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BALCANI
L'Europa frammentata

15 giorni in giro per i Balcani, per visitare una zona d'Europa prima solo sfiorata nei miei precedenti viaggi in moto.

Certo, in 15 giorni non è possibile visitare approfonditamente tutti i 14 Stati attraversati in questo viaggio: si potrebbero dedicare ad ognuno più giorni.

Ma, averli attraversati così rapidamente in sequenza, mi ha permessa di operare confronti, che nell'immediatezza degli eventi, mi hanno permesso, crede, di apprezzare di più certe differenze e similitudini. Ed è un insieme di sensazioni, impressioni ed emozioni che mi restano dentro.

Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Albania, Kosovo, Macedonia, Serbia, Romania, Moldavia, Transdnistria, di nuovo Moldavia e Romania, Bulgaria, Turchia, Grecia, infine di nuovo Bulgaria, Serbia, Croazia, Slovenia, Italia.

Entro nei Balcani da Trieste e quindi il primo Stato è la


- Slovenia. Attraverso il confine sloveno senza alcuna formalità; non è nemmeno necessario fermarsi; gli edifici di confine sono solo vuoti ricordi di un tempo che spero non tornerà mai più. Ma mi fermo ugualmente, riflettendo sul fatto che questo è solo il primo dei 21 confini che dovrò attraversare in questo viaggio; e i successivi non saranno così semplici, anzi alcuni è prevedibile che saranno piuttosto "complicati".

In Slovenia ho previsto solo di far tappa per la notte, ma incontro due amici: Tomaz, il motociclista sloveno che rivedo dopo il viaggio fatto insieme l'anno scorso in Islanda, con cui ho passato una serata a parlare del viaggio passato e dei progetti futuri; e giannipiuma, incontrato prima solo virtualmente sul forum di Mototurismo, e che mi ha accompagnato nei km dalla sua Monfalcone alla Slovenia.

Una tranquilla statale, attraverso il Carso, mi porta verso la


- Croazia. La Croazia, per noi italiani, è soprattutto la costa: un'infinità di isole e baie su un mare azzurro. Ma non è questo quello che cerco. E così, diretto verso la Bosnia, percorro una strada interna, e visito i laghi di Plitvice.

I laghi di Plitvice (il più antico parco nazionale della Croazia) sono uno straordinario complesso di laghi e corsi d'acqua in un territorio carsico; 16 laghi a differenti altitudini (tra 502 e 636 m), collegati da numerose cascate. Questo fenomeno particolare è generato dalla sedimentazione del carbonato di calcio presente nelle acque, che "pietrifica" il muschio.

Percorro a piedi un tratto di bosco;all'ingresso spiego all'addetta che sono in moto e voglio solo fare una breve visita, senza inoltrarmi nel parco: mi fa passare senza biglietto.

Giungo quindi al primo lago, presso la cui riva sono ormeggiati alcuni battelli per turisti.Per visitare i laghi per bene dovrei avere a disposizione diverse ore ... oltre alla voglia di camminare parecchio lungo i sentieri del parco.

Tornato alla moto, dirigo verso la vicina


- Bosnia e Erzegovina. Avvisto presto le prime montagne di questo paese,mentre il pensiero non può non andare alle tragiche vicende che per tanti anni hanno portato alla ribalta questo martoriato angolo d'Europa.

Il passaggio di frontiera è veloce; entro quindi in Bosnia-Erzegovina; precisamente sono nella federazione Croato-Musulmana, una delle due entità che compongono la Bosnia, prodotto del difficile equilibrio tra le 3 etnie costituenti questo Stato. Il passaggio di frontiera, stavolta, mi pare qualcosa di più di un segno su una mappa; ho davvero l'impressione, inoltrandomi in queste terre, di qualcosa di diverso.

A ricordarmi le differenze di questi paesi, mi vengono incontro sul mio cammino gli inconfondibili profili delle prime moschee presenti numerose, alternate con più rade chiese cristiane.

Passato Bihac, la strada continua in un bel paesaggio tra le montagne,fino a Jaice; entro per qualche km nella Repubblica serba (l'altra entità della Bosnia); me lo ricordano le numerose bandiere serbe presenti, a voler riaffermare una propria identità, così come pochi km prima quelle croate mi ricordavano che ero in una zona croata.

A Jaice, visito la fortezzae la spettacolare cascata. Questa è formata dal fiume Pliva che si getta nel Vrbas.

Ripresa la moto, dirigo (attraverso la valle del Vrbas)su Travnik. La moschea di questa città (Sarena Dzamija, cioè moschea colorata) ha la particolarità (oltre alle insolite decorazioni colorate) che al piano inferiore è presente un portico con negozi, unico esempio nell'architettura ottomana di edificio adibito ad usi sia sacri che profani.

Dirigo quindi verso la Sarajevo.Grande è l'emozione quando, finalmente, avvisto la capitale della Bosnia; questa città diventata un simbolo dei feroci conflitti interetnici scoppiati alla fine dello scorso millennio nei Balcani.

Il sole è ormai basso quando percorro il lungo viale di accesso alla città, tristemente noto ai tempi del conflitto come il "viale dei cecchini". Sono ormai pochi i segni della guerra trascorsa e noto che la città è un brulicare di cantieri, che costruiscono moderni grattacieli.

Nel centro storico di Sarajevo,la moschea principale (Begova Dzamija) si annuncia da lontano col suo alto minareto,ma si rivela completamente alla vista solo dopo aver superato l'angusto varco nel muro perimetrale che la cingee che racchiude una tranquillo cortile, dove sono presenti, il sadrvan (fontana per le abluzioni rituali)e l'abdeshtana (la stanza per le abluzioni invernali).

Mi colpisce il cartello presente all'ingresso, in cui, oltre ai soliti consigli sull'abbigliamento da indossare (rispettoso della sacralità del luogo), c'è un divieto di introdurre fucili automatici,che mi fa venire in mente la recente guerra, quando anche le moschee di questa città erano "obiettivi militari".

Passeggio per le vie di Sarajevo, col fresco della sera che mitiga la calura del giorno; è una splendida città, in cui, accanto alle moschee, si vedono chiese ortodosse e cattoliche,simbolo di una convivenza di fedi diverse che nemmeno la feroce guerra civile è riuscita a cancellare. La cosa che più mi colpisce mentre giro per le animate vie del centro, piene di negozi e di gente, è l'abbigliamento delle donne: credo che Sarajevo sia una delle poche città al mondo in cui è possibile incontrare a passeggio per strada (anche insieme) donne velate, accanto ad altre in minigonna; segno di diversi stili di vita, che convivono (finalmente) senza problemi. Noto che comunque anche le donne velate (ma quasi mai completamente) si presentano perfettamente truccate.

Interessante anche il grande edificio dei bagni pubblici, in funzione dal 1529, i primi forniti di acqua corrente.

Tornando in albergo, è ormai sera e la sapiente illuminazione fa risaltare di una luce dorata gli edifici di questa bella città.

Riparto verso il Montenegro, attraverso la zona serba della Bosnia. La strada percorre l'angusta valle della Drina:è stretta, ma ancora in discrete condizioni. Entro in


- Montenegro e supero il canyon con un ponte sospeso;la strada continua con una sequenza di gallerie scavate nella viva roccia,fino ad arrivare ad un lungo lago artificiale.

Il bello però deve ancora arrivare. Giungo alla deviazione che porta al monte Durmitor, il monte più alto del Montenegro e il secondo delle Alpi Dinariche (m 2.522).

Ho qualche difficoltà ad individuarla, poichè si tratta di una galleria proprio accanto alla strada principale.

Il percorso prosegue con tornanti in galleria e in breve salgo di diverse centinaia di metri, pur restando la strada (molto tortuosa) vicinissima al lago.

Continuo la salita verso il monte Durmitor (parco nazionale), tra mandrie di cavalli che vagano liberi,verdi prati e boschi,fino ad arrivare a quasi 2.000 m, ai piedi della cima.Il traffico è praticamente assente, solo poche abitazioni di montagna; mi meraviglio di trovare un ... campetto di basket sulla strada!Arrivo quindi a Zabljak, principale località di soggiorno nel monte Durmitor.

Da qui mi dirigo verso il vicino canyon del fiume Tara (uno dei rami sorgenti della Drina). Si tratta del canyon più profondo ed esteso d'Europa (82 km), che raggiunge in alcuni punti i 1.300 m di strapiombo.

La strada scende fino al fondo del canyon, per poi risalire il fiume per circa 50 km, in un paesaggio di selvaggia bellezza.

Uscito dalla valle, mi fermo a visitare il monastero Moraca, isolato tra i monti.Superato il muro del recinto,si respira un'atmosfera di pace e serenità, con la chiesa circondata dai prati e dagli ambienti conventuali.All'esterno noto un semplice quanto efficace "frigo naturale", per tenere in fresco le bevande.

Attraverso un'altra stretta valle,la strada mi porta infine alla pianura e a Podgorica, la capitale del Montenegro. Non ho previsto di fermarmi in questa città, e quindi dirigo subito verso Cetinje, l'antica capitale, in mezzo alle montagne.

Giunto alla sua piazza principale (Malo Guvno),raggiungo gli edifici storici principali, ora adibiti a musei.Una particolarità che mi colpisce di questa città è che basta fare pochi metri dalla piazza principale per trovarsi davvero in mezzo alle montagne e alla natura, nei boschi.Raggiungo in breve il vicino monastero, che sembra fuori dal mondo, quando invece è a pochi metri dal centro cittadino.

Ormai però stanno calando le prime ombre della sera e devo trovare da dormire; ad un primo sopralluogo, non trovo molte possibilità di alloggio e decido quindi di puntare su Cattaro.

La strada si dirige verso le montagne e ben presto posso ammirare un bel panorama su Cetinje.Ma non è il caso di indugiare e riprendo quindi il percorso.

Ben presto la strada sale decisa sulle montagne, con una interminabile sequenza di curve e tornanti. La media è necessariamente bassa; non incontro molti paesi e comincio a chiedermi se troverò un posto per dormire.

Il paesaggio è molto bello, ma il sole, ormai basso, è proprio davanti ai miei occhi e in queste circostanze non ci sono occhiali da sole che tengano.

Raggiungo il valico a quasi 1.200 metri: mi rendo conto che non è il caso di cercare di arrivare a Cattaro stasera e così, al primo paese, chiedo di un alloggio. Mi dicono che, al prossimo paese, c'è un ristorante che ha delle camere.

Riprendo la strada, che adesso comincia una discesa ancora più ripida e tortuosa della salita, col sole sempre più fastidioso negli occhi,e finalmente arrivo a Njegusi, dove trovo alloggio.

Parcheggio la moto nel cortile del ristorante-albergo.Il posto è estremamente tranquillo: una valle tra le montagne.L'albergo non è un granchè: una stanza enorme, niente serratura, arredamento in parte "riciclato"e bagno nel corridoio. Ma ... per 10 euro.

Potrei entrare in Kosovo direttamente dal Montenegro, puntando su Pec; è la strada più corta e più facile.

Ma non vado in moto per cercare le strade più corte e più facili e ho quindi deciso di passare dall'Albania, pur memore della disastrosa condizione delle strade in quel paese, già sperimentata nel mio viaggio del 2006 in quello Stato.

La strada che scende verso Cattaro è estremamente tortuosa e ripida. Davvero spettacolare, scende tra le montagne verso il mare, stretta, probabilmente ancora come l'avevano costruita gli austriaci.

