MEDIO ORIENTE
La Terra Proibita
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13.3.2010 – sabato – giorno 13
Pella (HKJ) (7.32) –
Betlemme (PS) (21.00)
km 474
viaggio h 13.28, guida h 7.17 |
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Frontiera giordana. I doganieri mi riconoscono e mi salutano, ma questa volta i controlli non sono veloci come ieri sera. Forse perché ieri era quasi l’ora di chiusura e quindi avevano fretta di chiudere e tornare a casa; oggi invece sono all’inizio della giornata e hanno davanti tante ore a disposizione. Il che conferma la mia teoria che l’ora migliore per passare era quella di ieri sera, se solo fossi arrivato un po’ prima al confine israeliano. Comunque il tutto mi sembra un po’ ridicolo; mi hanno già controllato ieri sera, sono le stesse persone di ieri, è passata solo una notte, nella quale è difficile che la situazione sia cambiata: che mi ricontrollano a fare?
Pago per la terza volta il balzello di 20 dinari e continuo con le procedure di frontiera. Solo alle 8.48 esco dalla dogana e imbocco, per la terza volta in 12 ore, il ponte sul fiume Giordano.
E adesso sotto con gli israeliani!
6. ISRAELE E TERRITORI PALESTINESI
Il soldato di guardia è lo stesso di ieri sera: lo saluto; ricambia. Solita trafila: la ragazza però è diversa, anche questa bionda e molto giovane. Sorride un po’ di più. Parcheggio la moto al solito posto, consegno il solito foglietto trilingue con la richiesta di non timbrare il mio passaporto e aspetto. Dopo un po’ arriva un militare, un ragazzo (vent’anni o meno anche lui), col solito mitra a tracolla, e comincia a interrogarmi: perché vieni in Israele, qualcuno ti ha consegnato qualcosa da portare, hai armi? Mi ricordo del pugnale acquistato in Giordania: qui non c’è da scherzare; anche se è ben imballato e nascosto sul fondo di un baule, con la quasi certa attenta perquisizione che avverrà, è probabile che lo trovino ed è meglio non rischiare complicazioni. Avviso quindi che ho un “souvenir of Jordan” e glielo mostro; il militare capisce, lo prende in consegna e mi avvisa che me lo restituirà all’uscita dalla dogana.
Dopo il primo controllo, mi chiedono di spostare la moto in un’altra zona della dogana. Non c’è molta gente di passaggio; qualche arabo, giordani presumo. Non vedo nessun occidentale. Qui cominciano i controlli più approfonditi; parcheggio la moto e scarico tutti i bagagli: ogni oggetto è controllato al metal detector. Qualche altra domanda e poi consegno tutti i documenti, personali e della moto.
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Dopo un po’ mi chiedono di spostare la moto: devo consegnarla ad un militare che la porterà in un locale vicino, presumo per una ispezione approfondita. Sono perplesso; mai in vita mia ho dovuto consegnare la moto a un doganiere. D’altra parte mi rendo conto che qui i controlli sono una cosa seria, non una semplice formalità, abbinata ad una gran perdita di tempo e qualche balzello da pagare, come in tanti paesi, anche di questo viaggio.
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Affronto quindi le ultime formalità. Fin dall’inizio ho presentato ai militari israeliani (come ho fatto ieri) il famoso foglietto trilingue con la richiesta di non timbrare il mio passaporto; questo documento però è ancora nelle loro mani, per gli ultimi controlli. Un militare mi chiama e mi comunica che, per motivi di polizia, deve apporre un timbro sul mio passaporto, che riporti i dati della moto, altrimenti sarei non in regola per la polizia israeliana; in ogni caso, o accetto il timbro o non entro in Israele.
Sono sorpreso e preoccupato; chiedo al militare se può apporre il timbro su un foglietto a parte, come sta facendo per il timbro “principale” che attesta il mio ingresso in Israele. Ma è irremovibile: il timbro deve essere sul passaporto, altrimenti la moto non può entrare. Ho un attimo di incertezza; le informazioni che avevo erano parzialmente diverse, ma mi rendo conto che, se non accetto, davvero salta tutto e in Israele non posso entrare.
Il timbro, comunque, come mi mostra il militare, è anonimo,in inglese, senza segni che lo possano collegare ad Israele. A guardarlo così, in effetti, sembra non pericoloso, ma non posso sapere il grado di conoscenza della “situazione” da parte dei siriani; lo noteranno? E, se lo noteranno, avranno dei sospetti? Lo collegheranno, comunque, ad Israele, visto che non è riconducibile a nessun altro paese? E poi riporta la data di oggi, il che potrebbe essere pericoloso per i controlli siriani.
Accetto: “metti pure il timbro, se è necessario”. Speriamo bene!
