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Sei in: MOTO - MEDIO ORIENTE: LA TERRA PROIBITA - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 17
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MEDIO ORIENTE
La Terra Proibita

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17.3.2010 – mercoledì – giorno 17
Palmyra (SYR) (8.21) –
Apamea (SYR) (17.54)
km 284
viaggio h 9.33, guida h 4.07


Il castello, già ammirato ieri sera, fa da sfondo alla grande quantità di colonne presenti nel sito. In lontananza vedo la Valle delle Tombe; presso la zona archeologica, la verde oasi, racchiusa nei caratteristici muretti. Parcheggio la moto presso la biglietteria e, nell’attesa che apra, chiacchiero un po’ con un uomo del posto, guida “ufficiale” (sue parole) del Tempio di Bel.

Ma non ho bisogno della guida e così, acquistato il biglietto, comincio a visitare il sito da solo, immagino con un po’ di disappunto del siriano. Il Tempio di Bel è enorme; già quello che resta della facciata è imponente, con le alte e massicce mura. Un bel modellino, proprio all’ingresso, raffigura l’originaria struttura del santuario, con un grande recinto esterno, che delimita un ampio spazio vuoto, al cui interno è presente il tempio vero e proprio, la cella.

Uscito dal tempio, percorro con la moto i pochi metri fino all’inizio orientale della famosa Via Colonnata e la parcheggio di fronte all’Arco Trionfale, scenografico ingresso di questa magnifica strada. Un paio di beduini si avvicinano alla moto, incuriositi; li saluto. Con loro si avvicina anche un cammello, che si dimostra però meno interessato, guardando l’altro mezzo di trasporto con la sua tipica aria indifferente.

La Via Colonnata è forse l’elemento più famoso di Palmyra. Due file ininterrotte di colonne ai suoi lati (da cui il nome), per una lunghezza di quasi 1 km. Percorro (a piedi, qui la moto devo necessariamente lasciarla fuori) l’antica strada; ai suoi lati si affacciano quasi tutti i principali edifici della città: templi, teatro (molto bello e ben conservato, anche se un po’ ricostruito, soprattutto nelle gradinate), il curioso Tetrapilo (4 gruppi di 4 colonne), l’Agorà.

Percorsa tutta la Via Colonnata, torno all’Arco Trionfale e riprendo la moto, per raggiungere la Valle delle Tombe. È un luogo molto suggestivo: a breve distanza dall’antica città (dall’una è possibile vedere l’altra), una piccola valle cosparsa di strani edifici, alte torri che altro non sono, appunto, che tombe. Alcune isolate, altre in piccoli gruppi, sul fondo della valle o sul fianco delle colline; alcune in buono stato, altre visibilmente segnate dal tempo, altre ancora in rovina. Percorro con la moto, con qualche difficoltà, il sentiero che si snoda tra le tombe, assaporando il silenzio; infatti una delle cose che sto apprezzando di Palmyra è la scarsità di turisti (almeno in questa stagione e a quest’ora), dovuta probabilmente al calo del turismo in queste zone dopo gli attentati dell’11 settembre.

Giungo alla Torre di Elahbel, una delle tombe meglio conservate (e una delle poche visitabili). Dopo un po’ arriva il custode e posso visitarla.

Lascio Palmyra, dopo un’ultima occhiata all’antica città dalla strada che esce dalla Valle delle Tombe.

Entro ad Hama, dopo aver superato l’ennesima statua del Presidente Assad (padre), seguita dalla solita gigantografia del Presidente Assad (figlio), in perfetto stile nepotistico. Dirigo subito verso il centro e la zona delle grandi norie.

Le norie sono delle grandi ruote idrauliche di legno, poste sul fiume Oronte, che hanno la funzione di prelevare l’acqua del fiume, per irrigazione, superando il dislivello esistente tra la superficie del corso d’acqua e le sue rive. Costruite interamente in legno, sono imponenti, arrivando fino a 20 m di diametro.

Uscendo da Hama, non prendo la strada principale, che porta verso nord e la Turchia. Ho infatti previsto una deviazione verso Apamea. Dopo qualche chilometro, arrivo nella fertile piana di Al Ghab, ricca di ortaggi e altri prodotti agricoli, irrigata grazie al fiume Oronte che l’attraversa. Ogni tanto incrocio greggi che tornano all’ovile.
Eccomi ad Apamea. Attraverso la nuova cittadina e vedo il villaggio medioevale, alto sulla collina. Il sito archeologico non è molto ben segnalato, ma dopo un po’ lo trovo, con qualche incomprensione con la popolazione locale, perché il nome locale è “Afamia”. Apamea, fondata nel III secolo a.C. da Seleuco, un ex generale di Alessandro Magno, era  un importante centro commerciale. Conquistata dai romani, arrivò a contare 500.000 abitanti. Prosperò anche sotto i bizantini, declinò con la conquista islamica (Lonely Planet, Siria e Libano, 2008).

Il sole è ormai basso e mi affretto per arrivare al sito prima del tramonto. Risalgo la collina ed ecco che appaiono le numerose colonne del sito archeologico; costeggio le mura dell’antica città. Entrambe sono illuminate in pieno dalla bellissima luce del tramonto.