Dopo pochi km avvisto le Bocche di Cattaro; la strada è ancora a circa m 1.000 di altezza, ma il fiordo sembra vicinissimo, sotto di me. E' ancora presto e vedo l'ombra delle ripide montagne che, gradualmente, si ritira dalle coste delle Bocche. Panorama magnifico!

Affronto con calma la ripida discesa e, dopo un'infinità di tornanti, giungo a Cattaro. La città è racchiusa nelle sue possenti fortificazioni (costruite dai veneziani, cui la città appartenne dal 1420 al 1797) e presenta un centro storico intatto, molto bello.E' piacevole passeggiare per le sue tranquille vie, anche perchè, strette tra gli alti palazzi, vi abbonda l'ombra.

Ma la strada mi attende e così, dopo aver fatto colazione comodamente seduto ad uno dei tanti bar che affollano le strade del centro, riparto per costeggiare la parte interna delle Bocche di Cattaro.

Si tratta di un ampio fiordo, il più vasto del Mediterraneo, che è diviso in 3 bacini: il Porto interno, quello centrale e quello esterno.

Il panorama è spettacolare, con le alte montagne che si inabissano, ripide, nelle sue acque profonde. La riva, data la stagione, è affollata di turisti e noto i frequenti piccoli moli privati (o quasi) lungo la costa, dove quasi ogni abitazione ha una discesa a mare.Dopo qualche km raggiungo lo stretto canale che separa le Bocche interne da quelle centrali,lungo il quale è presente il traghetto che permette di evitare di fare il giro delle Bocche.

Dirigo quindi, lungo la litoranea, verso Budva che, affollata località balneare,supero senza fermarmi (anche se ci sarebbe il centro fortificato da visitare), per poi arrivare all'incantevole villaggio di Sveti Stefan. Si tratta di un piccolo borgo che, progressivamente spopolatosi, è stato completamente trasformato (nel 1952) in albergo.Il posto è davvero suggestivo, anche se, forse, ha perso la sua "naturalità" con la trasformazione subita. Riesco a fare qualche foto tranquilla prima dell'arrivo di un bus di turisti.

La costa in effetti è piuttosto turistica, anche se bella; dopo pochi km una strada nuova e veloce mi riporta verso Podgorica, superando con una galleria i rilievi costieri.

Nella capitale montenegrina faccio rifornimento (per evitare di avere questo problema in Albania, dove non voglio cambiare valuta) e quindi dirigo verso il vicino lago di Scutari e confine.

La strada per l'Albania diventa ben presto poco più di un viottolo.Ma pur sempre meglio di quello che mi aspetta in quel paese; passato il confine, infatti, vedo che le condizioni delle strade in questo Stato sembrano non essere migliorate dal mio viaggio del 2006. Entro in


- Albania. Arrivato a Scutari(la principale città dell'Albania settentrionale), imbocco la strada per il Kosovo. Chiedo ad alcuni taxi fermi in piazza notizia sulla condizione della strada e quanto tempo ci voglia per percorrere i 170 km fino al confine; ricevo notizie poco rassicuranti.

La strada è semplicemente terrificante; sembra una via dopo un bombardamento. Non buche, infatti, ma veri crateri si aprono numerosi e quasi mai segnalati. Una delle insidie maggiori, infatti, è proprio questa; capita magari di trovare qualche km in buono stato, che invoglia pure a una velocità discreta; poi, improvvisamente, buche e tratti talmente dissestati da rischiare di finire fuori strada o di rompere qualcosa.

Il paesaggio è selvaggio, con la strada che sale tra le montagne quasi disabitate, costeggiando a volte il fiume Drin che, interrotto da numerosi sbarramenti, forma spesso lunghi e suggestivi laghi artificiali.

Diciamo che, una volta prestata la massima attenzione alla strada, il percorso può essere definito bello.

Provoco grande sorpresa nei poveri villaggi che attraverso. Ricevo ovunque una sensazione di amicizia e di sincera curiosità; in un paese, fermatomi all'ombra per ristorarmi con bevande e provviste di bordo, un ambulante si avvicina offrendomi frutta fresca e, nonostante la mia insistenza, rifiuta di essere pagato; altri chiedono informazioni sulla mia provenienza, ma mai in modo assillante o fastidioso.

L'entusiasmo più coinvolgente lo trovo, però, come al solito, nei bambini; mi colpisce in particolare un incontro tra le montagne con 3 bambini, intenti a pascolare un gregge; chiedono una foto con la moto, anche se, ovviamente, la foto gliela potrò solo far vedere; ma a loro bene così e quindi, dopo aver acconsentito, me li ritrovo in un attimo tutti e 3 sulla moto.

Credo però che i bambini siano intenti anche a strani giochi, come desumo da una serie di sassi messi proprio sulla linea di mezzeria; una coincidenza troppo strana per pensare che siano caduti dalle vicine montagne: come se non ci fossero già abbastanza pericoli su questa strada!

Avvicinandosi al Kosovo, la strada peggiora ancora, anche a causa di alcuni lavori in corso che dovrebbero (quando finiti!) rendere finalmente questa strada adeguata alla sua funzione di principale collegamento tra l'Albania e l' "albanese" Kosovo. Intanto però, mi tocca fare lo slalom tra i cantieri e percorrere diversi km di insidioso sterrato, tra i sassi.

Arrivo infine alla frontiera (h 6.30 per percorrere 200 km in Albania), non senza un po' di apprensione. Il


- Kosovo è un punto centrale di questo viaggio, anzi proprio la molla che ha fatto scattare il desiderio di intraprenderlo.

In molti hanno tentato di dissuadermi dal recarmici, mettendomi in guardia contro i pericoli di un paese da poco uscito da una guerra civile e dove ancora, ogni tanto, scoppiano scontri tra la maggioranza albanese e la minoranza serba; oltre alle tensioni originate dalla recentissima dichiarazione di indipendenza, fortemente contestata dalla Serbia e dai serbi.

Ma il passaggio di frontiera si rivela abbastanza semplice e rapido: non sono presenti militari del Kosovo; infatti le frontiere sono presidiate (come buona parte del paese) dalla missione ONU della KFOR (presente anche un contingente italiano).

Presento il passaporto, i documenti della moto, stipulo la necessaria assicurazione temporanea (qui non vale la carta verde) ed entro in Kosovo.

La prima sorpresa è positiva: la strada è perfetta! E' finita la tortura delle strade albanesi.Percorro un altopiano a circa 400 m e dopo meno di 20 km giungo a Prizren, la seconda città del Kosovo.Oltre 12 ore di moto mi consigliano di trovare subito un alloggio: punto verso il centro, chiedo a qualche passante, mi guardo in giro e trovo subito un albergo, dal nome significativo "Tirana". Cerco un posto sicuro per la notte anche per la moto e l'addetto me la fa parcheggiare proprio di fronte all'ingresso, in un posto che poi stanotte "chiuderà", sbarrandolo.

Prizren si presenta come una bella città, con un caratteristico centro storico, dalla chiara impronta turca. Interessante il ponte anticoe la moschea Sinan Pasha.Ma gli effetti dei tragici avvenimenti del Kosovo si vedono quando cerco di visitare anche la chiesa ortodossa, indicata dalla guida, la Sveta Bogorodica Ljeviska. Non disponendo di carte dettagliate, chiedo in giro e la prima difficoltà è trovarla: i cittadini di Prizren infatti non sembrano molto informati al riguardo, o forse sono poco interessati, anche perchè sono ormai quasi tutti mussulmani. Trovata la chiesa, posso "toccare con mano" la situazione dei luoghi di culto serbo-ortodossi in Kosovo. Fa proprio tristezza vederla così: chiusa, abbandonata e circondata dal filo spinato.Come anche altre chiese in città.

Tornato in centro, noto che la sera sembra molto animato, con la gente a passeggio, i locali pieni; solo la presenza, discreta ma costante, dei militarei della KFOR e delle loro camionette (a Prizren sono di stanza i tedeschi) ricorda la situazione "anomala" del Kosovo.Ad animare la piazza contribuisce anche un concerto organizzato dall'UNHCR in occasione dell'odierno "World Refugee Day".

Cena in piazza, ottima ed economica.Tornato in albergo, dopo un po' vengo svegliato da forti rumori e grida.

Mi affaccio alla finestra, mezzo addormentato (quando viaggio mi corico presto, in modo da svegliarmi all'alba e poter sfruttare al massimo la luce per viaggiare in moto) e comprendo quello che è accaduto: la Turchia ha superato il turno nell'odierna gara dei campionati europei di calcio e la folla sta festeggiando con caroselli di auto, sventolando bandiere turche; credo che questa immagine chiarisca più di qualunque discorso dove sia il cuore dei kosovari.

Ritrovata la moto dove l'avevo lasciata,mi dirigo verso Pec. Il Kosovo è piccolo (Km² 10.887) e le distanze da coprire quindi, nonostante sia prevalentemente montuoso, non sono notevoli.

La strada corre a poca distanza dal confine con l'Albania, posto alla mia sinistra sul crinale delle montagne. Noto le frequenti bandiere albanesi, anche sui minareti.Ma quello che mi colpisce di più è un cartello sul ... passaggio di carri armati,chiaro monito che, nonostante le possibili apparenze, questo non è un paese normale, ma soggetto ad amministrazione ONU e soprattutto sorvegliato dalla missione militare della KFOR, senza la quale (credo) le violenze e la guerra civile ricomincerebbero.

Poco prima di Pec è il monastero di Decani, presso l'omonimo paese. Giro per il centro abitato cercando indicazioni, ma non vedo nulla: eppure il monastero è uno dei più importanti della regione. Risolvo chiedendo indicazioni e, dopo qualche tentativo, trovo la strada giusta. Mi rendo conto che a molti degli albanesi del Kosovo importa ben poco del grande patrimonio culturale costituito dai monasteri; situazione comprensibile (anche se non condivisibile) viste le violenze che gli albanesi hanno subito dai serbi, che hanno portato (mi sembra) a rimuovere (mentalmente, se non fisicamente) questa parte della storia del Kosovo.

Arrivato alla strada che porta all'ingresso del monastero, trovo il primo posto di blocco della mia visita del Kosovo.A presidiarlo, in completa tenuta da combattimento, sono (come mi ero documentato prima del viaggio) militari del contingente italiano della KFOR.

E' la prima volta che, in un viaggio all'estero, incontro militari italiani. Anche per loro però credo sia una prima volta, perchè credo che non abbiano mai visto qui un mototurista. Sono infatti l'unico turista e l'unico motociclista presente. Ogni tanto passano alcuni veicoli di operai diretti al monastero.

Fin dall'Italia, viaggio con le bandiere della moto ben aperte (quella europea e quella italiana): è quindi ben evidente a chiunque mi vede, anche da lontano, che sono un italiano. Mi avvicino al posto di blocco rallentando e, giunto al segnale, mi fermo, attendendo istruzioni.

Noto la sorpresa nei giovani visi dei militari che mi osservano. Al cenno di avanzare, mi avvicino e li saluto: "Sono italiano, posso visitare il monastero?" Consegno quindi il passaporto e i militari chiamano al telefono per avere istruzioni: immagino che per loro non sia una situazione frequente!

