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Sei in: MOTO - MEDIO ORIENTE: LA TERRA PROIBITA - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 9
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MEDIO ORIENTE
La Terra Proibita

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9.3.2010 – martedì – giorno 9
Nuweiba (ET) – Porto di
Aqaba (HKJ) (20.45) – Aqaba (HKJ) (0.38)
km 28
viaggio h 3.53, guida h 0.54

Questa mattina posso prendermela comoda. C’è tutto il tempo per un giro nel residence (breve, per la verità, essendo vasto poche decine di metri), una passeggiata per la spiaggia deserta, un bagno nelle acque del Mar Rosso, una doccia.

Carico la moto, tranquillamente parcheggiata sulla sabbia a due metri dalla capanna, e vado al porto. Qui finisce la pace e la tranquillità.

Per prima cosa devo fare il biglietto. Dopo un po’ d’attesa, l’ufficio apre; quello giordano al confronto di questo sembra un ufficio svizzero.

Sbrigata la pratica biglietto (sono ormai le 10.30), affronto adesso quelle ben più complesse doganali. Entro nel piazzale del porto e comincio la ricerca dei vari uffici. E chi vedo, più o meno nello stesso punto in cui l’ho lasciato tre giorni fa? Il funzionario doganale egiziano che mi aveva assistito (insieme ad altri viaggiatori) al mio ingresso in Egitto. Stavolta però non mi dà nessun aiuto, limitandosi a salutarmi: che si ricordi del fatto che non gli ho dato nessuna mancia?

Comunque sia, alla fine ottengo tutti i timbri e arrivo all’imbarco del traghetto: sono quasi le 15. Sembra che finalmente ce la stia facendo ad uscire da questo paese.

Ma ancora non è finita. Entro nella nave; per il caldo e il protrarsi dell’attesa, negli ultimi metri ho tolto il casco e l’ho agganciato dietro, sotto il baule della moto, all’apposito gancio. Grave errore: non lo fate mai, non toglietevi il casco dalla testa fino a che non siete scesi dalla moto. Immobile nella stiva, in sella alla moto, attendo che gli addetti mi diano le indicazioni su dove parcheggiare; improvvisamente sento un urto, da dietro a destra. L’impatto è leggero, ma la moto si piega a sinistra e non riesco a raddrizzarla; resisto qualche secondo, ma poi la gamba sinistra cede a mezza tonnellata di moto, che cade a terra. Cos’è successo? Mi guardo intorno e vedo un’auto dietro la mia moto, con gli addetti della nave che ancora stanno gridando al conducente di stare attento e fermarsi. Un egiziano, facendo manovra, non mi ha visto (o ha calcolato male gli ingombri) e mi ha urtato, per fortuna a bassa velocità, proprio sul casco (appeso dietro), spingendo quindi la moto e provocando la caduta.

Rialzo la moto, che fortunatamente (vista la velocità dell’impatto e la caduta in piano) non si è fatta praticamente niente, appoggiandosi sugli appositi sostegni. Ma, avendo preso in pieno l’urto, il problema è il casco: la visiera è volata via (è un casco jet). La recupero e controllo i danni: ha un graffio e soprattutto non so se il delicato meccanismo di plastica che la aggancia al casco è ancora integro. Già mi vedo attraversare tutto il Medio Oriente senza visiera! Mi precipito verso l’egiziano, rimproverandolo per la manovra e mostrandogli i danni al casco. Intanto cerco di riagganciare la visiera. L’egiziano, con una faccia da ebete, fa finta di nulla, come per dire “non ho fatto niente”; a quel punto mi arrabbio davvero, ormai è diventata una questione di principio; costi quel che costi, ma questo non la farà franca! Insisto, con forza, chiamo a testimoni tutti gli addetti della nave presenti, mi rifiuto di spostare la moto (bloccando in questo modo le manovre di caricamento degli ultimi veicoli), alzo la voce, fino a che qualcuno mi dà retta. Finalmente alcuni addetti si avvicinano e confermano la mia versione, che cioè l’egiziano mi è venuto addosso con la sua auto.

