ITALIA - GIAPPONE E RITORNO
3.6/31.7.2011 - km 33.876
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27.6.2011 - lunedì - giorno 25
Muan (6.40) [+7]
Jirisan (16.15)[+7]
km 343
viaggio h 9.35, guida h 5.30
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Fotoalbum del giorno
Vedo una cosa nuova dalla finestra della mia camera d’albergo, qualcosa che finora non avevo mai visto in Corea: il sole! Già, oggi, quinto giorno in Corea, finalmente non piove!
E’ un sole velato, in mezzo a un cielo nuvoloso, ma comunque c’è.
Approfitto di una costante degli alberghi coreani: sono infatti presente in camera un erogatore di acqua calda (e fredda) e alcune dosi di caffè e the. Il the a colazione no, proprio non lo mando giù, ma un caffè, sia pure in bustina solubile, aiuta.
Uscendo dall’albergo, uno dei pochi con la doppia scritta motel-ideogrammi coreani, cerco di memorizzare la scritta in ideogrammi per facilitare la ricerca in questi ultimi giorni in Corea, ma è inutile, non ce la faccio.
Temperatura gradevole (22°) e via: oggi intendo raggiungere l’estremo sud della Corea e poi (ovviamente) cominciare la risalita della penisola.
Mi dirigo verso “Mokto”, con qualche problema a trovare la strada, a causa delle scarse indicazioni in inglese, della situazione stradale leggermente diversa rispetto alla cartografia in mio possesso e… dell’incomprensione con i locali. Infatti io chiedo ripetutamente “Mokto”, ma loro non capiscono. Sillabo bene il nome della città, ma niente. Ma come, la città è proprio qui davanti, come fanno a non capire?! Alla fine, dopo vari tentativi, mi rispondono “Moktò?” Come Moktò? Tutto questo per un accento?
Ma se voi nella vostra stranissima lingua gli accenti non li avete, nè li scrivete nella traduzione in inglese, come cavolo faccio io a saperlo? Metteteceli voi gli accenti, che ne posso sapere io?!
Comunque arrivo a Moktò e supero, con qualche difficoltà, la sua baia. Infatti dei due ponti disegnati sulla mia mappa (gps), uno non c’è e l’altro non lo trovo.
Esito un po’ davanti alla baia, cercando di capire da dove passare:
L’ampia escursione di marea lascia scoperte ampie superfici del fondo marino, favorendo lo sviluppo della pesca.
Infine trovo il ponte: è ancora in costruzione, ma si passa.
Procedo quindi sempre più a sud, verso dove la penisola coreana finisce. Le strade sono meno affollate che al nord, grazie a una minore densità abitativa.
La guida è abbastanza rilassata, anche perché finalmente oggi non piove; meno problemi del solito anche per evitare le autostrade, grazie ad una rete strada ordinaria finalmente razionale.
Una cosa che noto è che in Corea i semafori normalmente non sono prima degli incroci, ma in mezzo: quindi ci si deve fermare ben prima, altrimenti sono problemi.
Si susseguono colline, basse montagne, ampie valli. La Corea si dimostra ancora una volta un paese piacevole da attraversare, ben curato e per niente monotono. Le risaie sono frequenti.
Arrivo alla costa, molto frastagliata (una costante della costa sudoccidentale), anche con numerose isole e scogli.
Fa sempre più caldo, anche se non c’è il sole (ma fortunatamente non piove); notevole l’umidità.
Arrivo, infine, al piazzale dove finisce la strada. Da qui solo a piedi, per raggiungere l’estremo sud della penisola coreana, il “Land End”. Latitudine 34° 18' N (cartina presente sul piazzale):
Questo però non me lo perdo e, vincendo la mia naturale ritrosia a lasciare la moto e camminare, mi avvio lungo il sentiero; più forte della pigrizia è, infatti, il mio desiderio di raggiungere il “punto geografico”.
Il sentiero è bello, ben curato, immerso nel verde (cosa gradita quando esce il sole, perché fa davvero caldo), ma terribilmente in pendenza, che è superata con numerosi gradini. Ne conto circa 1.000!
A dir la verità, non sono sempre ripidi, né continui, ma comunque è una bella fatica, almeno per me.
Arrivo all'osservatorio, posto quasi all’estremità della boscosa penisola:
Ma, appunto, è “quasi” all’estremità e quindi non mi ritengo soddisfatto e, dopo aver preso fiato, decido di continuare, fino alla punta estrema.
