MEDIO ORIENTE
La Terra Proibita
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10.3.2010 – mercoledì – giorno 10
Aqaba (HKJ) (17.11) –
Wadi Rum (HKJ) (18.15)
km 77
viaggio h 1.04, guida h 1.00 |
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La mattina, alle 9 (sembra che qui di lavorare prima non se ne parli proprio), come d’accordo, Abdul passa a prendermi in albergo e andiamo all’officina dove abbiamo lasciato la moto stanotte.
…
Dopo un po’ arriva Mohamed, il meccanico. Quando vedo l’officina, le mie speranze di riparare la moto calano drasticamente e comincio istintivamente a pregare. L’officina si presenta come un minuscolo locale, all’interno del quale regna una gran confusione; olio per terra, pezzi meccanici di vario genere (alcuni rotti, altri nuovi, altri “riparabili”) sparsi ovunque. I veicoli da riparare sono all’esterno: si tratta in maggioranza di… biciclette; i mezzi tecnologicamente più avanzati che vedo sono degli scooter, al massimo 125 cc.
Prima di cominciare, mi offrono il te; beviamo insieme, mentre io penso a quante tazze di te dovrò sorbirmi prima di uscire con la moto da questo buco. Spiego anche a lui la struttura fondamentale della Gold Wing e l’urgenza del problema (devo continuare il viaggio); guardiamo un po’ insieme. Non va bene, non va per niente bene; il meccanico sembra procedere per tentativi e non pare aver individuato il problema. Continua a parlarmi dell’alternatore, ma io gli spiego che è nuovo e lo invito a controllare che l’alternatore carichi, in modo da escluderlo come causa del problema.
Ad un certo punto il meccanico sembra alzare bandiera bianca e mi propone di portare la moto a un’officina vicina, probabilmente da un amico meccanico. Va bene, sarà il quarto meccanico arabo a vedere la mia moto, speriamo con miglior fortuna! Intanto mi offre un altro te, ma, mentre stiamo bevendo, noto che il ragazzo dell’officina sta spostando la mia moto, per portarla all’altra officina! Ma è scemo?! La sta spostando come si sposta una moto “normale”; prendendola per il manubrio, in piedi, di lato alla moto. Ma non si sposta così una moto di quasi mezza tonnellata; nemmeno io mi arrischio di spostarla così, mi metto sempre sulla moto e la sposto o col motore o puntando i piedi, mai di lato! Solo i miei meccanici osano spostarla di lato, ma loro sono esperti.
Riesco solo ad aprire la bocca, la voce non fa in tempo ad uscire, che quello che temevo e prevedevo accade; il ragazzo perde il controllo della moto, che cade dal lato opposto a lui. Mi precipito. Rimprovero aspramente il ragazzo e il meccanico (è lui che ha dato l’incarico al ragazzo), chiarendo con forza che SOLO IO posso spostare la mia moto: loro si limitino a ripararla, ma che non si azzardino a spostarla di un metro. E comunque quella moto non si sposta così! L’officina dove dobbiamo portarla è vicina, ma… non c’è strada: si deve passare sopra un marciapiede, un pendio sterrato e per finire una breve salita ghiaiosa. Perlustro il percorso che questi incoscienti stavano per fare con la mia moto e li avviso che non è una cosa semplice, a motore spento. Mi metto in sella e, sfruttando le pendenze favorevoli, mi avvio verso l’officina; per le pendenze sfavorevoli non c’è problema: sarà la punizione del ragazzo che ha fatto cadere la mia moto. È lui infatti che sostituisce i 100 cavalli del motore, spingendo da dietro, sotto il sole a picco, i 470 kg della moto. Per l’ultimo tratto (in salita ripida), decido di aiutarlo e trovo altri due volontari. Io resto sempre in sella, il mio compito è guidare, non spingere: ognuno ha il suo ruolo.
Sistemata la moto davanti alla seconda officina, vedo che continua ad occuparsene prevalentemente il precedente meccanico: probabilmente quindi ha voluto portarla qui per ricevere un aiuto, oltre che per il fatto che è un poco più spaziosa (non tanto, comunque, da accogliere la Gold Wing, che infatti resta fuori).
Visto che la cosa sembra andare per le lunghe, torno in albergo con Abdul: restiamo d’accordo che, appena ci saranno novità, il meccanico mi avviserà tramite Abdul, che mi riporterà qui.
…
Improvviso, squilla il telefono. È Abdul: mi annuncia che la moto è riparata! Riparata? Quasi non ci credo. Dopo pochi minuti Abdul passa a prendermi e mi riporta al meccanico.
La mia moto è lì, davanti all’officina. Il caldo sole del pomeriggio la illumina da dietro, facendola luccicare; non tanto, però, da non farmi notare qualcosa di strano: le luci posteriori sono accese.
Il meccanico, trionfante, mi comunica che la moto è riparata; io ho un brutto presentimento, dopo aver notato quelle luci. La fattura riporta la sostituzione della batteria e di un relè del motorino d’avviamento, oltre al lavoro, naturalmente.
