi il tramonto arriva anche prima.
Certo che quello che vedo dalla mia finestra non invoglia molto a partire: un cielo grigio e ancora un po’ di nebbia.
Tiro fuori la moto con qualche difficoltà (alcuni arrivati ieri sera avevano parcheggiato un paio di auto in modo tale da quasi bloccare la mia moto: ma si rendono conto che mezza tonnellata di moto non la puoi sollevare e spostare di lato come uno dei loro 125?!); retro e prima fino a che non esco da una situazione che mi aveva fatto un po’ preoccupare, anche perché, alle 6 del mattino, non è che posso svegliare l’albergo dicendo: c’è da spostare un’auto.
Una volta fuori, comunque, la situazione non è male: coperto ma non piove.


La scritta “innevata” dell’albergo mi ricorda che sono in una zona di montagna, dove la neve è rimasta fino a poco fa e tornerà presto.


Scendendo le scale, una grande cartina della Repubblica dell’Altaj (io sono nel punto che appare consumato, a sinistra, evidentemente toccato spesso dai clienti dell’albergo).


Davanti all’albergo noto due moto da fuori strada (trainate su due carrelli): qui certo di spazio per fare fuoristrada ce n’è in abbondanza.


Pochi metri ancora di salita


e arrivo al valico, a m 1.700 di quota. Qui è presente un obelisco, che ricorda la presenza russa in questa regione.


Non c’è molta gente in giro a quest’ora (le 6), anzi diciamo pure che è completamente deserto. “Ammiro” il campeggio, che non ha un aspetto molto invitante, con la minuscola baracca di legno che funge da bagno.


Temperatura 9°. Andiamo! Il meglio deve ancora arrivare!
Nubi basse nascondono in parte alla vista le montagne. Traffico quasi nullo.


La strada corre spesso accanto ai fiumi; ma gli animali non si limitano a fermarsi sulle loro sponde.


Tutte le foto le potete vedere nel link posto alla fine della giornata, qui ne seleziono solo alcune.


Edifici dalla forma tradizionale in costruzione.


Dopo essere scesa nella valle, la strada riprende a salire


e giungo a un punto panoramico; o meglio, a quello che dovrebbe esserlo, perché la visibilità è scarsa. Il passo Chike-Taman (m 1.270).


Le classiche strisce di preghiera buddista pendono dagli alberi.


Riprendo la strada, che ora scende nuovamente.


La strada è discreta e per fortuna generalmente non piove, ma devo prestare sempre attenzione, perché ogni tanto sono presenti sassi sull’asfalto.


Certo, non c’è il sole, ma non mi posso lamentare.
                                               

Noto un campeggio in magnifica posizione in un’ansa del fiume; sono presenti anche alcuni kayak che solcano le acque fluviali. Spero di potermi fermare qui stanotte (mi piacerebbe campeggiare anche nell’Altaj), ma dipenderà dall’ora in cui ripasserò da qui stasera (è l’unica strada): non posso permettermi di fermarmi troppo presto, rischiando quindi di non arrivare domani a Novosibirsk.
                                                                                 

Sempre verso sud, verso la Mongolia.
                                                                                 

Sempre verso sud, verso la Mongolia.
                                               

Temperatura sui 16°. Un altro valico sui m 1.000.
Incontro una coppia (marito e moglie) di tedeschi (su GS1200) che proviene dalla Mongolia. Mi confermano che sul versante mongolo degli Altaj la strada è peggio (niente asfalto e alcuni guadi).


Questo tratto del fiume è attrezzato con “porte” per la pratica del kayak.


Comincia a piovere, ma cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno: diciamo che la pioggia (e le nuvole basse) aggiunge fascino al luogo.


Cavalli liberi attraversano la strada.


Un furgone con uno strano carico sul tetto (forse lo usano per discendere il fiume).


Arrivo nel distretto di Kosh Agach, l’ultimo paese da me raggiungibile (Tashanta, al confine mongolo, è interdetta per chi non ha il visto per la Mongolia).