Sono le 11.19: due ore e mezzo di controlli; ho il via libera, posso andare. Raggiungo la strada principale, distante pochi chilometri, e mi dirigo verso nord, verso il lago di Tiberiade, risalendo la valle del Giordano, alla mia destra. Supero il Giordano, nell’unico tratto interamente in territorio israeliano a valle del lago di Tiberiade; sono ancora sotto il livello del mare, nonostante la strada continui a salire: anche qui il fiume è poco più di un ruscello, dalle rive abbondantemente cementificate.
E infine eccolo, il lago di Tiberiade, detto anche Mare di Galilea, scenario di tanti episodi della vita di Gesù.
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Percorro la costa orientale del lago di Tiberiade, esattamente la sottile striscia di territorio israeliano, stretta tra il lago e il confine con la Siria; o meglio, il vecchio confine con la Siria, perché il Golan fu conquistato da Israele nella guerra dei Sei Giorni del 1967; brevemente ripreso dai siriani nella guerra dello Yom Kippur del 1973, Israele lo riconquistò subito, respingendo i Siriani ben oltre l’attuale confine. Fu poi annesso da Israele nel 1981 (come Gerusalemme Est, annessa l’anno prima) e quindi adesso è ufficialmente territorio israeliano, checchè ne dicano gli arabi. La temperatura sale dai 20° di inizio giornata fino a 30.
Dopo pochi chilometri (qui le distanze sono minime), supero il vecchio confine ed entro nel Golan occupato. Il Golan e la Galilea settentrionale sono la zona più verde di Israele. Numerosi parchi naturali, laghetti e ruscelli (soprattutto in questa stagione di fine inverno/inizio primavera); è quindi meta di molti escursionisti israeliani.
Lascio la litoranea e imbocco la strada che sale, decisa, verso l’altopiano. Il Golan infatti è a una quota ben maggiore rispetto al lago di Tiberiade (che è a -207 m), culminando a 2.224 m presso il monte Hermon (limite della zona occupata da Israele; la cima del monte Hermon, al confine tra Siria e Libano, è a 2.814
m).
La strada presenta un paio di tornanti; dopo il primo sono già tornato al livello del mare e dopo 10 km, a quota 370, raggiungo la strada che costeggia la linea di confine. Quella che è a breve distanza (da 4 km a 100 m) alla mia destra è, in effetti, la linea di cessate il fuoco israeliana del 1974. Oltre questa linea c’è una sottile zona cuscinetto, presidiata da un migliaio di soldati delle Nazioni Unite (UNDOF), e quindi la linea di cessate il fuoco siriana.
Percorro l’altopiano, battuto dal vento. Ogni tanto incontro resti di fortificazioni e fabbricati diroccati, segnati dai bombardamenti, qualche carro armato abbandonato dall’ultima guerra, intorno al quale pascola tranquillo il bestiame. Tutte le strade e i sentieri che si dirigono verso destra (est e la Siria) sono chiaramente segnalati come zona inaccessibile senza speciale per
messo… e non mi arrischio certo a percorrerli.
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Arrivo al punto panoramico di Quneitra. Da qui posso vedere distintamente la zona demilitarizzata controllata dalle truppe dell’ONU. All’interno di tale zona, osservo la città di Quneitra, distrutta dall’esercito israeliano durante la guerra dei Sei Giorni del 1967; era la principale città del Golan. Dopo la fine della guerra dello Yom Kippur del 1973, il valico è rimasto chiuso, attraversato solo dalle donne siriane andate in sposa a uomini drusi (o viceversa) e da studenti drusi che andavano a studiare a Damasco.
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Questo è un punto simbolico, luogo di cruente battaglie alcuni anni fa; ma, come spesso accade, il turismo e l’economia hanno la meglio e il posto, visto il costante afflusso di turisti e curiosi, attratti dal panorama sulla “nemica” Siria, è diventato sede di numerosi venditori ambulanti. Si tratta soprattutto di drusi, la comunità religiosa presente in questi territori, divisa tra Golan israeliano, Siria e Libano. Vendono soprattutto frutta e altri prodotti di questa terra; noto degli invitanti barattoli di miele, prodotti in loco. Buona occasione per uno spuntino e per portare a casa qualcosa di tipico che sarà sicuramente apprezzato da mia moglie.
Il venditore druso è gentilissimo e molto simpatico; taglia subito un pezzo di mela e mi invita ad assaggiare il miele; è dolcissimo e lo spuntino è molto gradito. Penso a questa comunità; vissuta in questa zona da secoli, divisa dalla politica e dalla guerra fra tre Stati, di cui due in guerra tra loro, obbligati a prestare servizio militare in due eserciti tra loro contrapposti, col rischio (per niente teorico) di dover puntare le armi sui propri correligionari d’oltre confine. Una comunità così piccola (circa 350.000 in tutto), eppure così divisa. Osservo il druso: piccolo copricapo bianco, lunghi e folti baffi, pelle abbronzata dal sole, coltello in mano per tagliare la frutta ai clienti, sguardo all’apparenza sereno. Non guarda mai verso il confine, verso la Siria, dove probabilmente risiedono alcuni suoi parenti; non guarda, ma è difficile che non ci pensi.