Guardo il meccanico (che sorride), senza sorridere. Gli chiedo cosa ha fatto per risolvere il problema delle luci che restavano accese. Il suo sorriso scompare. Lo porto dietro alla moto, mostrandoli con la mano sinistra le luci accese, mentre con la mano destra tengo in vista la chiave della moto. Il sorriso si tramuta
in una smorfia.
Salgo in moto e, mostrando platealmente la chiave, la inserisco, la giro e… non succede nulla. Siamo punto a capo, ma non sono sorpreso. Guardo verso il meccanico: è sconsolato.
Scendo dalla moto e gli restituisco la fattura. Dopo un lungo, interminabile minuto di silenzio, il meccanico
si rimette al lavoro sul fianco destro della moto, dove per primi erano intervenuti gli altri meccanici, questa notte. Gli dico di trovare la dispersione di corrente e il contatto, probabili vere cause del problema. Lui mi dice di aspettare in albergo, dove torno col solito Abdul che, pazientemente, ha assistito a tutta la scena.
…
Ma passa poco, appena due ore, che il telefono squilla di nuovo. È ancora Abdul: la moto è pronta (di nuovo). Andiamo a vederla.
Il sole è un po’ più basso, stavolta; la moto è nello stesso posto, ma mi sembra che le luci ora siano spente. Chiedo al meccanico cosa ha fatto, cosa c’è di nuovo rispetto all’ultima volta, che possa giustificare un esito migliore. In questi colloqui, mi fa un po’ da tramite Abdul, poiché è l’unico che, oltre l’arabo, conosce un po’ di inglese. Il meccanico mi mostra dei fili nastrati: dice che ha fatto un ponte per risolvere il problema.
Metto in moto: il motore gira regolare. Faccio un giro nel piazzale, accendo tutte le luci: l’alternatore sembra caricare, la batteria è carica. Metto poi la moto all’ombra, per verificare che, spente le luci, siano effettivamente tutte spente. Controllo: è tutto a posto. Pago i 120 dinari giordani (€ 125) al meccanico.
Credo che sia avvenuto questo:
1) un contatto ha provocato una dispersione di corrente e
lasciato accese alcune luci posteriori;
2) in seguito a ciò, la batteria si è scaricata, non permettendo
l’avviamento della moto;
3) persistendo la dispersione, nemmeno in movimento la batteria riusciva a caricarsi.
Il meccanico ha cambiato la mia batteria, ma forse era ancora buona, oppure si era rovinata a causa della continua scarica. Il relè del motorino credo non c’entrasse nulla. Penso che l’intervento risolutivo sia stato l’ultimo, cioè semplicemente l’individuazione della dispersione con la realizzazione del ponte che ha escluso il problema, almeno per ora.
Adesso mi trovo con una batteria araba di dubbia affidabilità, un relè cinese di amperaggio leggermente diverso dall’originale Honda, dei fili nastrati, un ponte che dovrebbe escludere il problema elettrico e… 6.400 km e 13 giorni di viaggio davanti.
Che fare?
Ci metto pochi secondi per decidere; guardo l’orologio: sono le 17.10. Parto subito per il Wadi Rum, stanotte voglio dormire nel deserto sotto una tenda. Il viaggio continua!
Ringrazio Abdul, che in questi giorni mi ha ripetutamente accompagnato con la sua auto per Aqaba, e via, verso nord!
Decido di compiere tutto il resto del viaggio a luci spente; non mi fido molto della riparazione, in particolare della batteria araba, e voglio sollecitare il meno possibile l’impianto elettrico della moto.
In breve esco da Aqaba e comincio la salita verso le montagne.
Ho poco tempo; partito da Aqaba alle 17.11, il Wadi Rum dista 77 km e il sole tramonterà alle 17.41. Arriverò quindi dopo il tramonto, ma non troppo tardi; pazienza se mi perderò il tramonto nel wadi, ma un altro giorno ad Aqaba non voglio passarlo, ho bisogno di riprendere il viaggio, ho bisogno di ampi spazi: il deserto mi chiama.
…
Ammiro nella luce crepuscolare le formazioni rocciose, che annunciano il Wadi Rum. Rocce isolate, piccole montagne, si ergono dall’altopiano sabbioso, erose dal vento. Più vado avanti, più la sabbia aumenta: sono in pieno deserto.
Ecco infine, attesa, l’ultima deviazione verso sud, verso l’ingresso del wadi.
Il Wadi Rum è un deserto di montagna, posto circa a m 1.000 di altezza, reso famoso da T. E. Lawrence, che vi abitò durante la Rivolta Araba contro i turchi (1917). Le truppe attraversarono il Wadi Rum durante il percorso per conquistare Aqaba e lo stesso Lawrence vi tornò per utilizzare la zona come base prima di spostarsi verso Damasco. Lawrence descrisse il Wadi Rum nel suo I sette pilastri della saggezza (cit.).