Nell'attesa di avere il via libera, chiacchiero con i militari: alcuni di loro sono qui da molti mesi e, per diversi di loro (nonostante la giovane età), non è la prima missione del genere (Afghanistan, Libano, ...). Giunge quindi l'ok e mi dirigo con la moto verso il monastero. All'ingresso c'è un altro posto di blocco, dove lascio il passaporto e la moto (unico veicolo nel parcheggio).Entro quindi finalmente nel monastero di Decani, fondato all'inizio del XIV sec. da un re serbo.

Appena dentro mi colpisce l'atmosfera di pace e serenità, in forte contrasto con tutti i posti di blocco presenti all'esterno. All'interno del recinto (la cui funzione di protezione devo amaramente constatare non si è esaurita nel corso dei secoli), spicca la mole della chiesa, su un prato verdissimo, ben curato.Intorno alla chiesa, gli ambienti conventuali.Entro a visitare la chiesa, le cui pareti interne sono (come si usa nelle chiese ortodosse) completamente affrescate da figure religiose. Purtroppo, come mi succederà quasi sempre in questo viaggio, non è possibile fotografare l'interno.

Parlo col pope, che mi conferma che, se non ci fossero i militari a proteggere il monastero, gli "albanesi" (cioè i kosovari di etnia albanese) deprederebbero il monastero. Noto serenità mista a rassegnazione nelle sue parole; è molto gentile: mi apre la chiesa e mi spiega i vari particolari del monumento. Gli anni trascorsi a contatto con i militari italiani di guardia gli hanno fatto imparare piuttosto bene la nostra lingua e quindi riusciamo a conversare agevolmente.

Di fronte ad una mia richiesta, mi dice anche che sono molto impegnati nella preparazione di icone, data la notevole richiesta dei militari della KFOR, tanto che, per averne una, è necessario attendere quasi un anno.

Uscito dal monastero, riprendo i mie documenti e la moto, ripasso i due posti di blocco e mi dirigo verso Pec.

Arrivato in città, punto verso il centro. Giunto, dopo qualche giro nei vicoli,di fronte alla moschea principale, il gentile custode, salutandomi con entusiasmo e ringraziando per i contributi ricevuti (dall'ONU, presumo) per la ricostruzione della moschea (che, come tante altre, aveva subito danni nel corso della repressione serba nel Kosovo), mi apre la moschea, facendomela visitare.E' bello questa passare, in pochi metri, da un monastero ortodosso a una moschea islamica. Chissà quando, però, quello che io apprezzo come una diversità culturale e storica (oltre che ovviamente una legittima differenza religiosa), sarà percepito dalla popolazione locale allo stesso modo. Temo che non sia una questione di anni, ma di generazioni.

Uscito da Pec, mi dirigo verso il monumento più importante del Kosovo per la cultura serba : il monastero Patrijarsija , cioè l'antico patriarcato serbo.

Nuovo posto di blocco (anche questo presidiato dagli italiani), nuova identica trafila per entrare, ma stavolta c'è un intoppo: per poter entrare è necessario chiedere il permesso alla custode del monastero, che i militari non riescono a contattare. Dopo aver aspettato un po' (e chiacchierato con i soldati), mi consigliano (nell'attesa) di fare un giro nei dintorni, indicandomi una vicina valle molto bella.

Ed è così che scopro un percorso veramente interessante, che parte da Pec e, dopo essere passato davanti alle lunghe mura del monastero (con la solita recinzione aggiunta del filo spinato),si dirige verso il vicino Montenegro, lungo una valle suggestiva. La strada si apre il varco nella viva roccia, attraverso la stretta valle.Questa strada rappresenta la via più agevole per entrare in Kosovo dal Montenegro (senza il faticoso passaggio dall'Albania che ho fatto ieri), anche se, comunque, è un percorso di montagna. Mentre la percorro tranquillamente in moto, penso alle migliaia di profughi kosovari che, spinti dai massacri e dalla pulizia etnica operata dai militari serbi, fuggivano tra queste montagne verso il Montenegro (o l'Albania o la Macedonia).

Arrivato ad una cascata,decido di tornare indietro: spero che i soldati siano riusciti a contattare la custode del monastero.

Così è infatti e quindi posso visitare il famoso Patriarcato di Pec. Il monastero risale al XII sec., quando l'arcivescovado ortodosso di Zica fondò la chiesa dei SS Apostoli, per sottrarre la regione alla giurisdizione dell'arcivescovo greco di Ocrida; nel 1253 vi fu portata anche la sede dell'arcivescovo serbo e nel 1346 l'imperatore serbo Dusan la elevò al rango di patriarcato autocefalo. Il patriarcato fu abolito nel 1766 e ristabilito nel 1920 a Belgrado.

Del vero e proprio Patriarcato restano solo le fondamenta, mentre sono intatte la sala dei sinodi e le quattro chiese affiancate.

Purtroppo la custode non permette nessuna foto.Dopo aver visitato il Patriarcato di Pec, mi rendo ancora maggiormente conto di quanto sia importante il Kosovo per il popolo serbo e questo luogo in particolare e quanto doloroso rappresenti per loro, quindi, il fatto che sia ormai in "terra straniera"; è la culla della nazione, rappresenta la nascita della loro Chiesa.

Purtroppo troppo tardi, però, questo popolo è riuscito a liberarsi di governanti tanto inadeguati quanto criminali, che lo hanno portato a subire questa, ormai irreversibile, perdita.

Dopo Pec, dirigo verso la capitale del Kosovo, Pristina, attraversando l'area centrale del Kosovo, lungo un altopiano che sale gradatamente dai circa 500 m di Pec agli oltre 600 di Pristina.

Fa caldo e, anche se quella di oggi è una tappa breve (insolitamente breve per me), mi sento stanco. In questo caso meglio fermarsi. La stanchezza non arriva con i km: può arrivare quando meno te lo aspetti. Come ho fatto anche 2.700 km in 24 ore, senza avvertire stanchezza, così posso avvertire stanchezza dopo appena 200, come oggi.

Individuo una stazione di servizio, con delle belle panche all'ombra; mi fermo, compro dell'acqua fresca e mi stendo a riposare. Il cameriere del bar mi chiede se mi serve qualcosa: avevo notato che fanno un'espresso italiano (rarità all'estero): gli rispondo "un caffè tra 20 minuti".

Ritemprato dal breve riposo (e dal caffè), riprendo la strada verso Pristina. Poco prima della capitale del Kosovo, attraverso la località di Kosovo Polje. Guardandomi intorno, non sembra niente di speciale, ma questo è un posto molto importante per la storia della Serbia. Qui (o più precisamente nella piana che si estende a nord) si tenne una importante battaglia (Kosovo Polje, o Piana dei Merli), tra l'esercito serbo (insieme agli alleati cristiano bosniaci) e quello ottomano. Questi ultimi vinsero, i serbi subirono gravissime perdite e fu l'inizio della fine per il regno di Serbia, completamente conquistato dagli ottomani nel 1459.

Questa battaglia è considerata dai Serbi (nonostante la sconfitta) come fondante della loro identità nazionale; il principe Lazar (che comandava l'esercito) fu canonizzato dalla chiesa ortodossa serba. Nel 1989, 600 anni dopo, qui Milosevic (allora presidente della Serbia, poco prima che scoppiasse il grave conflitto tra le repubbliche federate) tenne un discorso, nell'ambito della sua politica nazionalistica, esaltando il ruolo della Serbia.

Tutti questi pensieri si rincorrono nella mia mente, quando avvisto Pristina, la capitale di quel Kosovo ormai non più serbo.

La cosa più interessante che ho previsto di visitare a Pristina non è in città, ma qualche km a sud: un monastero a Gracanica.

Decido quindi di raggiungere quella località, per poi tornare verso il centro città, trovare alloggio e visitare Pristina con calma (oggi ho fatto presto: non sono ancora le 15).

Ma le cose vanno diversamente: complici la mancanza di carte dettagliate nel gps, l'assoluta mancanza di indicazioni stradali (Gracanica si trova in una delle poche zone serbe del Kosovo e in Kosovo la segnaletica stradale non abbonda certo di indicazioni verso i monasteri), dopo aver imboccato (correttamente) la superstrada per la Macedonia, non riesco a trovare lo svincolo per Gracanica. Faccio su e giù un paio di volte, chiedo ripetutamente indicazioni e infine credo di aver capito come arrivarci. Ma sono sul lato sbagliato di uno svincolo parzialmente in costruzione. La persona cui ho chiesto informazioni mi fa cenno di passare, attraverso un breve sentiero in terra che porta sull'altra carreggiata. Non vorrei passare di lì, preferirei fare tutto il giro, tanto non ho fretta; ma insiste, dice che non c'è problema; infine passo, percorro i pochi metri del sentiero e ... alla fine c'è un marciapiede; ormai è troppo complicato tornare indietro, il dislivello mi sembra modesto; decido di passare e ... bum, sento un colpo sotto alla moto.

Sulle prime non do molta importanza alla cosa; altre volte ho toccato sotto alla moto; quasi sempre è il cavalletto centrale, che può assorbire senza problemi colpi anche forti, proteggendo il resto. Ma stavolta non ho urtato il cavalletto; me ne rendo contro dopo pochi km, quando, trovato finalmente lo svincolo per Gracanica (per forza non lo trovavo: non c'era scritto il nome della località serba, ma di una albanese posta dopo Gracanica!), noto che sto perdendo olio!

Mai nei miei viaggi in moto ho avuto paura ... tranne in questo momento. Temo di aver rotto qualcosa sotto, al motore. Penso "sono sopravvissuto (con la moto intera) alle terrificanti strade albanesi di ieri, per poi rompere la moto e rischiare di finire il mio viaggio per un marciapiede!".

Non c'è tempo da perdere: lascio dietro di me una lunga, continua, scia d'olio. Stimo però che la perdita sia debole: nei pochi minuti passati avrò perso poche centinaia di grammi d'olio; potrei fermarmi a rabboccare, ma sarebbe un palliativo e ritengo più opportuno non perdere tempo e recarmi subito alla vicina Pristina a cercare un meccanico.

Mi fiondo in centro, giro un po' alla ricerca di un meccanico, chiedo, ma nulla. Alla fine blocco un taxi, gli spiego il problema e gli chiedo di portarmi subito da un meccanico: gli pagherò la corsa (poi mi chiederà appena 3 €). Il tassista mi porta al meglio che riesce a trovare: un meccanico che fa assistenza gli scooter Mondial .... e ripara biciclette! Alzo gli occhi al cielo e ... speriamo bene!

Il meccanico non capisce una parola d'inglese, io ovviamente nulla di albanese; gli spiego quindi il problema tramite il tassista, ma tanto la scia d'olio è già abbastanza chiara!

Guardiamo sotto e ... subito una buona notizia: non è niente di grave: è solo il filtro dell'olio che, con la botta presa, si è rotto."Solo", per la verità, non sarebbe la parola giusta, poichè non devo dimenticare di essere in Kosovo. Vabbè, che sarà mai, in fondo sono in una capitale di uno Stato europeo, si troverà un filtro dell'olio della marca di motociclette più diffusa al mondo! Invece NO!

Per farla breve, dopo un intero pomeriggio di attesa, il meccanico riesce a trovarmi un filtro dell'olio di marca sconosciuta, più grande del mio, ma che, fortunatamente ha la stessa filettatura. In Italia glielo avrei tirato dietro, ma qui è come la manna dal cielo. Lo monta, lo controlla, rabbocco con due kg d'olio (stimo uno perso per strada e un altro nel cambio del filtro), anche questo di marca sconosciuta (rabbrividisco quando leggo sulla confezione "per motori 2 T, 4T e diesel"): il filtro non perde, il problema sembra risolto.

