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Sei in: MOTO - MEDIO ORIENTE: LA TERRA PROIBITA - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 4
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MEDIO ORIENTE
La Terra Proibita

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4.3.2010 – giovedì – giorno 4
Sud Ankara (TR) (7.37) –
Idlib (SYR) (18.18)
km 714
viaggio h 10.41, guida h 7.46

La mattina, ho una piccola esitazione nell’abbandonare, all’alba, il comodo letto dell’albergo per la sella della mia moto, seduto sulla quale la prima cosa che vedo è… il termometro sottozero. Ma, dopo pochi minuti, nessun rimpianto è nei miei pensieri, mentre attraverso l’altopiano anatolico, su una strada in  condizioni decisamente migliori delle previsioni, ampia e a doppia carreggiata.

Fortunatamente il tempo regge: solo qualche nuvola; fa comunque freddo e la temperatura si mantiene appena sopra lo zero. Mi fermo ad una stazione di servizio, più per scaldarmi che per effettiva necessità di rifornimento benzina. I gestori, gentilissimi, mi offrono subito il te, senza che nemmeno faccia in tempo a chiederlo. Chiacchieriamo un po’, sorridendo: loro ammirano la mia moto e la mia… incoscienza (su un veicolo aperto a 0°); io la loro ospitalità; mi regalano anche una carta stradale della Turchia.

Ammiro il vicino Hasan Dagi (m 3.268), innevato, e le montagne a est, verso la Cappadocia, anch’esse completamente coperte di neve: mi percorre un brivido, pensando che tra una quindicina di giorni sarò tra quelle montagne, per visitare quella regione.

Vedo all’orizzonte altre montagne; si tratta della catena costiera che mi separa dal Mediterraneo. Guardandola da qui, sembra non esserci nessun varco, ma ovviamente c’è; anzi, fortunatamente, l’autostrada prima in costruzione qui è completata e quindi percorro facilmente questi chilometri che mi riporteranno sul mare.

L’autostrada è davvero bella: tre corsie per senso di marcia, si insinua tra le montagne con ampie curve, superando in modo abbastanza ripido il notevole dislivello; è proprio un piacere guidare, aprendo il gas quel tanto che serve a tenere i prescritti 120 km/h anche in salita, cosa invece al di sopra delle possibilità dei TIR e anche di diverse auto che, annaspando sulla ripida ascesa, sembrano quasi fermi al mio passaggio. Anche l’autostrada può essere bella.

Comincia la discesa, ripida anch’essa, tant’è che diversi cartelli avvertono di tenere marce basse e non superare i 90 km/h anche per le auto. Ignoro i limiti: il freno motore della Gold Wing lavora bene anche nella marcia superiore (la quinta) e non devo quasi mai usare i freni, limitandomi a decelerare ogni tanto. Finalmente la temperatura si alza!

Arrivo al mare presso Adana; siamo ormai a 20 gradi e mi fermo ad una stazione di servizio per alleggerirmi. Bene: l’Anatolia è superata: da qui all’Egitto non dovrei più affrontare il freddo.

Compio anche un’altra importante operazione: ormai sono vicino alla frontiera con la Siria, è quindi il momento di rimuovere dalla cartina raffigurante il mio percorso (attaccata sul frontale della moto) l’adesivo con la parte contenente il tratto in Israele; provvedo anche a coprire la bandiera di quello Stato.

Il simpatico gestore della stazione di servizio (foto sulla moto anche per lui) segue l’operazione, sorridendo e annuendo.

Ormai manca poco al confine; la conferma me la danno dei TIR parcheggiati sulla strada; ci siamo, la solita fila in attesa delle operazioni doganali. Sfilo tutti i camion, salutando come al solito, e mi avvicino alla prima sbarra: il primo Stato nuovo del viaggio (non ero infatti mai stato in Siria)!

Sono preparato a lunghe attese e numerosi controlli: le dogane orientali sono tutt’altra cosa rispetto all’Europa e quanto ho letto non mi fa certo sperare di sbrigarmi.

18’ per uscire dalla Turchia, senza grosse complicazioni: essenzialmente il controllo del numero di targa della moto, annotato all’entrata sul passaporto. Poi circa 3 km di “terra di nessuno” e affronto la dogana siriana.

Non mi ricordo la sequenza di operazioni e del resto ormai, in certe frontiere, ho rinunciato a memorizzarla. Talmente assurda, complessa e lunga appare agli occhi di un occidentale moderno (o almeno ai miei occhi), che l’unico modo che ho di non arrabbiarmi è lasciarmi “trasportare dalla corrente”. Mi affido al primo ufficio che trovo, sfodero il miglior sorriso che le circostanze mi consentono e, se proprio la cosa sembra molto complessa… spero che qualcuno mi aiuti, per poi ricominciare con l’ufficio successivo! Sì, è proprio questo che non riesco a mandar giù; capisco che ogni Stato ha le sue leggi, le sue “abitudini”, i suoi tempi; ma perché mai, oltre a farmi perdere un’ora, mi fate anche girare fra tanti uffici, in una specie di caccia al tesoro?! Fatemi pagare tutto in una volta, mandatemi in un unico ufficio e poi datemi il via libera!

Comunque, dopo 1h 4’ e un totale di 38 dollari (la Siria è il primo Stato dove mi hanno chiesto dollari e non valuta locale) e circa 9 euro in dinari siriani, ho il via libera e passo. All’ultimo controllo, il poliziotto di guardia si avvicina entusiasta e mi chiede di fare una foto con la mia moto: lo accontento, accendendo tutte le luminarie, e le luci della moto risplendono nella incipiente sera siriana. Già, perché ormai il sole è tramontato…

Bene: il primo impatto con la Siria, il paese più temuto del viaggio, è andato bene; noto molta simpatia in giro.

Ma adesso non posso perdere tempo: sono quasi le 18 e non voglio stare ancora in giro su queste strade al buio. La prima città è Idlib, a circa 40 km; sulla mappa sembra abbastanza grande e anche le persone presso la frontiera mi confermano che lì troverò alloggio. Andiamo!

Prima però cambio un po’ in moneta locale presso la frontiera, in modo da non aver problemi per le prossime spese. Per fortuna la strada è discreta e, prestando la massima attenzione alle possibili insidie del manto stradale (e al traffico piuttosto disordinato), giungo in breve alla città, dove, dopo un po’ di giri viziosi, chiedendo in giro, trovo un albergo (l’unico?).

Mi assegnano la camera n. 10 e fin qui niente di strano; in tutti gli alberghi del mondo c’è il numero della camera sulla porta. Il problema è che qui il numero è… in arabo. E i numeri arabi non sono i nostri (quelli che normalmente definiamo “arabi”), ma, almeno per me, completamente incomprensibili (come il loro alfabeto).

Per complicare le cose, il numero sulla chiave è invece scritto in modo “normale” (con caratteri occidentali), quindi resto un po’ perplesso guardando i 2 numeri (chiave e porta) e cerco di memorizzare il numero arabo, per non confondermi poi.

Da ora in poi, dovrò fare molta attenzione alle indicazioni; è un “altro mondo”.

Cena in albergo, breve giro a piedi in città.

A letto presto; ho fatto qualche calcolo e mi rendo conto che, partendo di buon’ora, domani posso farcela, posso arrivare ad Aqaba.

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