MEDIO ORIENTE
La Terra Proibita
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5.3.2010 – venerdì – giorno 5
Idlib (SYR) (6.14) –
Aqaba (HKJ) (19.03)
km 863
viaggio h 12.49, guida h 8.24 |
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Solita partenza poco dopo l’alba e raggiungo in breve l’autostrada.
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Supero alcune moto; l’abbigliamento è poco “tecnico”. Di caschi manco a parlarne: la testa è a volte “protetta” dal classico copricapo arabo, il kaffiyeh, o da qualcosa del genere. Ai piedi spesso semplici sandali o poco più. In mezzo, normali pantaloni e camicia, oppure una lunga tunica.
Quasi tutti salutano: lo “strano”, per loro, sono io.
La temperatura è decisamente più alta rispetto alle montagne della Turchia, ancora però non fa caldo; è un clima perfetto per andare in moto. Ogni tanto nuvoloso, spesso c’è il sole.
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Sono alle pendici delle montagne dell’Antilibano, una delle due catene montuose che attraversano quel paese. Penso che, appena dietro quei rilievi, proprio tra i monti del Libano e dell’Antilibano, c’è la valle della Bekaa e territori molto “chiacchierati”, sedi di campi di addestramento di estremisti islamici. Ci passerò al ritorno. Anche qui, tra le montagne, ogni tanto sono presenti statue del presidente Assad; a volte del padre, altre del figlio, segno di un culto della personalità che è poco cambiato nel passaggio
generazionale del capo dello Stato. Arrivo al valico, in un paesaggio quasi desertico, a 1.500 m. C’è ancora neve sui monti, verso il Libano.
Comincia la discesa verso la capitale siriana, Damasco.
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L’attraversamento del confine, lungo l’autostrada, richiede 42’ per uscire dalla Siria e 54’ per entrare in Giordania. Piccola tassa in uscita dalla Siria e una simile in entrata in Giordania, più un’assicurazione temporanea per la moto. Tutti gentili, anche se il posto di confine non è certo il massimo dell’efficienza.
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Nessuna mancia.
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A partire dalla Giordania, fa decisamente caldo; la temperatura aumenta fino a 30 gradi: ormai, dopo il breve periodo di transizione della Siria, ho il problema opposto della Turchia.
Dopo Amman, comincia l’“Autostrada del deserto”. Si tratta di una strada alternativa al classico itinerario che collega Amman ad Aqaba passando dai luoghi più interessanti (e più abitati) della Giordania (la Strada dei Re). È molto comoda perché è molto più veloce, corre quasi interamente in una zona disabitata ed è poco trafficata. Anche questa strada, però, ha un suo fascino: è bello, infatti, percorrerla, nella solitudine e tranquillità del deserto.
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Mi rendo conto che il tramonto arriverà prima di raggiungere Aqaba, ma ormai sono abbastanza vicino e decido quindi di proseguire: voglio arrivare ad Aqaba stasera. Non ci sono comunque problemi nel deserto di notte, la strada è buona e quindi continuo tranquillo. La via piega a sud-ovest. Il deserto mi regala un magnifico tramonto, infuocando il cielo davanti a me.
La strada sale: ci sono delle montagne prima di arrivare al mare e ad Aqaba; giungo al valico (m 1.500, il secondo della giornata e alla stessa quota di quello in Siria) quando ormai è quasi buio e comincio la discesa verso Aqaba. Il dislivello è notevole e in pochi chilometri sono al livello del mare. Arrivo comunque ad Aqaba che è buio pesto. Ce l’ho fatta, ho raggiunto il Mar Rosso!
Il porto di Akaba godeva di una così forte posizione naturale che si poteva prenderlo soltanto da terra, di sorpresa… partimmo insieme per la lunga marcia… Ingannammo i Turchi e, con il favore della fortuna, entrammo in Akaba.
(T. E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza, Bompiani, 2008, pag. 263 – The Seven Pillars of Wisdom, Arnold Walter Lawrence Esq., 1926).
Poi attraverso un uragano di sabbia, corremmo giù ad Akaba, a quattro miglia di distanza, e ci tuffammo in mare. (cit., pag. 368)
[Thomas Edward Lawrence (1888-1935) negli ultimi anni della sua vita guidava veloci motociclette; morì in un incidente di moto.]
Il primo problema è trovare il porto, o meglio, il punto di imbarco all’interno del porto. Le indicazioni, infatti, sono pari alla mia conoscenza dell’arabo: zero. Ma, per fortuna, prima di partire ho memorizzato sul gps alcuni punti importanti del viaggio; in particolare il punto esatto dell’imbarco mi è stato fornito da un amico motociclista, che è passato da qui 6 mesi fa (grazie Naga!).
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Arrivo infine a quello che sembra un ufficio di imbarco; c’è una gran confusione, con gente accampata per terra, alcuni che mangiano, altri dormono. Sono quasi tutti arabi. Mi faccio strada tra i corpi, prima con la moto, poi a piedi. Potete immaginare l’effetto che fa l’arrivo della mia moto, con le luci accese, in quel posto. È in questi momenti che, a volte, per un attimo preferirei avere una moto un po’ meno appariscente; non che mi senta a disagio, ma, per motivi di sicurezza, sarebbe meglio non dare troppo nell’occhio in certe circostanze.
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Riprendo la moto e mi sposto di un centinaio di metri, fino a raggiungere il vero ingresso carraio al piazzale d’imbarco. È presidiato da soldati che non hanno le idee molto chiare sugli orari del traghetto. Credo che, in effetti, nessuno sappia esattamente quando partirà il traghetto per Nuweiba.
Comunque, sembra che il traghetto parta tutte le mattine tranne il sabato: e domani è proprio sabato! Per fortuna pare che ci sia un altro traghetto (quello che la guida definisce lento, perché impiega 3 ore invece di una), a mezzanotte. Il cancello è ancora chiuso, ma dopo un po’ di attesa si apre e finalmente raggiungo il piazzale.
Eccomi finalmente nell’edificio degli uffici dei traghetti; faccio il biglietto (si paga solo in dollari). Anche il bigliettaio è piuttosto vago sull’orario di partenza del traghetto: formalmente mezzanotte, ma, mi fa capire, può partire anche diverse ore dopo. Sbrigo le formalità doganali di uscita dalla Giordania e torno nel piazzale.
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Dopo una serie di rinvii, l’orario (approssimativo, ovviamente) della partenza è fissato a domattina.
Passare la notte qui? È ormai tardi; non ho nessuna voglia di andare ad Aqaba, trovare un albergo per la notte e poi tornare qui domattina. Passerò la notte come gli arabi che mi circondano, steso per terra, magari nel mio sacco a pelo o seduto sulla moto. Per fortuna ho fatto amicizia con gli impiegati dell’ufficio traghetti presente qui sul piazzale e, ad una certa ora, mi fanno cenno di accomodarmi in una sala dell’ufficio, dove alcuni di loro riposano. Stendo quindi il mio sacco a pelo per terra e riesco almeno a chiudere occhio per qualche ora (dopo aver coperto la moto col suo telo, per sicurezza).
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