Durante l'attesa presso il meccanico, mi sento chiamare "Marcello, ma tu che ci fai qui?!".

E' Tano, un mio amico motociclista (ha una Gold Wing 1500 come me), che non vedo da anni, da un raduno Gold Wing. "Faccio un giro in moto" gli rispondo ridendo: lui è qui da mesi, carabiniere nella missione internazionale in Kosovo, come mi racconta appena sceso dalla camionetta militare che si è fermata proprio di fronte al "mio" meccanico.Incredibile, trovo un amico, con la stessa mia moto, che non vedevo da anni, qui, in Kosovo! Tano sembra ancora più meravigliato di me: di turisti in effetti non ne ha visti molti qui, nè di motociclisti: sono il primo italiano in moto che incontra in Kosovo. Anche lui mi dà del "pazzo": grandi risate, tanti ricordi e staremmo a parlare per ore, anche del mio viaggio, ma il dovere lo chiama. Mi dà qualche utile indicazione su dove dormire e dove andare, e ci salutiamo.

E' ormai sera quando il meccanico trova il filtro e mi sistema la moto. Il pomeriggio, che avevo programmato altrimenti, ormai è andato. Pazienza, poteva andare peggio! Trovo l'albergo ed esco un po' in giro per Pristina e dintorni.

Di questo giro serale, mi colpisce la gran vita presente in questa città, piena di locali, affollati di gente (è sabato sera). Forse è anche la voglia di lasciarsi indietro anni di guerre e di incertezza, in un nuovo Stato che spera in un futuro migliore.

Gentilissimi i poliziotti locali, che mi fanno passare in moto e parcheggiare senza problemi, in pieno centro. Anche a Pristina è notevole la presenza dei militari della missione internazionale, di varie nazionalità (a Pristina è presente il comando della KFOR).

Appena arrivato nel paese di Gracanica, mi rendo subito conto che sono in una zona abitata da serbi. Lo dicono le bandiere serbe esposte sulle strade, i simboli religiosi; mi sembra anche di notare un generale peggioramento delle condizioni di vita. Giunto al monastero, noto subito il lungo muro di cinta, rinforzato dal filo spinato.Di guardia sono alcuni soldati svedesi, sempre della missione internazionale. Solita trafila ed entro nel monastero. Noto anche una poliziotta kosovara, ma chiaramente di etnia serba, che, parcheggiata fuori l'auto di servizio,entra nel monastero a pregare.

Il monastero di Gracanica è uno dei più importanti monumenti dell'architettura serba medioevale; costruito (dal re serbo Milutin) tra il 1313 e il 1321, incendiato dai turchi alla fine del secolo e poi restaurato, nel 1539 fu dotato di una tipografia da cui uscirono i primi capolavori della stampa serba.

Oltrepassato il muro di cinta, ho ancora la sensazione, come negli altri monasteri, di essere fuori dal mondo; nulla lascia immaginare le tensioni esistenti fuori ... finchè non si guarda il filo spinato presente sulla recinzione. Visito con calma il monastero e il cortile, occupato da prati e da alberi.

A Pristina è interessante la Sahat Kula (Torre dell'Orologio)e le moschee Carsi (o del Sultano) e Fatih (Imperiale)

Dal Kosovo non è possibile passare in Serbia (che non riconosce questo Stato); devo quindi prima andare in


- Macedonia. La frontiera macedone si passa abbastanza rapidamente (è una piacevole sorpresa in questo viaggio la relativa semplicità e rapidità dei controlli di frontiera) e in breve arrivo nella capitale Skopje. Significativo il Kameni Most, il grande ponte del XV sec. sul fiume Vardar, che unisce la vecchia città turca alla parte nuova.La fortezza (Kale), costruita dai bizantini e poi rimaneggiata dai turchi, posta su una collina in un ampio parco, offre un bel panorama sulla città.Pranzo in un ristorante sul fiume (in questi posti è difficile spendere più di pochi euro per mangiare)e via verso un altro confine da attraversare. Prima però decido di fermarmi a visitare un monastero tra le montagne, quello di Staro Nagoricane. Qualche difficoltà per trovarlo, risolta chiedendo ad un locale che mi accompagna per un tratto con la sua auto. Il monastero, costruito nel 1313 dal re di Serbia Milutin, appare piuttosto malridotto. Parcheggiata la moto all'esterno, mi si avvicina una persona che, con una piccola mancia, mi apre la porta del recinto e mi fa visitare il complesso.

Adesso è l'ora di entrare in


- Serbia; poco prima della dogana, mi fermo un attimo e guardo la moto: è dall'Italia (tranne i veloci tratti autostradali) che viaggio con le bandiere europee e italiana spiegate al vento. Mi chiedo se sia il caso di farlo anche in Serbia, che certo non vede di buon occhio l'appoggio dato dall'U.E. alla recente indipendenza del Kosovo (per non parlare dei bombardamenti NATO del 1999). Ma decido di mantenerle aperte: non ho mai avuto problemi, in nessuno degli Stati che ho visitato, a causa della mia nazionalità, che non ho mai nascosto: voglio dare alla Serbia la possibilità di non smentire questa tradizione.

Però, prudenzialmente, copro l'adesivo della bandiera del Kosovo, ultimo aggiunto alla mia "collezione".Conoscendo la "sensibilità" dei serbi su questo argomento, meglio non "provocare".

Nelle soste verifico comunque grande simpatia, probabilmente anche provocata dalla moto; in una di queste (un classico) una bambina (o meglio il padre) chiede di essere fotografata sulla moto.I bambini sono uguali in tutto il mondo.

In Serbia (nessun problema alla frontiera) mi dirigo verso nord, lungo la strada principale di questo paese, qui però ancora non autostrada.

Noto dei cartelli stradali che indicano il Patriarcato, cioè il monastero Patrijarsija di Pec, che ho visitato ieri. Lo indicano come, in Italia, indichiamo una qualsiasi località storica importante "posta in Italia". Non vi è alcun accenno al fatto che il Patriarcato è, ormai, in un altro Stato, oltre un confine ormai, di fatto, esistente. E' indicato come se fosse una qualunque località serba, senza accenno alcuno che è in Kosovo. Sintomo, anche questo, di un non volere accettare quello che, ormai, non possono impedire.

Dopo Nis punto a nord-est e la strada peggiora decisamente. A tratti dissestata, presenta soprattutto alcuni tratti molto pericolosi, dove alcuni pezzi di asfalto sono stati semplicemente rimossi, in attesa di sostituzione; e senza alcun accorgimento per limitare i danni per i veicoli che ci finiscono dentro, soprattutto le moto (non ne ho vista nessuna), poichè i bordi di tali buche sono completamente verticali, con le conseguenze che potete immaginare quando, qualche volta, non riesco ad evitarle.

Un po' affaticato da questi tratti (che si prolungano per diverse decine di km), arrivo a Zajecar, città della Serbia orientale.

La sera, nella piazza principale della città, mi sento chiamare da tre motociclisti locali, che mi hanno visto parcheggiare la moto: sono molto gentili e curiosi di sentire del mio viaggio (mi offrono anche un gelato). Racconto con piacere dei paesi percorsi: arrivato al Kosovo, cerco di essere il più "neutro" possibile, per non urtare la loro sensibilità. Ma, mentre racconto del mio giro dei monasteri serbi del Kosovo, noto un certo disagio nei loro volti e immagino cosa provino in questi momenti; purtroppo il loro inglese approssimativo non mi permette di approfondire l'argomento, cosa che, con le cautele del caso, credo sarebbe stato interessante fare.

Diretto verso le gole del Danubio, avvisto prima le Porte di Ferro. In questo punto, famoso fin dall'antichità, il Danubio formava una strettoia lunga 3 km e larga 500 m, pericolosa per la navigazione a causa della presenza di scogli affioranti. Qui ora c'è una diga (costruita nel 1964-72), lunga 1287 m alla sommità e 448 alla base; in questo modo il livello del Danubio si è alzato di 30 m, permettendo anche alle navi di 5.000 t di arrivare a Belgrado dal mar Nero.

Ma non è questo il punto più spettacolare e quindi risalgo il Danubio (restando sul lato serbo, di fronte c'è la Romania) per 37 km, lungo le cosiddette marmitte del Danubio (Canazele Dunarii), riserva naturale all'interno del Parco naturale delle Porte di Ferro.Fa molto caldo, e ogni tanto mi fermo in alcuni punti sosta, non so quanto per fare spettacolari foto e quanto invece per trovare un po' di frescura.

Torno quindi indietro fino alle Porte di Ferro, che supero passando sopra lo sbarramento, ed entro in


- Romania.Il programma è di attraversare la Transilvania, da sud-ovest a nord-est, fino in Moldavia. Ben presto la strada comincia ad aprirsi il varco attraverso i Carpazi, in mezzo a fitti boschi che fortunatamente forniscono refrigerio alla intensa calura, anche con fresche sorgenti d'acqua.

Fermatomi in un paese per ristorarmi, si avvicina il solito gruppo di persone, incuriosito dalla moto. Si avvicina anche una donna, che mi chiede, sorpresa, se davvero viaggio in moto da solo. Di fronte alla mia conferma, mi raccomanda di stare attento: la tranquillizzo che starò attento alle strade (ne ho già "apprezzato" lo stato non eccelso), evitando di viaggiare al buio. Mi risponde, preoccupata, di stare attento non solo a quello!

Conosco i rischi di viaggiare da solo in moto, soprattutto in certi paesi. Credo che, comunque, se dovessi dar retta alla paura, non partirei nemmeno; in fondo, credo di non rischiare più che ad andare la sera in giro presso la stazione centrale di una grande città italiana.

Tra Petroseni e Hunedoara faccio una deviazione per visitare la chiesa di Densus. E' un piccolo villaggio, con la chiesa seminascosta dalla vegetazione, costruita nel XIII sec. su costruzioni del X, con materiale di riporto dei vicini siti archeologici romani. Alcuni fanno risalire la costruzione al VI sec., in seguito alla trasformazione di un mausoleo romano. E' in fase di restauro. Non c'è nessuno; visito con calma l'esterno: purtroppo l'interno, affrescato, è chiuso.

Arrivato ad Hunedoara, noto gli strani palazzi della nutrita comunità Rom, con i tetti in scintillante lamiera a forma di pagoda.Il monumento principale della città è il castello dei Corvino (Corbenestilor). Il nome deriva dall'appellativo che assunse la nobile famiglia degli Hunedoara, magiarizzato in Hunyadi, che diede al trono ungherese il grande sovrano Mattia Corvino. Questo mi ricorda che, in questa zona, fortissima fu la presenza ungherese, comunità ancora presente seppure in misura molto inferiore rispetto al passato; fortunatamente però senza le tensioni viste pochi giorni fa in Kosovo.

Il castello, è splendido nella luce del tramonto, in cima alla collina di San Pietro, lambito dal fiume Zlasti.

Trovo un albergo in centro, di stampo sovietico. Marmi nelle sale, ma l'ascensore non funziona. Poco male: farò un po' di moto.

Dopo la partenza da Hunedoara, noto un parcheggio per limousine, in forte contrasto col livello di vita locale.Purtroppo la strada è molto trafficata, soprattutto da TIR che intasano la sede viaria; probabilmente si tratta di una direttrice importante, che spero di abbandonare alla prossima città.