…
Vedo le deboli luci del Centro Visitatori, posto all’ingresso del parco. Alla mia sinistra, la famosa formazione rocciosa dei Sette pilastri della saggezza, che ha dato il nome all’omonimo libro di T. E. Lawrence. Il cielo ancora azzurro, nonostante il sole sia tramontato da un quarto d’ora, contrasta con il colore rossastro di tutto il resto (il terreno sabbioso e le rocce).
Arrivo all’ingresso, pago i 2 dinari di biglietto e proseguo. Improvvisa, cala l’oscurità, ma il paesaggio è comunque spettacolare.
Mano a mano che mi inoltro nel Wadi Rum, l’emozione aumenta, insieme alla consapevolezza di trovarmi in un posto straordinario, dove “il paesaggio cessò dalla sua parte accessoria, e si levò sino al cielo, lasciando noi loquaci esseri umani come polvere ai suoi piedi” (I sette pilastri della saggezza, cit., pag. 652). Ho difficoltà ormai, per il buio, a individuare la rocce, ma le “sento”, incombenti, monumentali, maestose, sempre più vicine, a serrare il wadi da est e da ovest, mentre io continuo verso sud.
Arrivo infine al villaggio di Rum, unico centro abitato del parco. E’ buio e devo ancora decidere dove dormire. Avevo letto sulla guida della possibilità di pernottare presso il centro visitatori, ma voglio proseguire verso sud, verso il cuore del Wadi Rum, verso il deserto; almeno fino a che è possibile, perché so bene che è impossibile per la mia moto (e per molte altre) affrontare la fine sabbia del deserto, che mi aspetta, inesorabile, al termine dell’asfalto.
Percorro il villaggio di Rum, sordo ai richiami dei suoi abitanti, che vorrebbero mi fermassi presso di loro per la notte, e arrivo alla fine del villaggio. Anche l’asfalto finisce, come previsto e ho davanti solo sabbia. Improvviso, nella notte, appare davanti a me un ragazzo (un beduino); mi fa cenno di seguirlo, sulla sabbia, con ampi gesti. Forse non ha ben chiaro il veicolo che sto guidando e gli faccio capire che il fondo sabbioso che mi sta indicando di attraversare non è il più indicato per la mia moto, anzi, ho seri dubbi di riuscire a passare. Il ragazzo insiste e io stesso mi dico: “hai voluto arrivare, testardamente, fino alla fine del villaggio, invece di fermarti comodamente al centro visitatori, dove avresti potuto tranquillamente pernottare, come consigliato dalla guida? E ora “pedala”e vai avanti, altrimenti qui nella sabbia resti, con quella mezza tonnellata di moto che cavalchi!”
Tocca a me: accendo tutta la “luminaria” (due fari, due faretti, due fari supplementari) e la notte, di colpo, diventa un po’ meno buia. Un fascio luminoso squarcia la notte e illumina…un’ampia distesa di sabbia, di cui non vedo la fine, segnata da numerosi solchi, tutti di quattroruote. Il beduino, all’accensione del tutto, istintivamente si ritrae un attimo, per poi farsi di nuovo avanti, riparandosi in parte gli occhi con una mano. Ingrano la prima e affronto la sabbia, piano… ma non troppo. Quando la ruota anteriore assaggia il terreno, esita un po’: do gas e avanzo, ma ogni tanto, lo ammetto, mi fermo; non è la moto adatta per certe cose. Stimo che, almeno qui, sotto la sabbia ci sia qualcosa di più compatto; ma dieci metri più avanti è solo sabbia.
Il ragazzo mi fa cenno di entrare in un recinto, dove potrò accamparmi. Ma il recinto è ancora lontano. La ruota posteriore ogni tanto parte in derapata, la moto si scompone tutta, diverse volte devo puntare i piedi; è un po’ peggio che in Tunisia, qui la sabbia mi sembra più fine.
Le luci della moto illuminano un varco del recinto, metto la freccia e svolto (sì, direte voi, che metti a fare la freccia in un deserto? Ma è più forte di me). È un ampio recinto, aperto, dove sono presenti alcuni cammelli dei beduini. Trovo un posto lontano dai cammelli e fermo la moto.
Ringrazio il ragazzo (Hassan), che mi saluta calorosamente, chiedendomi da dove vengo. Resto d’accordo con lui che domani suo fratello mi accompagnerà con un fuoristrada in giro per il Wadi Rum (Hassan invece guida i cammelli).
Monto la tenda. È una magnifica notte quella che sto per passare: poco più di un’ora fa ero ad Aqaba, con la moto guasta e senza sapere se avrei potuto continuare il mio viaggio, e ora le stelle del Wadi Rum illuminano la mia tenda, accampato nel deserto.
Sistemata la tenda, mi preparo la cena, col mio fornello.
Sono solo, solo nel deserto; il silenzio cala su tutto, c’è una gran pace. Vorrei ritardare il sonno, per assaporare a lungo questi momenti; ma il sonno giunge, puntuale, ristoratore, sereno.
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