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Sei in: MOTO - MEDIO ORIENTE: LA TERRA PROIBITA - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 11
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MEDIO ORIENTE
La Terra Proibita

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11.3.2010 – giovedì – giorno 11
Wadi Rum (HKJ) (11.26) –
Petra (HKJ) (14.32)
km 129
viaggio h 3.06, guida h 1.55


Wadi Rum                    Petra

La mattina mi sveglio all’alba. La notte, com’è usuale nel deserto, è stata ben più fresca del giorno e il mio sacco a pelo ha quindi giustificato il suo ingombro nel bagaglio.

Il programma è girare il Wadi Rum con il fuoristrada, per poi andare a Petra. Per questo motivo non c’è tempo da perdere e vado verso la vicina abitazione dei beduini, dove la famiglia di Hassan mi ha preparato la colazione. Siamo infatti rimasti d’accordo ieri sera di vederci all’alba, per fare colazione e poi partire per il giro in fuoristrada; in questo modo avrò 2 vantaggi: eviterò le ore più calde della giornata e farò in tempo ad arrivare a Petra oggi (e magari anche a visitarla).

Mi accordo col fratello di Hassan (Yousef) per un giro di 4 ore, che mi sembra consenta di vedere la maggior parte del Wadi Rum. Segno sulla mappa i luoghi che visiteremo; sono 50 dinari giordani (€ 52).

Yousef controlla i messaggi sul suo cellulare (sarà una costante del giro, segno di come questa tecnologia abbia raggiunto tutto il mondo) e andiamo a prendere il suo fuoristrada. Si tratta di un… boh, difficile individuarne la marca. Non è difficile invece immaginarne lo stato di conservazione: piuttosto precario. Ammaccature ovunque, un po’ di ruggine qua e là. All’interno l’aerazione è garantita, oltre che dai finestrini che, con qualche difficoltà, si riescono ad abbassare (con un’unica manovella che gira a turno tra tutti), anche da un’apertura sul fondo, da dove si può quindi vedere… il terreno del Wadi Rum. Il sistema di avviamento è senza chiavi. No, non immaginate chissà quale moderno congegno; semplicemente il blocchetto di avviamento è rotto, quindi Yousef avvia l’auto facendo contatto tra due fili. Speriamo bene: gli ultimi fili che facevano contatto mi hanno creato problemi (sulla moto)! Il rivestimento del cruscotto è costituito da una spessa pelle di pecora, dal pelo talmente lungo e folto che, se ci poggio sopra la mia fotocamera, rischio di non trovarla più. La gomme sono talmente consumate che, su una strada italiana, qualunque poliziotto ci bloccherebbe immediatamente. Però ha quattro ruote motrici (almeno credo, da ferma è difficile valutare), quindi dal deserto dovremmo anche farcela ad uscire.

Passiamo dal supermercato del villaggio a comprare una bottiglia d’acqua per me e… la benzina per l’auto; già, la benzina si compra qui, non vedo infatti distributori in zona. E adesso via, verso il deserto!

Fin dai primi metri mi rendo conto che la strada sarebbe stata impraticabile per la mia moto (e per la maggior parte delle moto): è tutta sabbia soffice e spesso le piste sono appena tracciate.

La prima sosta è presso la sorgente di Lawrence. Si tratta di una delle sorgenti della zona, che hanno reso il Wadi Rum un importante luogo di sosta per le carovane in viaggio tra l’Arabia e la Siria, descritta da Lawrence nel suo I sette pilastri della saggezza. Presso la sorgente vedo alcune iscrizioni sulla parete di roccia. In ognuno dei luoghi citati Yousef si ferma e quindi io li visito a piedi, con calma.

Continuiamo verso sud e giungiamo al canyon di Khazali. È una sottile spaccatura in un grande massiccio, una stretta gola. Presso il canyon è presente un accampamento temporaneo di beduini, che vende prodotti locali. Ci offrono il te.

