MEDIO ORIENTE
La Terra Proibita
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12.3.2010 – venerdì – giorno 12
Petra (HKJ) (7.15) –
Pella (HKJ) (21.52)
km 471
viaggio h 14.37, guida h 8.07
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Riprendo la Strada dei Re: è veramente piacevole da guidare, serpeggiante sul crinale delle montagne, quasi sempre oltre i 1.000 m (fino a 1.700). La temperatura è ancora fresca (17°) e quindi si sta benissimo, ma, lo so, durerà poco.
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Oggi è venerdì, giorno festivo in un paese islamico come la Giordania. Mi spiego così le numerose famiglie intente in tranquilli picnic a bordo strada, in numerose aree verdi sotto gli alberi, che vedo a sud di Madaba.
Poco prima di quella città, lascio la Strada dei Re per la spettacolare strada che scende verso il Mar Morto. In 37 km, quindi, mi porto dagli 800 m di Madaba ai -400 del Mar Morto. Il paesaggio è arido; per quanto il cielo sia sereno, non riesco a vedere il lago sottostante, a causa della cappa di umidità che ricopre la depressione. Emozionante il passaggio, per la prima volta in moto nella mia vita, a quota 0. Ora la strada si fa davvero ripida: in 5 km scendo da +100 a -350. A bordo della strada ogni tanto sono presenti le uscite di emergenza per i camion che possono avere problemi di freni. La mia moto non ha problemi: va che è una bellezza, con un filo di gas o un colpo di freno ogni tanto. A quota -230 riesco a vedere il Mar Morto: sembra senza fine, enorme, si perde nella foschia. Fa caldo, ma più che i 30° dà fastidio l’umidità, ben maggiore in questa depressione che nel deserto.
Giungo infine al lago: quota -400. Il Mar Morto è un lago chiuso, senza emissari; l’unico immissario significativo, il Giordano, negli ultimi anni, sempre più sfruttato per l’irrigazione, ha progressivamente ridotto la sua portata. In conseguenza di questo diminuito afflusso d’acqua dolce, il livello del Mar Morto si è abbassato di alcuni metri (attualmente è a -413). La sua enorme salinità (30%) è dovuta al non avere emissari e all’alto tasso di evaporazione; la salinità è talmente elevata che non è presente alcuna forma di vita nelle sue acque, d’altra parte sfruttate, fin dall’antichità, per ricavarne sale. È il luogo più basso sulla superficie della Terra.
La conseguenza divertente della sua elevata salinità è quella che cercherò di sperimentare tra qualche minuto, appena trovo un posto per fare il bagno.
Costeggio il Mar Morto verso nord, fino ad arrivare all’Amman Beach. Parcheggio la moto e mi precipito dentro (il caldo è soffocante e non vedo l’ora di restare in costume da bagno).
Piuttosto caro l’ingresso (15 dinari, quasi 16 euro), soprattutto per gli standard locali; ma la guida la descrive come la spiaggia della capitale e immagino quindi che chi la frequenta abbia una disponibilità economica superiore alla media dei giordani. La spiaggia è affollata (ricordo che è venerdì, quindi giorno festivo); è interessante notare come, almeno in questo luogo, si allentino le rigide regole dell’abbigliamento femminile. C’è un po’ di tutto; le donne completamente coperte (velate), che sono in spiaggia solo per accudire i propri bambini (che corrono felici da tutte le parti, come tutti i bambini del mondo sulle spiagge); quelle in pantaloni e camicia; alcune in pantaloncini corti e maglietta; e infine (finalmente!) quelle in costume. Tra queste ultime (le più numerose) si va da costumi anni ’60, ad altri che potremmo considerare normali anche sulle nostre spiagge; nessun bikini troppo “striminzito”, comunque (tantomeno topless, ovviamente).