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Arrivo a Majdal Shams, una delle due città druse della regione, posta a 1.100 m. Al centro di una piazza svetta possente la statua di un gruppo di uomini a cavallo: è dedicata al sultano El-Atrash, il druso che nel 1925 guidò una rivolta antifrancese (la Siria era sotto amministrazione francese).
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Mi dirigo quindi verso il monte Hermon. La strada sale decisa; finalmente anche un po’ di bel guidare. È quasi deserta: in questa stagione credo che gli sciatori non siano più presenti; già, perché questo è l’unico punto di Israele in cui si può sciare, almeno d’inverno. Sullo sfondo vedo ancora neve e i classici pali a bordo strada mi fanno capire che qui, in pieno inverno, la neve può essere anche molto alta.
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Ritorno a Majdal Shams e, mentre mi aggiro per la cittadina alla ricerca della Shouting Hill, avvisto un motociclista. Questo non me lo faccio scappare e richiamo la sua attenzione. Lui torna indietro e gli chiedo dove si trova la Shouting Hill; mi fa strada e mi ci porta. La Shouting Hill (Collina delle grida) è un luogo particolare, forse unico. È una strada senza uscita di Majdal Shams, che termina proprio di fronte al muro di confine, che delimita la zona smilitarizzata controllata dall’ONU; subito oltre tale zona (qui molto stretta) c’è la Siria. Torrette di avvistamento e filo spinato lungo entrambi i lati del confine. La particolarità del luogo è che proprio qui, ogni venerdì, molti drusi comunicano con i familiari d’oltre frontiera (dai quali sono stati separati dalla guerra), gridando. Luogo simbolo di una guerra che spezza anche le famiglie; uno dei muri rimasti nel mondo, costruito più dall’odio e dall’intolleranza che dal cemento. Chiacchiero qualche minuto col motociclista israeliano. Lui è sorridente nella foto che ci scattiamo in questo posto, accanto alla sua moto supersportiva: chissà se anche lui è un druso, se anche lui ha dei familiari che abitano pochi metri più in là, da cui è diviso dalla guerra e che ormai difficilmente può rivedere.
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Praterie e vigneti mi accompagnano fino al lago di Tiberiade, vicino al monte delle Beatitudini.
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Poco più avanti, vicino al lago, il santuario della moltiplicazione dei pani e dei pesci:
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Dirigo verso Nazaret, anche se ormai il sole è basso e temo di non fare in tempo a raggiungerla prima del tramonto. Sono le 17.40 quando parcheggio la moto proprio di fronte alla Basilica dell’Annunciazione.
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Molto bello l’interno del tetto.
Nazaret è la più grande città araba di Israele, con una forte presenza cristiana; è il principale centro abitato della Galilea (64.000 ab.), nota soprattutto per essere la città di Maria e Giuseppe, dove Gesù trascorse l’infanzia.
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Dirigo quindi verso Gerusalemme.
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Le luci della Città Santa rischiarano la notte, ma la mia meta oggi è la vicina Betlemme, pochi chilometri a sud. Ho deciso infatti di pernottare lì; immagino di trovare più facilmente una sistemazione non cara nella cittadina della Palestina che nella capitale d’Israele. Non è però possibile raggiungere Betlemme senza passare da Gerusalemme, quindi devo affrontare il traffico della grande città.
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Trovato la strada per Betlemme esco da Gerusalemme e arrivo al confine. E, prima ancora di arrivarci, lo vedo: il muro. Il muro che tante polemiche ha creato, che separa i Territori Palestinesi da Israele; è il segno tangibile di quanto siano distanti questi due mondi; il segno dell’ostilità, delle incomprensioni, del fallimento di tanti sforzi fatti per trovare un accordo o almeno una convivenza pacifica.
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Il secco richiamo del soldato israeliano, col solito mitra al braccio, mi distoglie dalle mie riflessioni, richiamandomi alla realtà; stavo per sbagliare strada: il varco è qui, da qui devo passare per i controlli di confine.
Un confine strano, per la verità, perché è sorvegliato solo da una delle due “entità” (Israele e Autorità Nazionale Palestinese): gli israeliani. Solo militari israeliani infatti sono presenti e solo loro controllano i miei documenti. Gli accordi tra Israele e ANP hanno infatti concesso una limitata autonomia interna ai palestinesi, ma i confini sono competenza esclusiva di Israele
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Trovo un albergo vicino alla Basilica della Natività.
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