La prima tappa è Sebes, dove c'è un'interessante chiesa evangelica, di origine sassone. Infatti in Transilvania era presente anche un'importante comunità sassone, ancora esistente, sia pure numericamente ridotta. La targa in tedesco (Sebes in tedesco "Muhlbach") lo testimonia.

La successiva sosta dovrebbe essere Sighisoara, ma il caldo opprimente mi porta a cercare un altro motivo di visita lungo il percorso, e così mi fermo a Sibiu. Scelta indovinata, perchè la città presenta un bel centro storico (pedonale) e una splendida piazza centrale.Dopo la visita, mi piazzo all'ombra in uno dei tanti bar (ce n'è anche uno che fornisce gratuitamente internet wireless) a prendere fiato. Interessanti gli abbaini a forma d'occhio e la fontana "rasoterra", dove giocano i bambini.

Ma la strada chiama e così di nuovo in sella, attraverso le verdi colline della Transilvania,verso Sighisoara, la città natale di Dracula. In questa città, molto interessante la città alta, ancora circondata dalle antiche mura. Parcheggiata la moto in una piazzetta a ridosso del centro, salgo verso l'antica Torre del Consiglio (Turnul cu Ceas) o dell'orologio.Lì vicino è la casa natale di Dracula, ora ristorante.Curiosa la Hirscherhaus, detta casa cu cerb, per la presenza di una testa di cervo in legno con corna naturali sullo spigolo dell'edificio.

Con Sighisoara finisce la mia esplorazione "cittadina" della Transilvania, e ora dirigo, senza altre soste, verso i valichi di montagna che, attraversando nuovamente i Carpazi, mi porteranno verso la Moldavia romena. Prima il Bucin-Borzont ( m 1.287), poi, dopo il paese di Gheorgheni, il passo Bicaz ( m 1.256). Purtroppo, presso quest'ultimo, comincia a piovere, e ben presto la strada in alcuni punti diventa insidiosa, a causa dell'invasione della carreggiata da parte del fango. Ad un certo punto incrocio un pullman che, per attraversare un passaggio difficile, fa addirittura scendere tutti i passeggeri; un po' di timore, ma passo anch'io (senza scendere dalla moto, ovviamente).

La pioggia non mi permette di cogliere appieno la bellezza del posto. Dopo il valico la strada passa vicino al lago rosa (dicono molto bello, ma il maltempo mi induce a tirare dritto) per poi insinuarsi nelle strette gole di Bicaz, davvero spettacolari.Arrivato al punto più stretto delle gole, la pioggia diventa violento temporale e preferisco fermarmi e trovare rifugio in un chiosco dei venditori di souvenir, strategicamente piazzati sul posto.Approfittando di un attenuarsi della pioggia, riprendo la moto e, percorso l'ultimo tratto delle gole,giungo a Bicaz.

Trovo alloggio in un motel-ristorante sulla strada principale: quando il gestore dell'albergo mi vede tutto gocciolante non ho bisogno di spiegare che sono in moto e mi trova subito un riparo per lei per la notte, in un deposito (di cui deve aprire il portone grande, chè la Gold Wing dalla porticina proprio non ci passa!).

Dopo aver costeggiato il lago artificiale di Bicaz, valicato un passo a 950 m, arrivo al monastero di Neamt.E' il più grande monastero maschile della Romania, in una zona collinare (500 m) coperta di boschi, già famoso nel '300, soprattutto come centro di diffusione culturale, grazie alla sua officina di miniaturisti, calligrafi, pittori. Notevole la chiesa (1493), posta al centro del cortile, con mattoni a vista e ceramiche ornamentali, alti spioventi.Curioso il battistero, esterno al convento, dall'enorme cupola.

Ma la cosa più curiosa, secondo me, è la ... curiosità e l'interesse manifestato dai monaci verso la mia moto. Fin dall'arrivo, si sono avvicinati e hanno chiesto particolari su di essa;ma, adesso che sto per ripartire, un monaco si avvicina, chiede particolari e ... mi chiede di provarla. Non ho mai fatto guidare la mia moto a nessuno (escluso il mio meccanico), ma il monaco insiste e infine accetto, a patto però di fotografarlo. Gli do alcuni essenziali e importanti consigli (lui dice di aver guidato moto, ma la Gold Wing è decisamente un'altra cosa), sale sulla moto, gli resto accanto aiutandolo per prima cosa ... a non cadere prima ancora di mettere in moto. Viste le difficoltà, gli chiedo se è ancora sicuro di voler provare: risponde di sì, convinto. Mette in moto e ... devo reggerlo altrimenti cade subito! Accenna a muoversi, non riesce a fermarsi, noto la leva della frizione esageratamente tirata,infine intervengo, prima che rovini a terra, fermando (con qualche difficoltà) la moto con le mani: non è il caso di insistere e se ne rende conto anche lui.

Dopo il brivido del pope sulla moto, saluto e dirigo sul capoluogo della Moldavia romena, Iasi, attraverso le colline.A Iasi punto verso il centro (aiutato dal solito motociclista, categoria che, seppur rara in questi posti, non si sottrae mai dall'aiutare un "collega" che cerca indicazioni), fino alla Biserica Trei Ierarhi, intitolata ai tre gerarchi della Chiesa (san Basilio di Cesarea, san Giovanni Crisostomo e san Gregorio il Taumaturgo). La Chiesa, imponente, è impressionante nel suo ricchissimo apparato decorativo esterno, un merletto di intagli.

Da Chisinau il confine Moldavo, rappresentato dal fiume Prut, è vicino, appena 15 km ... in linea d'aria.

Poichè devo semplicemente andare dal capoluogo della Moldavia romena (Iasi) alla capitale della Moldavia indipendente (Chisinau), credo che non avrò problemi a trovare la strada, ma ...

La via più breve sulla carta porta in 22 km alla località di Bosia e alla dirimpettaia moldava Ungheni (subito dopo il fiume Prut). Mi dirigo fiducioso, ma, dopo un po', la strada peggiora decisamente, fino a diventare proprio disastrata. Preoccupato, chiedo indicazione se sia quella la strada per Ungheni e la Moldavia, chiedendo anche a dei poliziotti; rispondono di sì e continuo, pensando che, in fondo, se me lo dicono le persone del posto e per di più dei poliziotti, sarà la strada giusta. Passo infine la ferrovia (passaggio completamente incustodito); ormai il fiume è a pochi metri, ma non vedo nessun ponte; infine mi rendo conto che ... il passaggio non c'è: questo è un valico solo per la ferrovia, che infatti supera il fiume Prut con un ponte, ovviamente per me impraticabile. Mi tocca tornare indietro;certo che qualche indicazioni in più non farebbe male!

Torno quindi verso Iasi e prendo un'altra strada che costeggia per diversi km il fiume Prut,fino ad arrivare, dopo aver superato diversi carri agricoli stracolmi,al ponte che permette di entrare in


- Moldavia.Poco prima del confine mi fermo per coprire l'adesivo della bandiera della Transdnistria: non è il caso infatti di entrare in Moldavia esibendo la bandiera di uno Stato che ha imposto la propria indipendenza con una guerra contro la Moldavia, che non lo riconosce rivendicandone il territorio come propria parte integrante.

Anche questo confine lo passo senza problemi, sebbene la videocamera, montata in modo piuttosto vistoso sulla moto, attiri l'attenzione delle guardie, che mi chiedono spiegazioni. Ovviamente quando mi avvicino ai passaggi di frontiera ho sempre l'accortezza di spegnere la videocamera (magari all'ultimo momento), come pure evito di scattare foto, ma non posso certo rimuoverla dalla sua custodia, fissata saldamente alla moto. Di fronte ai dubbi dei doganieri, dopo aver cercato di spiegare che sono un semplice turista e voglio solo documentare il mio viaggio, mi viene un'idea. Tiro fuori dal baule della moto i numeri di Mototurismo dove sono stati pubblicati alcuni miei articoli dei precedenti viaggi e li mostro alle guardie: risolto! Dopo pochi secondi tutti se li stanno contendendo, commentando (soprattutto le foto, ovviamente) e sorridendo: ho il via libera!

Superati i problemi burocratici, percorro le dolci colline della Moldaviae in breve arrivo alla capitale Chisinau.La città presenta ampi viali alberati e numerosi parchi.Visito la cattedrale, dalle forme neoclassiche,l'arco di trionfoe alcuni dei suoi ampi parchi.Ho qualche difficoltà a trovare un albergo normale (trovo solo alberghi di lusso), poi ricorro al solito sistema del taxi che, per una piccola mancia, mi porta ad un albergo "accettabile".

La sera noto anche qui parecchio movimento, con i locali affollati. Forte il contrasto, come in altri paesi dell'est, tra alcune auto di lusso e tante altre molto "datate".

Domani sarà una delle giornate più delicate del viaggio, con l'incognita Transdnistria. Preparo con cura la disposizione delle eventuali (probabili) "mance". Non sono preoccupato, ma molto curioso di vedere quello che mi aspetta.

La mattina guardo la moto e mi chiedo se affrontare l'incerto valico di frontiera che mi attende nell'assetto attuale. Non so infatti se sia il caso di mantenere montata la videocamera, in modo così vistoso. Decido infine di lasciare tutto com'è; nel caso me lo chiedessero, la toglierò. Nessun problema per le bandiere, che mantengo aperte. L'adesivo della Transdnistria è ovviamente ancora coperto, per non urtare la suscettibilità dei moldavi.

A questo punto credo possa essere chiarificatrice una breve storia della


- Transdnistria.
Quando, nel 1991, la Moldavia dichiarò la propria indipendenza dall'URSS, la Transdnistria dichiarò a sua volta l'indipendenza dalla Moldavia, e scoppiò un sanguinoso conflitto, poi risolto attraverso la mediazione della Russia.
In un referendum tenutosi in Moldavia nel marzo 1994, il 90% dei votanti si dichiarò a favore dell'indipendenza del paese, ma l'anno successivo la Transdnistria, con un altro referendum popolare, proclamò la propria indipendenza, chiedendo altresì che non venissero ritirate dal proprio territorio le truppe russe della XIV armata. La Transdnistria si estende su una sottile striscia di territorio, lungo il fiume Dnestr, per 3.567 km².

Dirigo verso Tighina, che dovrebbe essere l'ultima città moldava prima della Transdnistria, al di qua del fiume Dnestr.

Ma già prima della città noto dei posti di blocco. Resto sorpreso: è vero che non ho carte dettagliate, ma sono inequivocabilmente al di qua del fiume, quindi dovrei essere ancora in Moldavia. Sta di fatto che mi ritrovo in un posto di blocco. Guardo le bandiere: sono moldave, quindi il confine ancora non l'ho passato.

Cominciano però i soliti controlli di frontiera, un po' più accurati del solito. Ad un certo punto le guardie mi convocano nei loro uffici. Mi guardo intorno: vedo scritte in cirillico, nonostante sia ancora in Moldavia e sento i militari parlare russo. Presumo quindi che, già in questa zona della Moldavia, ci siano più russi che romeni.

Ma non è la lingua il problema. Il militare comincia a farmi un discorsetto (tra gesti e qualche parola d'inglese) che si può riassumere così: "guarda che, lì dove stai andando, non è Moldavia, perchè lì noi non abbiamo il controllo dei territorio; lo fai a tuo rischio, sei sicuro?" Detto da un rappresentante ufficiale della Moldavia, il discorso sembra un po' strano; d'altra parte noto che il militare pare in imbarazzo, poichè deve ammettere di fatto l'esistenza di uno Stato che ufficialmente non esiste, soprattutto per la Moldavia. L'imbarazzo però non c'è quando sento la significativa parola "present", pronunciata sorridendo. Ho capito, vuole una mancia.