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La battigia è abbastanza in basso rispetto all’inizio della spiaggia (effetto dell’abbassamento del lago); la raggiungo e comincio ad immergermi. Inizialmente non noto nulla di particolare, tranne l’acqua piuttosto opaca. È quando l’acqua supera la vita che comincia a sentirsi la spinta; faccio un salto e subito mi sorprende la resistenza dell’acqua quando ricado, che mi riporta subito a galla. Provo a buttarmi in avanti, per nuotare, ma… è praticamente impossibile! Il galleggiamento è incredibile! Si sta a galla talmente in alto che è difficilissimo nuotare in avanti! La cosa più divertente è quando faccio il “morto”; resto oltre il livello dell’acqua (senza alcuno sforzo) con tutta la testa, la pancia, buona parte delle spalle e delle gambe! È una sensazione stranissima e molto bella. Provo anche ad immergermi (rigorosamente con gli occhi chiusi) e gli occhi mi bruciano per l’alta concentrazione di sale: resto qualche secondo stordito, prima di riuscire a riaprire gli occhi.
Quando esco prendo la fotocamera per scattarmi alcune foto, ma è difficile maneggiarla, poiché i notevoli residui di sale sulle mie mani mi rendono difficoltoso perfino asciugarle.
Diversi bagnanti si spalmano sulla pelle il nero fango del Mar Morto, noto fin dall’antichità per le sue proprietà curative. Uno dei prodotti del Mar Morto più famosi nell’antichità era il bitume, che galleggiava sulla sua superficie. Era usato nella cosmetica e soprattutto per impermeabilizzare le imbarcazioni.
Adesso però è il momento di togliermi tutto questo sale dal corpo, usufruendo delle comode docce della spiaggia.
Torno alla moto e riprendo verso nord, costeggiando il Mar Morto. La temperatura arriva a 32°. Giungo alla superstrada verso Amman e la strada comincia a risalire. Noto ancora molte famiglie, a bordo strada, intente nel picnic festivo.
Dopo 5 km arrivo all’uscita per uno dei luoghi biblici, che d’ora in poi saranno numerosi: il monte Nebo.
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Supero quota 0, tornando quindi sopra il livello del mare. La strada sale verso il monte; uno strano monte, per la verità, alto appena 700 m, ma che spicca ben più nel paesaggio, salendo dal Mar Morto (come sto facendo adesso), cioè da una depressione di 400 m sotto il livello del mare; il dislivello quindi è di oltre 1000 m, in 12 km (sulla strada fatta sono 25 km). Il paesaggio è arido, disabitato.
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Mi avvio verso il punto panoramico, da dove si potrebbe ammirare un bellissimo panorama verso la valle del Giordano … se la stessa non fosse coperta dalla nebbia. Delle incisioni su una lastra di marmo indicano le direzioni dei luoghi di fronte a me: Hebron, Mar Morto, Betlemme, Gerusalemme, Ramallah, Gerico, Nablus, Lago di Tiberiade…; nomi che mettono i brividi solo a pronunciarli, per quanto sono carichi di storia e di lotte, antiche, recenti ed ancora attuali. Resto accanto al cartello, guardando verso l’orizzonte, e penso a quanti uomini, a quanta storia è passata da qui; da Mosè, cui il Signore negò l’accesso alla Terra Promessa, permettendogli comunque di vederla, proprio dal punto dove sono io adesso, fino ai tempi attuali.
La mia prossima meta (Israele e Palestina) è proprio lì, di fronte, a pochi chilometri in linea d’aria. Ma, per le complicazioni della politica, dovrò fare un giro ben più lungo per arrivarci. Infatti il valico di confine qui vicino, posto sulla strada diretta tra Amman e Gerusalemme, non è accessibile agli stranieri; devo quindi entrare in Israele più a nord, poco a sud del lago di Tiberiade. Sono le 16.41: ho esattamente un’ora prima del tramonto, un’ora per percorrere buona parte della valle del Giordano, fino al valico di confine, superarlo e poi trovare alloggio.
Non credo di farcela prima del buio; pazienza, intanto partiamo, poi vedrò cosa fare; alla peggio, passo il confine (che immagino sarà lungo e complesso) “sfruttando” il buio (senza quindi sprecare preziose ore di luce per queste complicazioni burocratiche) e poi mi fermo al primo posto che trovo.
