MEDIO ORIENTE
La Terra Proibita
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16.3.2010 – martedì – giorno 16
Beirut (RL) (7.20) –
Palmyra (SYR) (17.58)
km 385
viaggio h 10.38, guida h 5.44
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La mattina faccio un giro in moto per Beirut, percorrendo tutto il bel lungomare. Il cielo è nuvoloso, ma non piove; la temperatura è piacevolmente fresca, sui 20°, e un forte vento agita il mare, che si infrange con violenza sulla scarpata, a pochi metri dalla strada. Passo vicino al porto, che sembra in piena attività; chiese e moschee si alternano, anche se generalmente in quartieri distinti. La gente fa jogging sul lungomare, dove sfrecciano auto lussuose, di fronte ad hotel altrettanto lussuosi ed esclusivi marina con barche da sogno ormeggiate.
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Il traffico di Beirut però comincia a darmi fastidio e finalmente riesco a uscire dalla città, percorrendo la litoranea verso nord. C’è ancora comunque abbastanza traffico; ogni tanto qualche bel panorama sulla costa.
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35’ per uscire dal Libano, altrettanti per rientrare in Siria, uno Stato del mio viaggio (insieme a Giordania e Israele) il cui confine attraverserò ben 6 volte (questa è la quinta). Durante i controlli libanesi mi chiedono dove ho dormito: fornisco loro il nome dell’albergo; non pago nulla nemmeno per uscire, ma verifico (da una tabella appesa in dogana) che, per soggiorni di più giorni, è dovuta una piccola tassa, da pagare all’uscita dal paese.
Questo rientro in Siria avviene senza problemi di timbri israeliani: evidentemente il provenire dal Libano fa apparire scontato ai doganieri che il controllo è stato già fatto da un posto di frontiera siriano, poiché è impossibile entrare in Libano via terra se non dalla Siria.
Dirigo verso il Krak des Chevaliers (in arabo Qala’at al-Hosn). Qualche difficoltà a individuarlo (i cartelli indicano generalmente Al Hosn Citadel). La strada sale dai circa 300 m del fondovalle, ai quasi 700 del castello. Fa piuttosto freddo e soffia un vento molto forte, ma la visione che appare è magnifica. Il castello è lì, davanti a me, praticamente intatto, immutabile al trascorrere del tempo; sembra che da un momento all’altro debbano uscirne uomini a cavallo in armi o altri uomini armati stiano per attaccare i suoi possenti bastioni, che paiono inespugnabili.
È semplicemente, per dirla con le parole di T. E. Lawrence, il “più bel castello del mondo”.
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Il castello, oltre che bello da fuori, è impressionante e imponente da dentro, per l’accuratezza della distribuzione degli spazi, le opere di fortificazione, gli ampi ambienti che dovevano ospitare in modo adeguato 2.000 persone e numerosi cavalli, anche durante lunghi assedi. Entro da un ingresso fortificato, quindi attraverso un lungo corridoio coperto, con i gradini in pendenza tanto larghi da permettere il passaggio di due cavalli affiancati; e poi i depositi di pietre usate per le catapulte, la torre di connessione tra la cinta muraria esterna e quella interna, le porte di accesso col sistema di chiusura a scorrimento (dall’alto), il fossato pieno d’acqua tra le due cinte murarie, i passaggi segreti verso l’esterno, i bagni (con acqua fredda e calda), le due grandi scuderie per i cavalli (dalla capacità di 200 cavalli ognuna), i cortili, i magazzini, la sala riunioni, la stanza fredda per conservare il cibo (con un ingegnoso sistema a vento), il grande forno per il pane, l’ampio camino, le grandi cucine, la sala conferenze, la chiesa (poi trasformata in moschea), l’ospedale.
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Dalla Torre del Guardiano (la torre di comando, quartier generale del Gran Maestro dei Cavalieri Ospedalieri), sulla sommità del castello, ammiro un magnifico panorama, con la vista che spazia per i monti e le colline circostanti. Penso a quei tempi di battaglie; provo a immaginare cosa poteva pensare, qui, rinchiuso nel castello, un combattente crociato, con gli ostili guerrieri musulmani tutto intorno, soprattutto negli ultimi anni, quando ormai la Terra Santa era perduta e questa era una delle ultime fortificazioni crociate. Il vento è molto forte e fa decisamente freddo.
Torno alla moto, guardata a vista sotto il castello da un simpatico anziano arabo del posto, insieme alla nipotina. Adesso dritto a Palmyra, senza soste; se ho fatto bene i miei conti, arriverò giusto in tempo per il tramonto, che, a quanto ho letto di quel luogo, dovrebbe essere molto interessante.
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La strada punta dritta verso est; il terreno è sempre più arido: passo gradatamente dalle fertili terre coltivate della Siria occidentale all’arido deserto orientale. Supero qualche installazione militare. Il vento è molto forte, spesso laterale, costringendomi a guidare inclinato. La mia ombra mi precede, in questa lunga corsa verso est, verso il cuore del deserto. Il lungo nastro d’asfalto presenta piccole ondulazioni, ma scorre generalmente ad un’altitudine costante, scendendo gradatamente dai 700 m iniziali ai meno di 500 di Palmyra.
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Sono a pochi chilometri da Palmyra; le ombre sempre più lunghe mi rammentano che, se voglio arrivare prima del tramonto, devo sbrigarmi; un rapida occhiata al gps mi conferma che ho pochi minuti. Ed ecco che, improvviso ma atteso, appare il castello (costruito nell’VIII secolo d.C.); svetta, solitario, su una collina. Gli ultimi raggi del sole lo illuminano con una luce magnifica e mostra le sue rossastre pareti, dal colore simile al deserto che lo circonda. Sono le 17.10; risalgo i fianchi della collina quasi alla stessa velocità dell’ombra che, inesorabile, risale anch’essa, sempre più velocemente.
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Ma gli occhi non possono essere solo per il castello; a metà della salita, infatti, appare il sito archeologico di Palmyra. Non potevo arrivare in un momento migliore: i raggi del sole al tramonto lo illuminano con una luce magnifica; vedo ai miei piedi distendersi tutta l’antica città, dal grande Tempio di Bel, al tempio funebre all’estremità occidentale, e in mezzo il lungo e spettacolare Grande Colonnato; e poi la Valle delle Tombe. Da restare senza fiato, una visione indimenticabile.
Continuo a salire; parcheggio la moto alla fine della strada e percorro gli ultimi metri a piedi: sono in cima, di fronte al castello. Appostati sulle rocce, c’è già un piccolo gruppo di turisti, armati di macchina fotografica; infatti lo spettacolo cui sto per assistere è di quelli da non perdere. Il sole ormai sfiora la cresta delle colline che circondano Palmyra; pochi minuti e vedo il cielo accendersi di un rosso sempre più vivo, poi scuro, profondo, quasi a rivaleggiare col rosso del deserto e delle mura del castello. Raramente nella mia vita ho visto un tramonto del genere, reso unico per di più dal sito in cui avviene, col deserto e le antiche rovine che, poco a poco, passano dalla luce del giorno al buio della notte. Il sole è tramontato: sono le 17.33.
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