Mi inoltro nel canyon. A guardarlo da fuori sembra solo una fenditura nella roccia, si potrebbe passare davanti senza notarlo; solo avvicinandosi ci si rende conto che il canyon continua all’interno della montagna. Le rocce sono levigate dall’erosione e (immagino) dall’azione dell’acqua, durante le piene. La prima sensazione è di frescura. Infatti, nonostante sia ancora presto (le 7.55), il caldo fuori è già notevole; l’interno del canyon, invece, è tutto in ombra e un fresco rivolo d’acqua scorre sul suo fondo. Risalgo il canyon: è spettacolare. È talmente stretto che, a volte, più che un canyon sembra una galleria: le due pareti sono vicinissime (spesso posso toccarle contemporaneamente con le mani) e ogni tanto si chiudono sopra la mia testa. Continuo a risalirlo: il rivolo d’acqua talvolta si allarga in piccoli laghetti; arrivo ad un punto in cui, per continuare, dovrei arrampicarmi su una parete ripida e scivolosa e preferisco fermarmi. È un posto bellissimo: resto un po’ ad ammirarlo, prima di tornare verso l’uscita e… il caldo del sole del deserto. Raggiungo l’auto, dove mi aspetta Yousef.

Dirigiamo verso est e poco dopo giungiamo al Piccolo ponte di roccia: un esile ponte, scavato dall’erosione, nella roccia rossastra. Quindi, il Ponte di roccia di Burdah; è al limite sud-orientale dell’area protetta: in equilibrio precario (si vede distintamente la roccia che ne compone l’arco superiore con una profonda fenditura verticale che quasi la stacca dal resto del blocco roccioso), è alto circa 80 m.

Torniamo verso nord per diversi chilometri, lungo una strada diversa dall’andata, fino alla Casa di Lawrence. Si tratta dei resti di un edificio, dove la tradizione dice che sia vissuto Lawrence durante la Rivolta Araba, costruito sui ruderi nabatei di una cisterna per la raccolta dell’acqua. Entro tra i ruderi: il panorama che si gode da questo luogo isolato è magnifico. Andiamo ancora verso nord, verso le vicine incisioni rupestri di Anfaishiyya: è un’enorme parete verticale, con delle estese incisioni (tamudiche e nabatee), soprattutto cammelli.

Quindi un breve tratto verso sud-ovest, fino alle dune di sabbia rossa di Al-Hasany. Sono bellissime; difficile valutarne l’altezza, ma credo si tratti di decine di metri. Yousef parcheggia l’auto all’ombra, di fronte a una parete di roccia, ed io mi avvio per la salita lungo le dune. Il pendio di sabbia è praticamente intatto (sono presenti solo altri cinque turisti, arrivati con un altro fuoristrada prima di noi): è una magnifica sensazione risalire questa enorme duna.

Il cerchio si sta chiudendo e torniamo al villaggio di Rum, ma prima passiamo dalle rovine del tempio nabateo, subito a ovest del villaggio. Risale circa a 2000 anni fa, ed è eretto sulle fondamenta di un precedente tempio di una tribù araba (Lonely Planet, Giordania, 2009). Poggiato a un muro del tempio, guardo il panorama del Wadi Rum. Il giro si è concluso e mai come questa volta sono felice di aver superato la mia naturale avversione a lasciare la moto per visitare con altri mezzi i posti attraversati. Il Wadi Rum è un luogo magnifico, che spero resti così preservato per le generazioni future.

Torniamo alla moto: sono quasi le 11; partiti poco dopo le 7, siamo riusciti a mantenere la visita nelle previste 4 ore. Smonto la tenda, carico la moto e mi avvio lungo la pista di sabbia, per uscire dall’accampamento.