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Percorrendo la valle del Giordano, passo accanto a 4 valichi di frontiera, da sud a nord, ma solo l’ultimo fa al caso mio (tra parentesi il nome israeliano):
- il primo, King Abdullah Bridge, è quello posto proprio sulla superstrada Amman-Gerusalemme e sarebbe quindi il più logico e vicino, ma non è aperto agli stranieri;
- dal King Hussein Bridge (Allenby Bridge), pochi chilometri a nord, potrei passare, ma non con un veicolo privato (cosa ovviamente inconcepibile per me, perché viaggio con la mia moto);
- Prince Mohammed Bridge è chiuso agli stranieri;
- Sheikh Hussein Bridge (Jordan River) è quindi l’unico che posso attraversare con la mia moto, ed è qui che sono diretto.
Devo fare attenzione alla strada, poiché i margini della sede viaria non sono ben segnalati e ogni tanto incrocio qualche veicolo locale a fari spenti. In effetti mi rendo conto che la stima iniziale sulle condizioni della strada era ottimista e forse la mia scelta non è stata la più prudente.
Arrivo finalmente all’altezza del confine e svolto a sinistra. Sono le 19.15: un’ora e mezzo per percorrere 80 km lungo la valle del Giordano; viste le condizioni della strada e il buio, non potevo metterci di meno.
Questo è uno dei punti cruciali del viaggio, da cui dipenderà la riuscita dello stesso. Come spiegato nel capitolo sulla preparazione, dovrò uscire dalla Giordania ed entrare in Israele (e viceversa, tra qualche giorno), senza che nessun segno di questi passaggi resti sul mio passaporto.
Arrivo al posto di confine giordano. Sono le 19.28: bene, ho fatto in tempo (ricordo che questo valico chiude alle 20). È tutto molto tranquillo, non ci sono altre persone in transito oltre me. Mostro i documenti e, bene in evidenza, il foglio dove ho scritto (in inglese, arabo ed ebraico) di non timbrare il mio passaporto (o il carnet), perché dopo devo andare in Siria. I doganieri guardano incuriositi il foglio e sorridono; sembrano apprezzare il fatto che sia scritto anche in arabo. Mi rassicurano di stare tranquillo: il mio passaporto non sarà timbrato. In ogni caso, non perdo d’occhio il passaporto: non voglio che, nel passaggio di carte di mano in mano, qualche doganiere distratto apponga un timbro. Per questo motivo mostro il foglietto con la richiesta ad ogni guardia di confine che prende in mano i miei documenti.
Le operazioni procedono con una celerità incredibile, non perquisiscono nemmeno la moto; pago la tassa di uscita di 20 dinari (21 euro) e alle 19.45 (appena 17 minuti dopo essere entrato in dogana!) ottengo il via libera e mi avvio verso Israele.
Raggiungo il fiume Giordano (che segna il confine) e passo sopra il ponte. È la prima volta che vedo il Giordano, inavvicinabile in altri punti (è tutto zona militare); non è molto ampio, è poco più di un ruscello.
Entro nella dogana israeliana, sono le 19.46.
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Il militare è vestito in modo molto informale, come spesso capita per i soldati israeliani; una semplice camicia, aperta, pantaloni militari e un distintivo appuntato. Mi fa cenno di attendere e mi fermo. La notte è squarciata dalle luci del posto di frontiera; osservo intorno; non vedo altri militari, ma so che sono presenti, poco oltre. Dopo un po’, si avvicina una ragazza; avrà 20 anni, forse meno. Ricordo che in Israele il servizio militare è obbligatorio per tutti, uomini e donne; a queste ultime è solo concesso di prestarlo più breve (20 mesi contro tre anni degli uomini, che dopo sono anche obbligati a diverse settimane ogni anno da riservisti). La ragazza si avvicina: bionda, minuta, uno sguardo dolce e… un mitra al braccio. Mi ordina, in perfetto inglese (certo migliore del mio), di parcheggiare la moto sotto una tettoia lì accanto e aspettare. Eseguo.