Provo con 5 euro, ma non bastano: allora li rimetto nella tasca destra e prendo dalla sinistra una banconota da 10; stavolta sono sufficienti e il militare mi fa cenno che posso andare.

Cominciamo bene! Ancora non sono in Transdnistria e già iniziano le "mance". Proseguo e mi ritrovo subito un altro posto di blocco: guardo di nuovo le bandiere e non sono più moldave, ma quelle rosso e verdi della Transdnistria. Ma come? Il fiume non l'ho superato, dovrei essere ancora in Moldavia, non sono ancora passato da Tighina! Capisco allora (e poi ne avrò la conferma) che, quando ha dichiarato la propria indipendenza, la Transdnistria ha pensato bene di prendersi anche qualche pezzo di territorio "al di qua" del fiume Dnestr, presso la capitale, annettendosi quindi la città di Tighina, abitata prevalentemente da russi.

Cominciano quindi gli stessi controlli di frontiera di una frontiera che, per tutto il resto del mondo non esiste. E' una strana situazione: le guardie di confine dei due Stati che non si riconoscono (Moldavia e Transdnistria) sono a pochi metri le une dalle altre, ma ufficialmente non hanno rapporti. La doganiera comincia a controllare la moto: per prima nota la videocamera e mi chiede, sospettosa, a cosa serva. Ne spiego il funzionamento e poi tiro fuori (come fatto altre volte) le copie di Mototurismo con i miei articoli: i sospetti cominciano a stemperarsi. Per spezzare la tensione mi metto platealmente a scoprire la bandiera della Transdnistria, fino ad allora coperta da un adesivo. I militari apprezzano molto e mi fanno i complimenti per la correttezza del disegno (lo avevo trovato su internet sul sito "ufficiale" della Transdnistria, pochi giorni prima di partire). I controlli continuano con la perquisizione della moto, ma probabilmente l'addetto non ha mai visto una moto del genere e sembra non sapere da dove cominciare: mi chiede di aprire un borsello, poi un altro e un altro ancora. Al settimo scomparto forse si scoccia e mi fa cenno che va bene così: incredibile, non mi ha nemmeno chiesto di aprire le tre borse principali!

Pago la tassa di ingresso (ufficiale, con tanto di ricevuta): noto che sono ben organizzati, con un listino di cambio affisso, e la possibilità di pagare in diverse valute. In euro la somma ammonta a 49 CENTESIMI!

Fatto! I controlli sono finiti. Non ci ho messo nemmeno tanto (17' per uscire dalla Moldavia e 26' per entrare in Transdnistria) e nessuno mi ha chiesto mance per entrare; temevo decisamente peggio.

Subito dopo il confine attraverso la città di Tighina.Mi fermo solo per cambiare la cassetta della videocamera e punto sulla vicina capitale, Tiraspol. Noto l'abbondanza di vecchi camion che sembrano vecchi mezzi militari "riconvertiti". Numerosi anche i militari in giro.

In breve sono a Tiraspol.Non avendo alcuna mappa della città, avanzo prudentemente cercando il centro, con la massima attenzione a non violare alcun divieto e non dare alcuna occasione di multe o "mance" ai poliziotti locali.

Dopo un po' arrivo ad una stazione di polizia e davanti a me, a sbarrare l'accesso alla strada che dovrebbe portarmi in centro, vedo un cartello che sembra indicare il divieto di accesso alle moto: dico sembra perchè non è esattamente fatto come quelli cui siamo abituati. Vorrei fotografarlo, ma il fatto che sia posto proprio di fronte alla stazione di polizia mi consiglia di evitare (i militari normalmente sono molto suscettibili su questo e, visto il posto in cui mi trovo, non mi sembra il caso di rischiare). Incerto se continuare, mi fermo e mi guardo in giro: anche i poliziotti mi guardano. Non posso restare a lungo così, in mezzo all'incrocio. Accosto e chiedo cosa devo fare: i poliziotti sembrano non capire: si avvicina una persona che parla inglese e mi spiega che il centro è chiuso per una visita importante, quindi non posso passare con la moto; comunque il centro è ad appena un isolato.

Un po' a malincuore (preferisco sempre visitare le città in moto e non a piedi), chiedo ai poliziotti se posso lasciare la moto lì (non mi sembra possa esserci un posto più sicuro che di fronte ad una stazione di polizia); mi rispondono di sì, ma senza loro responsabilità (strano discorso, per dei poliziotti); parcheggio quindi nello spazio loro riservato, passando oltre la sbarra.Proseguo a piedi e in breve sono sul viale principale.

Il traffico è scarso e ordinato. La prima cosa che noto è una serie di grandi cartelloni: sono gli atleti della Transdnistria che hanno partecipato alle olimpiadi.Le scritte sono in caratteri cirillici, quindi altro non riesco a capire, ma è chiaro l'intento di esaltare il senso di appartenenza del piccolo Stato, dimostrando che anche loro hanno un'importanza, nonostante le piccole dimensioni e l'esistenza travagliata.

Sul viale si affacciano i principali edifici. La Casa del Soviet (Dom Sevetov), in puro stile sovietico, con tanto di stella a 5 punte sulla sommità e busto di Lenin all'ingresso.Di fronte al palazzo trovo parcheggiato un interessante vecchio sidecar: motore boxer, costruttore non identificato, una copertina a coprire il carrozzino e due caschi poggiati sopra, senza targa.

Poco più avanti, una serie di grandi immagini dei vari "Capi di Stato" (o sindaci di Tiraspol, non riesco a interpretare le scritte), dalla nascita dell'U.R.S.S. ad oggi, con l'attuale Presidente della Repubblica di Transdnistria.C'è un'atmosfera da Unione Sovietica di vent'anni fa, come se il tempo si fosse fermato.

Lungo il viale è anche la sede dell'università. Mi siedo a un bar (l'unico che ho notato), con i tavolini all'aperto, affollato di studenti universitari che consultano le loro dispense di studio. Dopo un po' di attesa capisco che se voglio qualcosa devo entrare nel bar a prendermela. Si paga solo in valuta locale (il rublo della Transdnistria), ma c'è un piccolo box con una signora cambiavalute. Cambio 5 euro, ricevendo una massa di banconote e diverse monetine: ad occhio calcolo che il cambio coincide con le notizie che avevo attinto da internet: noto con curiosità la banconota da 1 rublo, che equivale a meno di 8 centesimi di euro.Curioso tra gli scaffali (che non offrono molto) e, a gesti più che con le parole (livello di conoscenza dell'inglese zero), prendo qualcosa, che consumo poi a uno dei tavolini all'aperto. Me la prendo comoda e ripeto l'operazione più volte. Mi accorgo che, nonostante l'impegno, non riesco a consumare i soldi appena cambiati: ho speso appena 1 euro!

Arrivato alla fine del viale, torno alla moto, che trovo tranquillamente al suo posto. Ma non sono soddisfatto, sento che mi manca qualcosa. Aver visitato il centro di Tiraspol a piedi mi dà un senso di incompletezza, con la moto lasciata parcheggiata in disparte. Ma c'è sempre quel cartello, che sembra sbarrarmi il passo. Riprendo la moto e guardo di nuovo il cartello, e poi i poliziotti; chiedo se posso passare; non sembrano avere le idee molto chiare e ... non dicono di no. Deciso: prendo la moto e passo risoluto, diretto al centro. Arrivo subito e percorro, lentamente, il lungo viale centrale. Adesso sì, sono soddisfatto: eccomi, a Tiraspol, capitale della Transdnistria, con la mia moto. Percorro il viale centrale anche verso l'estremità opposta di prima, verso ovest e il fiume Dnestr. In effetti da questa parte è sbarrata la parte terminale, in preparazione della visita/manifestazione di cui mi avevano parlato prima. Bene, credo che possa bastare; in Transdnistria non c'è molto altro da vedere, torno in Moldavia.

La meta è la repubblica di Gagauzia, nella Moldavia meridionale; superato di nuovo il fiume Dnestr,giunto a Tighina, cerco la strada per il confine, diversa da quella dell'andata (prima provenivo da ovest, adesso punto a sud). Credo di averla trovata, ma ecco che, proprio adesso che mi sto complimentando con me stesso per essere uscito incolume dalla visita in Transdnistria, tanto temuta (soprattutto da parenti e amici), commetto una stupidaggine. Passo davanti a un gabbiotto della polizia (che avevo già notato all'andata) presso un incrocio e decido di accostare alla mia sinistra per chiedere conferma che questa sia la strada giusta. Metto la freccia e uno stupido automobilista dietro mi suona. Subito il poliziotto (che sembra non aspetti altro pretesto) mi fa cenno di fermarmi, mi chiede i documenti e mi convoca all'interno del gabbiotto.

Sono in due e comincia la "commedia". Mi contestano l'infrazione, cioè di aver tagliato la strada; cerco di spiegare in tutti i modi (è dura se l'interlocutore non capisce l'inglese, o fa finta di non capire) che non ho commesso alcuna infrazione, che mi sono limitato a mettere la freccia, in una strada con le corsie delimitate da strisce discontinue, dove quindi la manovra è permessa. Niente da fare: un poliziotto prende la mia patente e platealmente se la mette in tasca, dicendomi che non l'avrei più rivista. Ho capito, vogliono scucirmi un po' di denaro. Parte la contrattazione: offro 5 euro, loro ribattono con 50. Chiudiamo a 20.

Tiro fuori una banconota da 20 euro, ma, come immaginavo, dicono che non va bene e ne vogliono 2 da 10. Sorrido; è ovvio: loro sono 2, è più comodo avere 2 pezzi da 10! Saluto e me ne vado.

All'uscita dalla città smaltisco i rubli rimasti mettendo poco più di 4 l di benzina nella moto (il prezzo più basso del viaggio, appena 0,86 € al litro).

Dopo pochi minuti nuovo stop: è la frontiera. Soliti controlli, ma un po' più veloci. Nel suo ufficio la guardia, compilati i moduli (completamente incomprensibili, ma dei quali sembra anche lui interessarsi poco), mi chiede il pagamento di una "tassa": si accontenta di 5 €. Va bene, in fondo me l'aspettavo: passare la frontiera sia in entrata che in uscita senza una "tassa" sarebbe stato strano. Pretendo però, come contropartita, la possibilità di fare una foto (cosa vietatissima nelle dogane) alla cartina della Transdnistria appesa ad una parete:rigorosamente in russo, falce e martello in evidenza, una striscia di passato tra Moldavia ed Ucraina. Rientrato in


- Moldavia (2), la strada peggiora. Del resto questa non è una via principale.Attraverso piccoli villaggie arrivo a Comrat, capoluogo della repubblica di Gagauzia.

La Gagauzia ha una storia in parte simile alla Transdnistria. Abitata da Gagauzi, minoranza etnica cristiana che parla un dialetto turco con forti influenza russe, nel 1990 prese le armi per affermare la propria indipendenza dalla Moldavia, alleandosi con la Transdnistria. La Gagauzia però raggiunse un accordo con la Moldavia e, in cambio della rinuncia all'indipendenza, ottenne la completa autonomia interna, nell'ambito dello Stato della Moldavia (cui è soggetta solo per la difesa e le relazioni con l'estero). E' composta da 3 distretti, per 1.800 km², senza contiguità territoriale.