Arrivo al centro visitatori, posto all’uscita del Wadi Rum; mi fermo, perché da qui è possibile ammirare un bel panorama del wadi, oltre alla grande formazione rocciosa che forse ne è il simbolo, battezzato con questo nome in onore del libro di Lawrence, I sette pilastri della saggezza.

La montagna è imponente, con i suoi sette torrioni di forma tubolare, verticali. Resto qualche minuto in contemplazione del Wadi Rum. Adesso è ora di partire: Petra mi aspetta.

Fuori dal Wadi, costeggio per un po’ la ferrovia. Si tratta della linea ferrata che porta fino in Arabia Saudita, la famosa linea dell’Hegiaz, teatro di tante battaglie (descritte da Lawrence nel suo I sette pilastri…) durante la rivolta araba. Originariamente estesa fino a Medina, ora la parte finale è abbandonata.

Arrivo alla via principale e svolto verso nord. Sono di nuovo sull’“Autostrada del deserto”, percorsa in senso inverso 6 giorni fa.

Dopo 40 km, però, lascio l’autostrada per imboccare una delle strade più belle della Giordania, la Kings Way (Strada dei Re). È l’antica via che collega il nord al sud della Giordania. La strada è interessante sia per i siti storici attraversati, sia per l’ambiente: è quasi sempre in quota, a un’altitudine tra i 1.000 e i 1.700 m, che dà un po’ di sollievo all’alta temperatura, arrivata ormai a 33°. Molto tortuosa, corre spesso sulla cresta delle montagne, non permettendo certo le medie dalla quasi parallela “Autostrada del deserto”, ma sono un motociclista e non cerco le vie più veloci; in questo ritorno, posso prenderla con relativa calma: sono giunto ad Aqaba in 5 giorni, posso impiegarne 13 per tornare.

È una strada davvero bella da guidare e, complice lo scarso traffico, posso divertirmi un po’, sempre però prestando la massima attenzione, poiché il tipo di via non consente velocità elevate. Il paesaggio è prevalentemente arido; ogni tanto qualche paesino e alcune macchie di verde.

Arrivo a Wadi Musa, il centro abitato più vicino a Petra. Percorrendo la cittadina, mi rendo conto che questo è un posto molto turistico: non c’è certo la tranquillità del Wadi Rum. D’altra parte è inevitabile: Petra è una meta troppo famosa per sperare altro. È comunque imperdibile per chi passa dalla Giordania e quindi proseguo.

Ci sarà molto da camminare; sono le 15, ho quindi 2h 40’ prima del tramonto. Un assaggio della strada da fare l’ho subito: l’“ingresso”, infatti, non è il vero ingresso a Petra. C’è da fare quasi 1 km per giungere all’inizio del Siq, la stretta entrata della città antica.

Petra è stata costruita dai Nabatei, una tribù nomade proveniente dall’Arabia occidentale che si insediò in questa zona nel VI secolo a.C.; nel periodo di maggiore prosperità Petra contava circa 30.000 abitanti. Conquistata dai romani nel 105 d.C., dimenticata dal 1189 (quando fu riconquistata ai Crociati dal Saladino), fu riscoperta nel 1812 (Lonely Planet, Giordania, 2009).

Arrivo all’ingresso del Siq. Lo stretto Siq, lungo 1,2 km, non è un canyon, poiché non si tratta di una gola scavata dall’acqua, ma di una spaccatura tettonica; questa infatti è una zona sismica.

Comincio a percorrerlo a piedi, come in antichità lo percorrevano le processioni dei pellegrini nabatei; è spettacolare, stretto (a volte appena 2 m), alto, tortuoso; sulle sue pareti è possibile vedere gli antichi canali scavati per convogliare gli approvvigionamenti di acqua a Petra. Ma la sua caratteristica più bella è la funzione, potrei dire preparatoria, allo spettacolo incomparabile cui il visitatore può assistere alla sua fine. Dopo una curva, qualcosa si nota in fondo; non è la solita roccia, è il “Tesoro”. Raramente, nella mia vita, ho visto qualcosa di più emozionante; è come una visione, improvvisa, inattesa; quasi mi dispiace di sapere già che è lì, alla fine del Siq, da due millenni. Immagino quale sia stata la sorpresa dei primi visitatori che sono arrivati qui.