Siedo su una panchina accanto alla moto e aspetto. Dopo qualche minuto, la ragazza mi chiede i documenti. Gentile, ma fredda, molto professionale. Non c’è la naturale simpatia dei doganieri arabi, il loro allegro e confuso avvicinarsi, curiosare, chiedere informazioni, stringere la mano, anche qualche pacca sulla spalla. Cose che rendono un po’ meno frustrante il su e giù tra i vari uffici e l’interminabile sequela di timbri e balzelli medioevali necessari per superare i confini. No, qui non si scherza: resta al tuo posto e dammi i documenti. Insieme ai documenti consegno subito il solito foglietto, con la richiesta di non timbrare il mio passaporto perché dopo devo andare in Siria. La ragazza guarda incuriosita il biglietto e sorride: è il primo sorriso che le scappa. Si rivolge al collega militare di prima, parlando in ebraico, indicando il foglietto (che è scritto in 3 lingue: inglese, arabo ed ebraico). Annuisce, comunque, dimostrando di aver compreso; chissà se sorride per la mia richiesta, per averla scritta su un foglio trilingue o per qualche mio errore di scrittura (tornato in Italia, scoprirò che la mia traduzione in ebraico era grammaticalmente non completamente corretta, ma comunque sostanzialmente esatta).
Per consegnarle il foglietto (accompagnato da una sommaria spiegazione orale in inglese), mi ero alzato dalla panchina; quasi a “ristabilire le distanze” (che sembravano forse troppo ravvicinate dopo il suo sorriso), mi ordina di rimettermi a sedere. Sì, è proprio un altro mondo rispetto agli arabi; mi sento comunque, mentalmente, razionalmente, più vicino a questa ragazza ebrea, col mitra in spalla in questo sperduto posto di confine della valle del Giordano, che ai numerosi, probabilmente più simpatici, doganieri arabi del Medio Oriente. Lei sta davvero lottando per la sua sopravvivenza e per quella del suo paese.
La ragazza, con una torcia, illumina attentamente la moto, controllandola anche di sotto, con uno specchio speciale; le infiltrazioni di terroristi e armi non sono una eventualità remota, in queste terre. Poi si allontana.
Intanto si avvicina il primo militare; ha pochi anni più della ragazza, forse è un professionista e non di leva; comunque sia, molto giovane anche lui; sembra un po’ combattuto, tra il dovere che gli impone la massima attenzione e prudenza, e la naturale curiosità di un ragazzo che vede, forse per la prima volta nella sua vita, una moto del genere. Osserva la moto, con occhio da ragazzo più che da militare, mi guarda e un mezzo sorriso scappa anche a lui; torna subito alla sua postazione.
Passa il tempo e comincio ad innervosirmi; le mie informazioni dicono che il posto di frontiera oggi (venerdì) chiude alle 20; sono arrivato ben prima delle 20 (sul lato giordano); anche al lato israeliano sono giunto prima delle 20 (erano le 19.46), ma adesso sono ormai le 20 e sono ancora fermo qui, in quelli che, immagino, siano solo i “preliminari” dei severi controlli di frontiera israeliani.
Dopo un po’ arriva un altro militare. Credo sia un ufficiale, forse il comandante del posto di frontiera. E qui la sorpresa. Il colloquio è in inglese:
- “Deve tornare indietro, la frontiera è chiusa dalle 20”.
- “Come?! Ma io sono arrivato qui prima delle 20! Erano le 19.46 quando sono entrato in questo posto di frontiera israeliano!”.
- “Mi spiace, ma la frontiera è ormai chiusa; non posso effettuare i controlli perché non ci sono più le persone che li devono fare. Deve ritornare domattina”.
- “Ma non è possibile! Se io mi presento prima delle 20, mi aspetto di poter passare, comunque, per quanto lunghi siano i controlli! E poi come trovo da dormire a quest’ora, e dove?”.
- “Le ho detto che non è possibile, torni domattina, alle 8”.
E qui smetto di insistere, perché noto nella voce dell’ufficiale,
cortese ma deciso, una leggera alterazione, segno che forse è stanco di discutere.