Parcheggiata la moto, torno alla carica con l’egiziano, che continua a fare spallucce. Va bene, vuoi la guerra: che guerra sia! Non sopporto la strafottenza, da qualunque livello provenga; che sia quella di un ricco alto funzionario o di un morto di fame. La nave batte bandiera giordana, ma siamo in acque egiziane, quindi la competenza è delle autorità di questo paese. Chiedo, ad alta voce, l’intervento della polizia. Scandisco chiaramente le parole “tourist police” e mi piazzo in mezzo alla stiva, come a dire: “la nave non parte fino a che non arriva la polizia”. Arriva un ufficiale della nave e cerca di sistemare le cose, ma l’egiziano continua a fregarsene e io d’altra parte ovviamente insisto, mostrando il graffio alla visiera (intanto sono riuscito a rimontarla sul casco, quindi il timore maggiore è svanito). “Questa visiera in Italia costa decine di euro, il casco 500; pretendo almeno un piccolo risarcimento per il graffio alla visiera; almeno 10 euro, per principio”. “Tourist police” ripeto con fermezza; e alla fine chiamano la polizia. E chi mi arriva, ancora una volta? Sempre quel funzionario di prima, quello che mi aveva assistito all’andata e (parzialmente) al ritorno; più andiamo avanti e più mi convinco che forse avrei fatto bene a dargli una mancia; vabbè, pazienza, continuiamo, ormai è una battaglia di principio che sto combattendo, non una economica.

Negli occhi del funzionario vedo per un attimo passare un lampo, come per dire “ancora questo qui mi ritrovo, ora che vuole?”. Lo avrò svegliato dal riposino pomeridiano (l’ora è quella)? Mi avvicino subito a lui e gli do la mia versione (in inglese), prima che senta quella dell’altro. Poi parla con l’egiziano (in arabo, ovviamente); temo di non avere molte speranze, forse il suo giudizio sarà un po’ di parte. Il funzionario torna verso di me e cerca di sistemare la questione, come farebbe un qualsiasi svogliato funzionario mediorientale: “lascia perdere”, mi dice. “Lascia perdere un c###o!” gli rispondo (parzialmente) in inglese: mi avete fatto penare per ore per entrare e uscire in questo paese, mi avete sottoposto alle vostre assurde, complicate e costose regole doganali; adesso lavorate per quello per cui io (anche) vi ho pagato: risolvete i problemi, invece di crearli, per una volta!

Il funzionario egiziano capisce che non mollo, ma, d’altra parte, l’autista egiziano continua a ignorare le mie richieste. Allora gioco il tutto per tutto; pretendo l’apertura di una inchiesta ufficiale sull’incidente; il funzionario non può sottrarsi a questa richiesta, essendo l’incidente avvenuto in territorio egiziano e quindi (come immaginavo, certe regole giuridiche sono uguali in quasi tutto il mondo) invita me e l’autista egiziano ad uscire dalla nave, per procedere ad una inchiesta formale. Avete voluto 175 euro per un’assicurazione temporanea di 3 giorni; ora dimostratemi che non sono soldi rubati! Ho deciso di giocare il bluff e quindi mi avvio alla moto, come per uscire dalla nave; il funzionario mi guarda, un po’ smarrito; ma finalmente anche l’autista egiziano mi guarda, con un’aria non più strafottente. Sarà anche un morto di fame o uno strafottente, ma non può ignorare il rischio di perdere il traghetto. Io faccio l’indifferente, come se di partire oggi o domani non me ne importi niente. È il momento. Il funzionario si avvicina all’egiziano, gli parla, probabilmente sta cercando di farlo ragionare; vedo che l’autista egiziano esita. Li guardo con la coda dell’occhio e, con finta indifferenza, salgo sulla moto e la sposto, come per scendere dalla nave. I due egiziani si avvicinano e il poliziotto mi dice di fermarmi.

L’autista ha in mano una banconota; la guardo con aria di sufficienza: è giordana, da 5 dinari (poco più di 5 euro). “No, non basta. Ho detto 10!” L’egiziano si ritrae, il poliziotto lo ferma; l’autista fruga nelle proprie tasche e tira fuori qualche altra banconota stropicciata e qualche moneta. Ad occhio ci siamo, siamo a 10 euro, più o meno. Forse salterai la cena, per questo. Oppure magari i soldi ce li hai (non tanti, a giudicare dall’auto scassata che guidi); ti avrei anche lasciato andare, abbonandoti il danno, se non avessi fatto tanto lo strafottente e mi avessi invece chiesto scusa, ammettendo il tuo torto; ma adesso devi pagare. Prendo i soldi e gli stringo la mano. Ringrazio e saluto il poliziotto e faccio cenno agli addetti della nave che è tutto a posto; possiamo salpare. Lego la moto e salgo sul ponte.

Ancora non si parte; stavolta io non c’entro; non ho provocato veri ritardi col mio incidente; tutto è durato pochi secondi. Inutile chiedersi il perché del ritardo; quando tutto sarà pronto, si partirà; l’orario previsto di arrivo slitta dal pomeriggio alla sera. Approfittiamone per pranzare e… cenare.