Ormai è troppo tardi per la visita, anche se sono molto contento di essere riuscito ad ammirarla alla luce del tramonto: tornerò qui domattina. Intanto, per guadagnare tempo, acquisto il biglietto d’ingresso al sito.

Ora però ho un altro problema: è sera e non ho un posto per dormire. La guida non riporta alcun albergo qui ad Apamea, né ho alcuna intenzione di tornare indietro ad Hama (dove ne troverei sicuramente, essendo una grande città).

Chiedendo, però, sembra che un abitante del villaggio possa ospitarmi a casa sua; parlano un po’ tra di loro, poi si fa avanti un siriano (Mustafà) che mi offre la sua ospitalità, per pochi euro. Ho di che cucinarmi il pasto, ma sembra che l’offerta (se ho capito bene, visto che lui non parla inglese e io non comprendo l’arabo) includa anche la cena. Mustafà mi fa cenno di seguirlo ed avvia il suo motorino, dal quale non è mai sceso durante il colloquio.

Parte quindi a razzo, attraversando velocemente le strade del paese, tanto velocemente che a volte ho qualche difficoltà a stargli dietro; noto anche il suo strano modo di sedere in sella, di fianco (all’amazzone): mi sembra un comportamento incosciente, per i rischi che correrebbe in caso di perdita d’equilibrio.

Arriviamo infine alla sua casa, scende dal motorino e qui scopro il motivo del suo strano modo di guidare: Mustafà cammina solo con le stampelle, la sua gamba destra è deforme, abnormemente piccola rispetto alla sinistra, praticamente inutile per la deambulazione. Mi rammarico di aver giudicato incosciente il suo modo di sedere in sella, quando invece è semplicemente l’unica possibilità, per lui, di guidare; tanto abile sul motore, tanto impacciato una volta sceso a terra: la moto come mezzo di libertà.

La casa di Mustafà è molto semplice: una grande stanza, senza alcuna pittura e nemmeno intonaco. Accanto una stanza simile (la casa del fratello) e un altro locale che serve da cucina. Il bagno è un piccolo stanzino, quasi all’aperto.

Ben presto arrivano i bambini, già richiamati e molto incuriositi dall’arrivo della moto, che ho parcheggiato proprio davanti alla porta. Difficile contarli; come mi informa Mustafà, circa metà sono suoi, l’altra metà del fratello. Sono dolcissimi, in particolare le bambine che mi guardano quasi come un extraterrestre, in silenzio, ripetendo solo (se interrogate) il loro nome; un po’ più vivaci i maschietti. Non mi mollano e siedono accanto a me, incuriositi da ogni cosa. È un piacevole diversivo questa serata a casa di un siriano, che mi fa comprendere come viva tanta parte della popolazione. Fa anche una fugace (e molto discreta) apparizione la moglie di Mustafà, che però torna subito in cucina, immagino per preparare la cena.

Arriva l’ora della cena e quindi osservo il comportamento del capofamiglia, per adeguarmi. I vassoi col cibo sono posti direttamente per terra, sui tappeti; non ci sono piatti, né posate. Unica “salvezza”, il tipico pane arabo, che, oltre ad essere ottimo, si presta molto bene a surrogare i piatti, le posate e anche i tovaglioli, con la sua ampia superficie e l’essere così sottile e morbido. Mustafà allunga una mano e prende il primo boccone; lo seguo. Osservo intanto i bambini, che guardano in silenzio, senza avvicinarsi al cibo. Sono un po’ sorpreso, ma immagino che abbiano già mangiato; forse la madre ha già provveduto a loro e i “grandi” cenano dopo. Continuiamo quindi a mangiare solo noi due (io e Mustafà); la moglie, una volta portato il cibo, torna in cucina e non si fa più vedere. La cena è costituita soprattutto di frittata (saporita), qualche verdura (non le riconosco, ma comunque buone, ricordo che questa è una zona agricola piuttosto ricca), intingoli vari, yogurt (che non tocco, poiché è un cibo che non mi piace) e il già citato pane. Mustafà sembra aver preso l’ultimo boccone e si ritrae; mi fermo quindi anch’io. Il cibo è avanzato, mi sembrava infatti eccessivo per due persone. A questo punto, l’imprevisto: i bambini cominciano a mangiare! Sono sorpreso. I bambini non hanno toccato cibo fino a che non hanno terminato gli adulti!

Inconcepibile per la nostra mentalità, in cui, se mai, si dà la precedenza ai bambini. E non credo proprio che questo comportamento sia dovuto alla mia presenza; infatti Mustafà non ha dovuto dare nessun segnale, né prima per fermarli, né dopo per indicare loro di cominciare a mangiare; si vede che sono abituati così.

In pochi minuti i bambini spazzolano praticamente tutto. Finita la cena, sempre senza che Mustafà faccia alcun segno, i bambini, dopo il cibo, spazzolano anche… per terra, togliendo i residui di cibo dai tappeti. Arriva poi la moglie che completa l’opera di pulizia e riprende i vassoi. Usi locali.

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