Faccio quindi presente che, a questo punto, anche la dogana giordana sarà chiusa, poiché anche loro chiudono alle 20; quindi, se torno indietro, rischio di restare nella “terra di nessuno”, cosa evidentemente non accettabile, né per me né per loro, per motivi di sicurezza. L’israeliano mi rassicura che ha telefonato ai giordani e loro mi aspettano, per farmi tornare indietro, in Giordania.
Ormai sono rassegnato. Peccato, ho fatto tanto per arrivare in tempo; passare la frontiera stasera mi avrebbe fatto risparmiare diverse ore, trovandomi domattina già in Israele, con tutta la giornata a disposizione per visitare la Galilea e poi arrivare a Gerusalemme e a Betlemme. Invece mi tocca tornare qui domattina.
Saluto l’ufficiale, ringraziandolo comunque (me lo ritroverò davanti domani, meglio “tenerselo buono”), risalgo sulla moto e attraverso per la seconda volta in poco più di un’ora la frontiera, col suo ponte sul fiume Giordano (sono le 20.56).
La rabbia per il forzato dietrofront pian piano passa, soffocata dalla razionalità; in fondo quell’ufficiale ha solo fatto il suo dovere, era nell’impossibilità di effettuare i controlli, a quest’ora; e qui i controlli sono seri: non si può scherzare.
Ritorno quindi alla dogana giordana (sono le 20.57). Le persone sono le stesse di un’ora fa; loro mi riconoscono per forza, con la mia moto con tutte le luci accese nella tiepida notte mediorientale. Anch’io le riconosco, almeno la maggior parte.
Vado quindi a colpo sicuro nell’ufficio di prima, sperando di sbrigarmi subito. Il controllo dei documenti in effetti è veloce, ma c’è un imprevisto: dopo aver spento la moto presso il primo controllo, la stessa non riparte! Ho un brivido: la riparazione di fortuna di Aqaba non regge? Di nuovo lo stesso problema elettrico? O è la batteria araba (della cui bontà ho dubitato fin dall’inizio) che è già “andata”?
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Riparto con i cavi e e parcheggio la moto di fronte all’ufficio col motore acceso, spiegando il problema anche agli altri doganieri. I controlli sono comunque veloci, ma c’è un altro imprevisto: finita la verifica, mi chiedono di nuovo la tassa di 20 dinari, pagata un’ora prima, quando ero arrivato alla frontiera! dinari, pagata un’ora prima, quando ero arrivato alla frontiera!
- “Come! Ma se l’ho pagata un’ora fa?!”. [In inglese]
- “Allora era per uscire, adesso è per entrare”.
- “Ma sta scherzando?! Io non sono uscito dalla Giordania;
Israele mi ha fatto tornare indietro perché la frontiera a quest’ora è chiusa. Io non sono mai uscito dalla Giordania! E che, domattina mi fa pagare di nuovo altri 20 dinari?!”.
- “Esatto: domani lei paga altri 20 dinari”.
E qui mi arrabbio davvero.
- “Ma mi prendi per il c###? [questa frase non la dico in inglese] Non puoi farmi pagare 3 volte!”.
Non c’è niente da fare, il doganiere è irremovibile: devo pagare. Continuo a protestare, mi agito; ormai è una questione di principio! Trovo davvero ridicolo questo comportamento. Poi però capisco che è inutile agitarsi e mi calmo. E comincio a ridere. Rido della tassa, rido delle leggi, rido delle frontiere, rido della stupidità umana, rido della situazione; rido di tutte le frontiere del mondo. Rido e i doganieri mi guardano, un po’ increduli, mentre tiro fuori i 20 dinari e li consegno ridendo; poi sorrido, ringrazio, saluto e do appuntamento a domattina, quando mi presenterò, puntuale, alle 8 per passare, questa volta spero con successo, la frontiera.
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Trovo da dormire a qualche km, dopo qualche giro. Domani sarà la volta buona, domani Israele! Sperando che la moto parta, dopo una notte fuori e i problemi di questa sera.
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