Avevo previsto di fermarmi a Comrat, ma è ancora presto e la città non sembra offrire molto; decido quindi di continuare verso sud, cercando di arrivare in Romania.

Ma la strada peggiora sempre più e noto che nella carrozzeria della moto, stressata dalla continue vibrazioni provocate dal fondo stradale (con tratti di sterrato, buche continue, pavimentazione a quadrati di cemento),si sta aprendo una crepa in un punto che, già da prima del viaggio, presentava una piccola lesione. Riparo con del nastro adesivoe proseguo (a casa basterà della colla per riparare il tutto).

A un certo punto, però, scoppia un violento temporale e, dopo aver trovato un provvisorio riparo, concludo che è troppo pericoloso continuare su queste strade con le buche piene d'acqua. Nella cittadina di Vulcanesti (il capoluogo di uno dei tre distretti della Gaugazia) trovo un hotel proprio sulla via e mi fermo per la notte.

L'albergo non ha un posto per la moto: mi offre di metterla nell'ingresso, ma non passa dalla porta e quindi mi indica un posto vicino, custodito, dove posso lasciarla per la notte. Approfittando di una pausa nella pioggia, ce la porto e la lascio lì, per un compenso di meno di 2 €.

Nell'albergo trovo l'immancabile italiano (non riesco a fare un viaggio, anche nei posti più isolati, senza incontrarne almeno uno): è lì per lavoro da qualche settimana (impianta una fabbrica, per il basso costo della manodopera) e mi consiglia un posto per mangiare lì vicino. Ottimo consiglio: mangio magnificamente (insalata mista e una fantastica "battuta" di carne) ad un costo ridicolo. Mi sposto poi ad un vicino bar per il gelato dopo cena e qui accade un episodio curioso, per fortuna senza conseguenze.

Noto, seduti davanti al bar, un folto gruppo di persone. Non riesco capire di che si tratti, forse una festa, penso; poi mi accorgo che sono tutte rivolte verso la tv, che però dà un semplice film di guerra russo. Compro un gelato e mi avvicino ad un gruppo di sedie vuote, impilate, chiedendo ad un ragazzo lì vicino se sono libere, lui borbotta qualcosa di incomprensibile in russo e ne prendo una. Immediatamente sento una mano robusta che mi blocca un braccio. Il ragazzo di prima mi guarda minaccioso e mi intima (stavolta non c'è bisogno di capire il russo per comprendere) di lasciare la sedia. Ha l'aria proprio agitata (e già una bottiglia semivuota di vodka sul tavolo): cerco di fargli comprendere che non capisco nulla di quello che dice e la sedia mi serve solo per 5 minuti, il tempo di mangiare il gelato che ho in mano. Sembra capire e mi lascia.

Seduto, guardo meglio e comprendo. La zona delle Moldavia in cui mi trovo sembra che sia abitata prevalentemente da russi; certo è solo russo che sento parlare adesso intorno a me. Stasera c'è Russia-Turchia, semifinale degli europei di calcio; e tutte queste persone non è il film russo che stanno guardando, ma stanno aspettando l'inizio della partita, tra pochi minuti. A conferma di ciò, ben presto alcuni ragazzi mettono una grande bandiera russa accanto alla tv e, tra un boato generale, comincia la partita, trasmessa da una tv russa. Anche nella tv dell'albergo (come controllerò poco dopo) si riceve tranquillamente la tv della Russia. Capisco che il ragazzo di prima mi aveva detto (quando non lo avevo compreso) che la sedia era occupata (probabilmente dagli amici che dovevano arrivare). Finito il gelato, libero la sedia e torno in albergo. Per quanto mi riguarda, che la Russia passi o no il turno mi è completamente indifferente.

Strano posto i Balcani: in Kosovo assisto ai caroselli delle auto per la qualificazione della Turchia (contro la Croazia); in Moldavia vedo l'inizio della partita Turchia-Russia insieme ad un gruppo di russi. Il calcio in questo caso è il sintomo di qualcosa di più profondo e significativo della semplice passione sportiva.

Il giorno dopo recupero la moto dal parcheggio (il custode non si vede in giro, ma si materializza improvvisamente appena accenno a partire in moto, anche perchè deve ancora essere pagato) e dirigo verso sud, attraverso i vigneti della Moldavia meridionale,facendo lo slalom fra trattori pieni all'inverosimilee altri che trasportano carichi che si estendono pericolosamente oltre metà carreggiata.

La strada, in condizioni accettabili, supera le colline con lunghi rettilinei e discreti dislivelli.

Attraverso il fiume Prutnel punto in cui confluisce nel Danubio ed entro in


- Romania (2), costeggiando il grande fiume che avevo lasciato 4 giorni fa, sempre in Romania, alle porte di Ferro.

Voglio andare nella zona del delta. Per farlo devo attraversare il fiume: il primo ponte disponibile (guardando le carte) sembra essere a Braila.Seguo le indicazioni per Tulcea (la città romena dove sono diretto, posta nella zona del delta); non sono il massimo della chiarezza, ma alla fine sembra che abbia trovato la via giusta. La strada dirige decisa verso il fiume, ma la vedo insolitamente bassa: strano, un ponte qui, per permettere il passaggio della grandi navi, dovrebbe essere abbastanza alto sull'acqua.

Ormai sono a pochi metri del fiume ed ecco che ... il ponte non c'è! E' un traghetto.Sono sorpreso, ma, riflettendo, anche se le indicazioni stradali erano equivoche (non era certo indicato un traghetto), guardando la carta stradale mi rendo conto che, essendo a media scala, non era scontato che quella linea indicasse un ponte invece che un traghetto; ma soprattutto, zoomando sul gps, vedo che quest'ultimo indica chiaramente che l'attraversamento del fiume qui avviene con traghetto.

Poco male: non amo i traghetti, ma, se la strada non c'è, non posso certo guadare il Danubio! L'imbarco è piuttosto sconnesso e affronto con circospezione gli ultimi metri prima dell'imbarcazione.

Sono strani questo traghetti: l'imbarcazione accosta dal lato di dritta al pontile e i veicoli, anche grossi TIR, salgono posizionandosi di traverso, per poi scendere dal lato sinistro.Mentre sto per salire sul traghetto noto che c'è un discreto dislivello tra il pontile e l'imbarcazione, oltre ad un vuoto piuttosto largo, dove temo che la ruota anteriore si incastri. Non vorrei inoltre rischiare un nuovo incidente come quello del filtro dell'olio in Kosovo. Avviso del problema l'addetto, che provvede a mettere un pezzo di legno sotto la moto; non è l'ideale, ma almeno dovrebbe attutire il colpo. Procedo piano, bloccando il traffico dei TIR dietro di me; nonostante tutto, quando salgo sul traghetto, la ruota anteriore si blocca, tra il pontile e il bordo dell'imbarcazione; dosando il gas, riesco comunque a sbloccare la moto. Qualche altra manovra e finalmente parcheggio tra i TIR: che sudata! La moto è osservata con interesse dai camionisti.

In questo punto il Danubio è largo circa 400 m e non ha ancora cominciato a ramificarsi nel suo grande delta.

Sbarcato sull'altra sponda, dirigo verso Tulcea. La strada ogni tanto costeggia il Danubio; noto l'abbondanza di carri trainati da animali, qui addirittura targati (i carri).

Tulcea è la città principale del delta. Il delta del Danubio, vasto ben 8.000 km², è un ambiente unico. Ha tre bracci principali: a nord (al confine con l'Ucraina), quello di Chilia; al centro quello di Sulina; a sud quello di San Giorgio.

Tulcea è posta subito a valle della prima biforcazione del Danubio, all'inizio del delta, sul ramo che porta a Sulina e al braccio di San Giorgio. Dal bel lungofiume osservo le imbarcazioni che effettuano le crociere fino a Sulina, raggiungibile solo via acqua, poichè non esistono strade transitabili a valle di Tulcea, nonostante siano segnate sulle mappe (sia gps che cartacee). Le escursioni durano 5 ore.

Riprendo verso sud, costeggiando i laghi costieri della zone meridionale del delta.Presso uno di questi, è l'antica colonia greca di Istria, la più importante della Romania. Posta sulle rive dell'antico Pontos Euxinus, perse gradatamente importanza in epoca romana, a causa del progressivo interramento della costa, dovuto al vicino delta del Danubio.

Continuando verso sud, arrivo a Costanza, la principale città romena sul Mar Nero. Entro in città dalla zona balneare posta sul cordone sabbioso litoraneo a nord, tra il mare la laguna, percorrendo un'ampia strada a più corsie. Numerosi sono gli stabilimenti balneari e i locali di ritrovo.Alla fine della strada c'è un piccolo pedaggio.

Arrivo nella piazza principale di Costanza, intitolata al famoso antico poeta romano Ovidio, qui esiliato.Nei pressi, da non perdere, è l'Edificiul roman cu mozaic, un antico magazzino costruito dai romani nella zona portuale, il cui tetto è completamente ricoperto da un mosaico che originariamente era esteso ben 2.000 m² (ne restano 850).

Interessante anche l'antico casinò sul mare (ora ristorante),oltre alla presenza, a pochi metri, di moschea e chiesa.

Decido di trovare alloggio fuori città e punto quindi verso alcuni centri balneari a sud. Superato l'inutile canale Danubio-Mar Nero (opera faraonica voluta da Ceaucescu per collegare il Danubio al Mar Nero evitando l'ansa del delta; costò molte vite umane, ma poi è finito inutilizzato a causa del basso pescaggio), arrivo ad Eforie nord, dove trovo sistemazione per la notte.

Percorsi pochi km di Romania, entro in


- Bulgaria. Questa zona (tra il confine e Varna) è ricca di spiagge e località balneari, ed è affollata di turisti.

Punto sul più tranquillo capo Kaliakra, che si protende nel Mar Nero. Belle le fortificazioni, suggestivo il luogo.All'estremità del capo, un piccolo ristorante.

La rocca fu usata come rifugio dai vicini villaggi, al tempo del secondo regno bulgaro; narra una leggenda che 40 ragazze si gettarono dalla rupe pur di non cadere in mano dei mussulmani, intrecciando i propri capelli affinchè nessuna potesse recedere all'ultimo momento. A ricordo di questo c'è un monumento.Vero o meno che sia, sono felice di vivere in un tempo in cui si può visitare tranquillamente (quasi) tutto il mondo, senza rischiare la vita.

Proseguo verso sud, attraversando prima Varna e poi Burgas, i due principali porti della Bulgaria, anche militari.

Diretto a Istanbul, non c'è strada litoranea, e quindi mi dirigo verso l'interno, attraverso le montagne. La strada sale tranquilla, in una regione boscosa, ma poi è spesso interrotta da lavori in corso (soprattutto dopo la frontiera turca), che dovrebbero trasformarla in una comoda superstrada; la moto si ricopre ancora di più di polvere e terra.La frontiera della


- Turchia si dimostra la più lunga da attraversare in tutto il viaggio, soprattutto a causa della molteplicità di uffici competenti, ognuno dei quali ha il suo timbro da apporre.

Scendendo a valle, la strada si trasforma in una veloce superstrada, in questo momento gradita, poichè sto facendo tardi e vorrei arrivare a Istanbul prima del tramonto.

Arrivato sulla direttrice Edirne-Istanbul, è autostrada, dal pedaggio piuttosto economico, a differenza della benzina che scopro essere in Turchia la più cara della mia vita (€/l 1,84!)