Sulla nave la solita confusione, con gente che riposa per terra, sui divani, sulle sedie. Quasi tutti arabi, soprattutto egiziani.

Osservo in particolare le donne arabe. C’è abbastanza “varietà”; da quelle vestite all’occidentale (non molte, per la verità, comunque in modo “castigato”), a quelle col fazzoletto in testa, a quelle col velo (il niqab, che lascia scoperti solo gli occhi), a quelle infine col burka, una tunica che le copre completamente,  con solo una retina all’altezza degli occhi per consentire loro di vedere. Nessuna, mi sembra, che viaggi sola.

Rifletto sulla loro condizione, soprattutto di quelle che portano costumi più “tradizionali”, che lasciano immaginare una situazione di “libertà limitata”. Quante si vestono così per libera scelta e quante, in un modo o nell’altro, vi sono costrette?

Finalmente la nave parte; anzi, è già partita. Stanco di controllare in continuazione, siamo salpati mentre, steso su un divano, facevo il punto sul viaggio: sono arrivato in Egitto, percorrendo velocemente in 5 giorni la strada fino ad Aqaba e impiegando 4 giorni per visitarlo (di cui 2 per questo assurdo traghetto). Ora ho 13 giorni per tornare a casa, più lentamente, fermandomi a visitare vari luoghi in Medio Oriente, compreso il temuto passaggio in Israele e Siria.

Si fa sera, arriveremo tardi.

5. GIORDANIA

Sono circa le 19, vedo le luci di Aqaba. Scendo nella stiva per controllare la situazione della moto e mettere a posto il bagaglio, in modo da essere pronto a uscire appena si apre il portellone, per puntare verso il Wadi Rum e pernottare lì (non mi va di fermarmi ad Aqaba, mi attira molto di più il deserto).

Inserisco la chiave, la giro per avviare il motore e spostare di un po’ la moto e… non succede nulla: la moto non parte! Riprovo: nulla, niente da fare, la moto resta muta; nessun segno, nessuna luce, nessun rumore.

Attimo di panico; poi rifletto. Ieri avevo notato che a volte alcune luci posteriori non si spegnevano, poi il problema sembrava essere passato. I sintomi attuali mi fanno pensare a un guasto elettrico. Accedo alla batteria e controllo gli attacchi: tutto in ordine, ma la moto continua a non dare segni di vita e tutto è spento.

Devo cercare di risolvere il problema, che non è solo la moto che non parte, ma anche le sue immediate conseguenze: fra un po’ il traghetto attraccherà, al buio, nel porto di una remota città araba, a diversi chilometri di distanza dalla città, in un luogo quindi dove non troverò officine o meccanici che possano aiutarmi. Che il primo “blocco” della moto in viaggio mi capiti a 5.000 km da casa, in zona “disagiata”, non è un fatto fortunato, ma, visti i miei viaggi, da mettere in conto.

Torno sul ponte del traghetto e cerco aiuto; chiedo dei cavi per far partire la moto, collegata a un’auto (penso che, in questo modo, riuscirò almeno ad avviarla), ma non trovo nulla: l’equipaggio mi tranquillizza  con un serafico “si troverà qualcosa ad Aqaba”. Non mi resta altro da fare che aspettare: alla peggio, posso sempre partire a spinta (forse; al meno qualche volta ci ho provato e ce l’ho fatta).

Sono le 20.45; quando scendo con la moto dalla nave, sfruttando la pendenza favorevole della rampa di sbarco, e mi fermo nel piazzale. Chiedo a qualcuno di prestarmi dei cavi (visto il “parco macchine” locale, rivolgo la richiesta solo ad auto in buono stato) e si ferma una Mercedes (nuova) giordana: collego i cavi e la moto parte al primo colpo! Bene, almeno adesso posso muovermi! Il gentilissimo giordano, quando faccio per restituirgli i cavi, me li regala, nel caso mi servano ancora. Ringrazio.

Alcune luci posteriori, però (le stesse che davano problemi prima), restano accese, anche quando tolgo la chiave dal quadro. Accelero: la moto sembra rispondere bene, vedo dal voltmetro che la batteria ha un livello di carica discreto e decido quindi di raggiungere Aqaba, che dista alcuni chilometri; poi vedremo.