Salgo sull'osservatorio, sperando in un bel panorama, ma la nebbia è fitta e quindi si vede poco.
Dopo aver notato che pure qui è diffusa l’usanza dei “lucchetti dell’amore”, che infestano certe aree (per la verità, solo quelle appositamente attrezzate),
mi avvio di nuovo lungo il sentiero, ancora più a sud. E’ sempre ben tenuto, ora tutto in legno, ma ancora più ripido.
Molto interessanti, a intervalli regolari lungo il sentiero, dei cartelli che illustrano tutte le regioni della Corea. E per tutte intendo proprio tutte, anche quelle della Corea del Nord, a ribadire il forte senso di unità dei coreani. Purtroppo i soliti problemi linguistici mi permettono di comprenderne solo le cartine, le foto e i numeri:
Bello il sentiero, spesso sospeso sulla scarpata e intagliato in modo tale da farci passare attraverso il tronchi degli alberi, a ribadire il profondo rispetto della natura dei coreani:
Infine arrivo al piazzale terminale. Oltre non si va. Qui finisce la Corea, finisce la terra, è il “Land End”: latitudine 37° 18' (scarsi).
Un’alta stele segna il luogo, la bandiera coreana svetta su un pennone e un terrazzino a forma di prua di nave si protende sull’oceano, nel punto esatto terminale.
Guardo a sud, verso l’oceano. Nuove mete mi attendono:
Il ritorno, in salita, non può essere più agevole dell’andata. Meglio muoversi.
Rientro al piazzale dove ho lasciato la moto, un po’ stanco. Mi riposerò guidando.
Risalgo la costa (ora è quello orientale), spesso avvolta nella nebbia, attraverso la quale, però, riesco ancora a intravedere il Land End, col faro sulla cima, e numerosi allevamenti ittici in mare:
L’ampia marea lascia scoperte ampie superfici della bassa costa frastagliata…
… davanti alla quale si estende una corona di isole.
In questa zona sono stati rinvenuti importanti resti dell’epoca dei dinosauri, come mi ricorda un’enorme disegno su una collina:
Ogni tanto alti viadotti di autostrade in costruzione testimoniano la vitalità di questo paese, piccolo ma fortemente industrializzato, nonostante restino ancora numerosi spazi agricoli.
Arrivo al parco nazionale Jirisan. E’ il più bello che percorro in moto da quando sono in Corea, anche perché oggi è il primo giorno in cui non piove e quindi posso gustare al meglio le sue ottime strade, su per le montagne.
Arrivo al valico (m 1.100); le nubi basse e la foschia nascondono un po’ il panorama:
Ma non piove e decido quindi che è il momento di campeggiare; non ne posso più di alberghi, voglio passare almeno una notte nella natura; sono in un parco nazionale, ci sarà un campeggio! Chiedo in giro, ma non è tanto semplice, Perfino delle guardie forestali non mi danno indicazioni chiare. Trovo infine una famiglia di escursionisti che mi dice dov’è un campeggio, qualche chilometro più avanti. Sono gentilissimi: mi regalano anche una bella cartina dettagliata per aiutarmi a trovarlo (la mano che indica è del coreano).
Ancora belle strade,
ruscelli impetuosi scavalcati da ponti pedonali
e arrivo al campeggio. Mi fermo all’ingresso, ma non c’è nessuno. Entro, mi guardo in giro, chiedo agli unici altri occupanti (due tende di coreani) e scopro che… non si paga. In Corea i campeggi sono gratuiti; e non si tratta di un prato e basta. No, c’è proprio tutto: bagni, acqua corrente, docce, comodi tavoli e panchine di legno, perfino la corrente elettrica in ogni piazzola. Tutto gratis e perfettamente tenuto.
Montata la tenda, mi preparo la cena. Oggi si mangia italiano!
Buon appetito!
Mi rilasso, al tramonto. Oggi è stata la giornata più bella del viaggio. Sono qui, tra le montagne, in mezzo a un parco nazionale della Corea, a 15.000 km da casa, la mia moto e la mia tenda accanto a me; sto consumando un pasto che mi sono appena preparato da solo; non piove e tra poco dormirò sotto un cielo stellato.
Pian piano, comincia a far buio. In campeggio la vita (per me) si svolge con la luce. Quando è buio si dorme; a letto presto, domani sarà un’altra bella giornata, spero. Anzi, ne sono convinto.
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