Il Tesoro, costruito come tomba di un re nabateo, è scolpito in un’alta parete di arenaria. Questa è una caratteristica comune di quasi tutti i monumenti di Petra: non sono “costruiti”, sono scavati nella roccia. E l’altra particolarità è che la facciata è la parte più interessante; l’interno del Tesoro, infatti, è una semplice sala disadorna.

La facciata del Tesoro è talmente bella e sorprendente, che una delle cose più interessanti è non solo, ovviamente, guardarla, ma osservare i turisti che escono dal lungo Siq: vedo la meraviglia dipinta sui loro volti sorridenti, di fronte a tale improvvisa visione.

Dopo il Tesoro, continuo seguendo il cosiddetto Siq esterno (il letto del Wadi Musa, questo sì un canyon, a differenza del Siq), lungo la strada della facciate; si tratta anche in questo caso di tombe, oltre 40. Subito dopo, c’è il teatro, anche questo costruito dai Nabatei 2000 anni fa (3000 posti, poi ampliato dai romani a 8500). Continuando, sul lato opposto del Wadi Musa (ora più ampio), passo davanti le tombe reali. Quindi il wadi piega decisamente verso ovest, fino alla Strada Colonnata, la via centrale di Petra. Al termine della strada, la Porta del Temenos. Dopo la Via Colonnata, arrivo al tempio del Qasr Al-Bint, uno dei pochi edifici di Petra non scavati nella roccia.

Resto un po’ seduto, alla fine di Petra, a riposare e ad ammirare le tombe illuminate dal sole che sta per tramontare, donando un bel colore rosso alle pietre. Accanto a me vedo diversi altri turisti, anche loro che “prendono fiato”; molti sono in giro dalla mattina e appaiono stanchi della lunga camminata. Questo è un posto strategico, posto quasi alla fine di Petra, nel punto più lontano raggiungibile a piedi, da dove quindi comincia la lunga marcia di rientro, per di più in salita. Per questo motivo qui stazionano molti beduini, con i loro cammelli (o asini), per vendere un passaggio agli stanchi turisti; le tariffe, ovviamente, sono più alte che all’entrata. Guardo i beduini; sono stanco: è un’ora e mezzo che cammino quasi senza sosta e so che il ritorno sarà lungo (non ci sono scorciatoie, devo rifare la stessa strada). D’altra parte le tariffe mi sembrano care, anche se capisco che pure per loro è faticoso, poiché il turista è sulla cavalcatura, ma loro normalmente seguono a piedi. Mi offrono un passaggio, ma rifiuto: troppo caro. Mi incammino, lentamente, e dopo una decina di metri il prezzo cala sensibilmente: accetto e monto su un asino, che, piano piano, mi riporta fino al Tesoro. Siedo un po’ sui gradini del Tesoro; è stata una visita magnifica, un posto davvero suggestivo. Sono talmente entusiasta che mando un sms in Italia, per rendere partecipi famiglia e amici di questo mio stato d’animo. Il sole ormai sta scomparendo dietro le rocce; attraverso il Siq a piedi e poi, a cavallo (solito “passaggio” da un beduino), l’ultimo tratto fino all’uscita.

La tv dell’albergo trasmette, quasi in continuazione, il film Indiana Jones e l’ultima crociata, la cui scena finale (il ritrovamento del Sacro Graal) è ambientata all’interno del Tesoro di Petra.

È stata una giornata fantastica, unica: il Wadi Rum stamattina e Petra nel pomeriggio! Un pieno di emozioni, da stordire. Domattina partenza presto: il nord della Giordania mi attende.

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