Ma, dopo un paio di chilometri, mi rendo conto che c’è qualcosa che non va. Per quanto stia marciando quasi a luci spente (e con tutti gli accessori staccabili spenti), il voltmetro comincia a scendere: 12, 11, 10. So che se scende sotto i 10 V la moto, inevitabilmente, si spegne, anche se sono a 100 km/h. Sono leggermente nei guai; mi trovo in una zona desertica, su una strada poco frequentata, al buio e la moto si può spegnere da un momento all’altro. Scalo le marce e tengo su di giri il motore, nel tentativo di caricare il più possibile la batteria: spengo anche le luci di posizione, limitandomi ad accenderle solo in presenza di altri veicoli (sperando che non le abbiano spente anche loro, cosa possibile, viste le abitudini di guida degli indigeni).

Col motore che si chiede perché mai sto usando la seconda o terza marcia a 70 km/h (a un regime di oltre 4.000 giri, inusuale per la mia moto), riesco a tenere la batteria ad un “livello di sopravvivenza” al limite dei 10 V. Quando sono costretto dalla strada a decelerare sento che la moto sta per spegnersi, ma riesco sempre a recuperarla in extremis, con delle abnormi sgasate. In questo modo riesco ad arrivare alla periferia di Aqaba. Punto verso il centro, cercando un albergo (un meccanico a quest’ora è improbabile), in modo da avere un ricovero sicuro per la notte (per la moto e me) e affrontare il problema domattina.

Ma la moto va sempre peggio e, dopo qualche giro in città, chiedendo di un albergo ai passanti (il gps non funziona, per il basso voltaggio della batteria), si spegne definitivamente. Proseguo un po’ per abbrivio, sfrutto una pendenza della strada per fare ancora qualche metro e parcheggio mezza tonnellata di moto inerte presso una via (fortunatamente) abbastanza centrale.

La moto, ovviamente, non riparte. Scarto l’idea di provare a ripartire con i cavi e un’auto di passaggio, visti i precedenti. Decido di trovare un albergo e risolvere il problema della moto domattina. Giro un po’ a piedi e ne trovo uno abbastanza vicino. L’albergatore mi indica una strada, attraverso la quale dovrei riuscire a portare la moto di fronte all’albergo; c’è un tratto in pendenza favorevole, per il resto, con la sua spinta, potrei farcela; certo meglio provare che lasciare la moto incustodita per strada tutta la notte. Nel tratto di strada in discesa, riesco per qualche secondo a riavviare la moto, ma dura poco e così mi ritrovo di nuovo fermo, su una strada meno centrale della precedente.

Decido di provare di nuovo con i cavi, giusto per arrivare all’albergo; fermo un giordano di passaggio in auto, ma la moto non parte lo stesso. Ma il giordano (Abdul) conosce un meccanico e, nonostante l’ora tarda, gli telefona. Dopo un po’ arriva, ma ci capisce poco (probabilmente non ha mai visto una moto del genere) e a sua volta chiama un altro meccanico; questo sembra capirne almeno qualcosa di più, mi chiede qualche dettaglio sulla moto: avviene così un interessante colloquio, sul bordo di una strada semibuia di una remota città mediorientale, tra un viaggiatore italiano che si esprime in inglese e un meccanico arabo che non conosce altra lingua se non la sua. Il meccanico comincia chiedendomi “Dov’è la dinamo?”, mettendomi quindi qualche (ulteriore) dubbio sulla sua conoscenza del mezzo; dopo avergli spiegato che, a differenza delle bici, qui c’è un vero e proprio alternatore (a sinistra), continua armeggiando sul lato destro della moto. Passa il tempo, ma ancora non si riesce a far ripartire la moto; è quasi mezzanotte, ormai, e dico al meccanico di non preoccuparsi: lascerò la moto qui e riproveremo domattina. Ma lui insiste: forse lo considera un punto d’onore riuscire almeno a far ripartire (se non riparare) quella grossa moto.

Dopo diversi tentativi, fa un ponte tra un paio di fili della moto, la collega con i cavi alla sua auto e la moto parte. Né io né lui sappiamo quanto durerà: decidiamo quindi di portare la moto direttamente presso un’officina; non la sua (almeno questo capisco), ma quella di un altro meccanico (forse più esperto). Mi segue in auto Abdul, mentre il meccanico torna a casa; per le ore di tentativi mi chiede solo pochi euro.

Arrivati all’officina, lascio la moto lì davanti; Abdul mi rassicura che la zona è tranquilla: nessuno toccherà nulla. Speriamo: copro la moto col telo, ben legato, e Abdul mi accompagna all’albergo (scarico tutti i bagagli dalla moto); domattina Abdul mi prenderà dall’albergo per riaccompagnarmi qui. Lo ringrazio.
Domani si vedrà.

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