Ed infine, ecco Istanbul: enorme, con la periferia sterminata, che si annuncia da km. Arrivare al centro e soprattutto trovare lo svincolo giusto è un impresa. Vado un po' a naso, cercando di tenermi vicino al Mar di Marmara: in questo modo dovrei arrivare al Bosforo e al Corno d'Oro, nei cui pressi voglio trovare alloggio. Il traffico è intenso: è sabato pomeriggio e i turchi affollano i parchi sul mare.Percorro il lungomare, ma poi un'indicazione per il Topkapi (il grande complesso di edifici sede della corte dei sultani ottomani dal 1465 al 1853), mi trae in inganno e mi perdo nel tessuto cittadino. Poco male: costeggio le imponenti mura della cittàfino a sbucare dall'altra parte, sulla riva del Corno d'Oro.

Non riesco però a trovare alloggio per la notte: la città è troppo grande, il traffico caotico, il sole sta per tramontare e sono stanco. Adotto la tattica del taxi: ne fermo uno e gli chiedo di portarmi ad un albergo, non caro, centrale e con un parcheggio per la moto.

Il tassista parte a razzo e, dopo qualche giro, mi porta in un albergo. Il parcheggio non ci sarebbe: provano prima in un cortile vicino, ma poi l'accordo col proprietario salta (almeno così mi sembra di capire). Infine l'addetto dell'albergo s'impegna a guardare la moto per la notte, parcheggiata davanti all'ingresso, per una mancia di 5 €. L'albergo è centrale, sono troppo stanco per girare ancora: accetto. Questa storia della mance però mi dà fastidio, soprattutto quando, salito in camera, il cameriere, che ha voluto per forza portare il mio bagaglio, mi chiede bahsis (cioè mancia, in turco, l'unica parola che ho imparato). Accetto, chiedendo però almeno una bottiglia d'acqua. Il furbacchione prende i soldi e poi ... ne manda un altro a portarmi l'acqua, costringendomi così a sborsare un'altra mancia. Io accetto anche di pagare 40 € per una notte in albergo (il prezzo di oggi), ma non sopporto che mi si spillino soldi per servizi non richiesti e che comunque dovrebbero essere compresi nel prezzo già pagato.

Sistemata la questione camera, esco a piedi per i vicoli del centro di Istanbul: è ormai sera, molti negozi hanno già chiuso. Quasi ad ogni metro c'è un posto per mangiare. Mi fermo in un piccolo locale e, per pochi euro, mangio della carne arrostita al momento, avvolta in una sfoglia di pane: ottimo e abbondante. Passeggio un po', pensando che il mio viaggio sta volgendo al termine: ho raggiunto il punto più lontano dal confine italiano. Calcolo che, da qui, in 2 giorni posso rientrare in Slovenia. Ma prima voglio fare una puntata in Asia.

Istanbul è una città enorme e affollata, dal traffico caotico (circa 8.000.000 di abitanti); l'ho già visitata 2 volte (non in moto). Decido quindi per una rapida visita solo di alcuni monumenti imperdibili, all'alba, prima che il traffico diventi insopportabile (oggi poi è domenica).

Ripresa la moto (diligentemente custodita davanti all'albergo), mi dirigo verso la Moschea Blu, attraversando quasi tutto il centro storico di Istanbul. Le strade per fortuna sono semideserte (e lo credo, vista l'ora!).

Anche se non è la prima volta, vedere la Moschea Blu è sempre una grande emozione. Inoltre arrivarci in moto, almeno per me, è tutta un'altra cosa: le sensazioni che provo, infatti, non sono assolutamente paragonabili a quelle provate anni fa, nelle visite effettuate in pullman, scendendo da una nave crociera. Ho ancora una volta la conferma che, almeno per me, il mezzo è più importante del fine; anzi, è il mezzo stesso, in fondo, il fine del viaggio.

Fin da lontano vedo i suoi 6 minareti, caratteristica già questa che la rende quasi unica tra le moschee. La Moschea Blu (Sultan Ahmet Camii), costruita tra il 1609 e il 1616, presenta una cupola centrale, affiancata da quattro semicupole. L'interno è rivestito da oltre 20.000 piastrelle, nelle quali predomina soprattutto il blu, illuminate dalla luce che entra dalle sue 260 finestre.

Parcheggio proprio di fronte e l'ammiro nella luce mattutina.Da questo stesso punto, girandomi dall'altra parte, posso intravedere l'altro monumento simbolo di Istanbul, la Basilica di Santa Sofia (Aya Sofia). Mi avvicino con la moto. Santa Sofia fu prima basilica cristiana, costruita sotto l'imperatore Costantino tra il 532 e il 537, poi trasformata in moschea (dopo il 1453), senza tuttavia grandi trasformazioni (a parte i 4 minareti); adesso è un museo. L'originale struttura è un po' appesantita esternamente dai massicci contrafforti aggiunti per puntellarla, dopo diversi terremoti.

Adesso, però, ho un adempimento "geografico" da svolgere: dopo aver girato quasi tutta l'Europa e un paio di puntate in Africa, ora voglio portare la moto in Asia. Trovandomi a Istanbul, basta percorrere uno dei due ponti sul Bosforo. Supero il ponte di Galata (sul Corno d'Oro, con la vicina Torre di Galata, costruita nel 1348 dai Genovesi, che qui avevano un fondaco),attraverso i quartieri di Galatasaray e Besiktas (di calcistica memoria) e, dopo un paio di tentativi, imbocco lo svincolo giusto e vedo il ponte.Ben presto il Bosforo scorre sotto di me e passo dalla sponda europea a quella asiatica di questa città, unica al mondo, a cavallo di due continenti.Il cartello "Benvenuti in Asia" mi accoglie dall'altra parte.Ed è proprio in questo momento, quando ancora il viaggio è in corso, mentre passo da un continente all'altro, che matura nella mia mente il progetto del prossimo viaggio, in cui l'Asia non sarà solo una breve parentesi.

Ritorno quindi in Europa, attraversando lo stesso ponte.

Uscito da Istanbul (e dal suo intrico di superstrade e svincoli), dirigo verso Edirne, raggiunta in breve con una comoda autostrada.

All'uscita da Istanbul avevo incontrato un motociclista locale e lo rivedo qui. Ci salutiamo nuovamente e visitiamo insieme la celebre moschea Selimiye Camii di Edirne (1569-75). Questa città fu la capitale ottomana dal 1367 al 1458 (quando fu trasferita a Costantinopoli).

Il motociclista turco (di Istanbul, ma la cui famiglia è originaria di questa regione) è molto gentile mi invita a pranzo in uno dei locali di fronte alla moschea. Ennesima conferma che un motociclista in giro per il mondo non è mai solo.

Riparto verso Sofia, ma prima, come da programma, supero il fiume Maritsa, confine tra Turchia e


- Grecia, entrando quindi in quest'ultimo paese:così il mio giro dei Balcani può definirsi completo, essendo questo il 15° Stato attraversato in questo viaggio.

Grandi campi di girasole mi accolgono al rientro in


- Bulgaria (2);dopo un bel percorso tra le montagne, giungo a Sofia. Questa è una delle poche città dei Balcani che ha la cartografia dettagliata sul mio gps: trovo quindi senza problemi, in centro, la Hram-Pametnik Aleksandar Nevski. L'enorme chiesa, costruita tra il 1904 e il 1912, è dedicata al principe russo Alessandro di Novgorod, vincitore nel 1240 sugli svedesi presso il fiume Neva, prima importante vittoria militare di un esercito di una nazione slava. Fu edificata per commemorare la liberazione dai turchi da parte della armate russe (che subirono oltre 200.000 morti).

E' davvero imponente.Il mio primo pensiero però va alle centinaia di migliaia di uomini che sono morti nella guerra, la cui vittoria questa chiesa ricorda.

Vicino è la chiesa di Santa Sofia (Carkva Sveta Sofia),fatta costruire dall'imperatore Giustiniano nel VI sec., già tanto famosa nel '300 da dare il nome all'intera città.

Trovo Sofia piena di alberghi di lusso e di casinò; riesco comunque a trovare un albergo "normale", ma non accetta euro o carta di credito. Poco male: vado al vicino albergo di lusso con casinò incorporato e cambio gli euro necessari.

Parto presto da Sofia: voglio rientrare in giornata in Slovenia, a ridosso del confine italiano, da dove sono partito 12 giorni fa.

Un tratto di statale ed entro in


- Serbia (2) superando una fila chilometrica di TIR (vantaggio della moto),un bel tratto in una stretta valle tra le montagne della Serbia orientale,poi la lunga autostrada che porta fino a Lubiana. Prima di Belgrado, però, lascio l'autostrada e devio verso le montagne, per visitare il monastero di Manasija.

Nel tratto tra il monastero e l'autostrada, percorro un curioso ponte misto strada/ferrovia.

Il monastero fortificato di Manasija, costruito nel 1406-18 dal despota serbo Stefan Lazarevic come proprio futuro luogo di sepoltura, diventò presto un importante centro culturale e letterario.

La cinta muraria che lo circonda è davvero imponente; mi rendo conto quanto la difesa dagli attacchi esterni fosse importante in quei secoli.Superate le possenti mura, appare la chiesa della Trinità.

Qui trovo una vecchietta che, molto gentilmente, mi mostra l'interno della chiesa, spiegandomi (un po' a gesti, un po' con rare parole comprese da entrambi) i soggetti dei vari affreschi delle pareti. Ad un certo punto mi indica un dipinto che raffigura Stefan, il fondatore del monastero. Il suo volto si fa serio e poi triste: "veniva dal Kosovo", mi dice; e i suoi occhi si velano di lacrime.

Non ha bisogno di dire altro. Ho capito. Il suo sguardo triste mi parla più di mille parole; i suoi occhi mi spiegano più di tanti discorsi e ragionamenti, più di ogni complessa valutazione politica-diplomatica.

"Veniva dal Kosovo", dalle radici della nostra nazione, dalla culla della nostra fede; veniva dalla nostra patria perduta.

Saluto la vecchietta, stringendole a lungo le mani e guardandola negli occhi, e torno alla moto; il resto è una veloce autostrada verso casa.


E' stato un viaggio diverso dai miei soliti.
Un viaggio, più che nel paesaggio, nella storia. Piuttosto che tra monti e fiumi, tra la gente e i popoli di questa parte d'Europa.

Un viaggio che mi ha fatto comprendere, almeno in parte, quanto forti e, a volte, inestricabili, siano i legami tra popoli e territori, e quanto complesso sia l'intrico dei rapporti tra le diverse e talvolta contrapposte popolazioni.
E che le soluzioni, per quanto inevitabili, sono a volte dolorose e non accettate da tutti.

Non so quando questa zona troverà pace, quando i rancori, gli odi, i risentimenti accumulati in anni (o in secoli) potranno lasciare il posto ad una normale convivenza.
Temo che non sarà una questione di anni, ma di generazioni.


g
Tappe
Km
Lecce - Materija
Materija - Sarajevo
Sarajevo - Njegusi
Njegusi - Prizren
Prizren - Pristina
Pristina - Zajecar
Zajecar - Hunedoara
Hunedoara - Bicaz
Bicaz - Chisinau
Chisinau - Vulcanesti
Vulcanesti - Eforie nord
Eforie nord - Istanbul
Istanbul - Sofia
Sofia - Materija
Materija - Bergamo
Bergamo - Lecce
g 16
TOTALE
8.947

 

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