La valle si allarga,


ed arrivo alla grande piana deserta di Kosh Agach, il luogo abitato più arido della Russia. Sono a m 1.800 di quota.


Nel paese, il cartello mi ricorda che Tashanta (e quindi la Mongolia) dista km 51; so che non posso andare oltre (a momenti incontrerò un posto di blocco), ma voglio proseguire finchè è possibile.
Attraverso quindi Kosh Agach e punto ancora a sud, nella piana deserta.


Riprende a piovere ed ecco, inesorabile, il posto di blocco. Niente foto dei militari russi, ovviamente, quindi accontentatevi del cartello di preavviso di m 500.


Il posto di blocco è poco più di una baracca, sperduto in mezza alla piana deserta. Un posto a paragone del quale il deserto dei tartari sembra un luogo mondano.
Ovviamente mi vedono da lontano (non c’è nessuno e sono su un rettilineo infinito). Rallento. Il militare, mitra in spalla, fa alcuni passi avanti, fino a in mezzo la strada.
E poco più di un ragazzo, tratti chiaramente mongoli. Sorride. Alza appena la mano, ma non ce n’è bisogno, perché io mi sto già fermando. Saluto con l’internazionale segno della mano alzata, mostrando il palmo in segno di saluto. Il militare chiama l’ufficiale, un russo, che arriva presto. Sorride un po’ anche lui.
Spiego che lo so che non posso proseguire verso la Mongolia, perché non ho il visto; volevo solo arrivare fino a qui, per completare la mia visita nell’Altaj, prima di tornare a casa, in Italia.
Spiego forse è una parola grossa, perché l’inglese dell’ufficiale è molto scarso (quello del soldato inesistente). Alcune parole però le afferrano: Mongolia, Italia, Giappone. E comunque, come spesso nel viaggio, quello che non possono le parole, possono i gesti, i sorrisi, il linguaggio del corpo; e la cartina che ho in bella evidenza sullo scudo anteriore della moto. Vedo il loro occhi perdersi sulla carta, seguire con stupore l’itinerario, fino in Giappone e ritorno; scendo dalla moto e mostro loro il percorso, mimando le fasi del viaggio, dalla partenza (quasi due mesi fa) in Italia, fino alla Corea e poi il Giappone e il rientro attraverso la loro sterminata Russa, con la deviazione in Altaj.
Prendono nota anche del sito internet: chissà, forse nei prossimi giorni, da qualche remota località dell’Altaj, qualcuno guarderà le foto di un motociclista italiano in viaggio in Asia.
Ci salutiamo, con più calore di quando ci siamo incontrati; eseguo l’inversione di marcia e torno a nord.
Col posto di blocco alle spalle, diretto verso nord (Kosh Agach).


La strada sull’altopiano.


Nella piana noto diverse installazioni militari: ovviamente è vietato fotografarle, ma, se non se ne accorgono…


Mi fermo a mangiare a Kosh Agach. Un cartello mi avvisa che Novosibirsk è a km 887. Ho la mezza giornata di oggi, più tutta quella di domani per arrivarci: non c’è problema.
Esco da Kosh Agach sotto un cielo incerto, ma che volge al bello. E mi vien da pensare che, per essere il posto abitato più arido della Russia, di acqua ne ho presa abbastanza anche qui.


Il ritorno per fortuna avviene in gran parte sotto il sole, quindi sorbitevi pure queste foto, probabilmente migliori dell’andata.
Repubblica dell'Altaj: sulla via del ritorno verso nord.
                       

                       

                       

                                                                               

Ogni tanto gente in tenda.


Il punto panoramico di stamattina, ora più panoramico (col sole e senza la nebbia).
                                                                               

Un arcobaleno suggella la mia giornata nell'Altaj.


Sul passo Seminskij (m 1.700) trovo 13° e nebbia.
E' soprattutto la scarsa visibilità, che non so quanto potrà peggiorare più a nord e col calar del sole, che mi consiglia di fermarmi allo stesso albergo di stamattina, nonostante siano appena le 18.43. Ovviamente mi riconoscono.
Quasi 13 ore in giro nell'Altaj.

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