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Sei in: MOTO - BALCANI - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNO 5
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BALCANI
L'Europa frammentata

21.6.2008 - sabato - giorno 5
Prizren (KO) (7.28) - Pristina (KO) (15.36)
Km 209, viaggio h 8.08, guida h 4.50


Prima di partire, stavolta, non ho programmato con precisione le tappe. Ma, non riuscendo a intraprendere un viaggio senza un minimo di programmazione, pochi giorni prima della partenza, ho abbozzato un'ipotesi di tappe giornaliere, dando una veloce occhiata alle mappe. Tenendomi poi dei giorni di riserva per la fine del viaggio.

Sarà un caso, sarà il fatto che ormai comincio a conoscermi e a conoscere i miei ritmi, sia pure nelle diverse condizioni ambientali, ma adesso mi rendo conto che sto seguendo proprio quel piano di viaggio. Mi trovo quindi in anticipo sulla tabella di marcia considerata come massima (20 giorni) e perfettamente in linea con quella ipotizzata (16 giorni).

Posso quindi prendermela comoda e dedicare un'intera giornata al Kosovo; tanto più che la prima impressione di ieri è stata positiva, non avendo rilevato problemi "ambientali" che dissuadano dal girarci.

Ritrovata la moto dove l'avevo lasciata,mi dirigo verso Pec. Il Kosovo è piccolo (Km² 10.887) e le distanze da coprire quindi, nonostante sia prevalentemente montuoso, non sono notevoli. Posso pertanto viaggiare tranquillamente, avendo pochi km da percorrere. Noto subito (ed è una conferma dopo l'arrivo di ieri sera) che le strade sono in buone condizioni.

La via corre a poca distanza dal confine con l'Albania, posto alla mia sinistra sul crinale delle montagne. Noto le frequenti bandiere albanesi, anche sui minareti.Ma quello che mi colpisce di più è un cartello sul ... passaggio di carri armati,chiaro monito che, nonostante le possibili apparenze, questo non è un paese normale, ma soggetto ad amministrazione ONU e soprattutto sorvegliato dalla missione militare della KFOR, senza la quale (credo) le violenze e la guerra civile ricomincerebbero.

Poco prima di Pec è il monastero di Decani, presso l'omonimo paese. Giro per il centro abitato cercando indicazioni, ma non vedo nulla: eppure il monastero è uno dei più importanti della regione. Risolvo chiedendo indicazioni e, dopo qualche tentativo, trovo la strada giusta. Mi rendo conto che a molti degli albanesi del Kosovo importa ben poco del grande patrimonio culturale costituito dai monasteri; situazione comprensibile (anche se non condivisibile) viste le violenze che gli albanesi hanno subito dai serbi, che hanno portato (mi sembra) a rimuovere (mentalmente, se non fisicamente) questa parte della storia del Kosovo.

Arrivato alla strada che porta all'ingresso del monastero, trovo il primo posto di blocco della mia visita del Kosovo.A presidiarlo, in completa tenuta da combattimento, sono (come mi ero documentato prima del viaggio) militari del contingente italiano della KFOR.

E' la prima volta che, in un viaggio all'estero, incontro militari italiani. Anche per loro però credo sia una prima volta, perchè credo che non abbiano mai visto qui un mototurista. Sono infatti l'unico turista e l'unico motociclista presente. Ogni tanto passano alcuni veicoli di operai diretti al monastero.

Fin dall'Italia, viaggio con le bandiere della moto ben aperte (quella europea e quella italiana): è quindi ben evidente a chiunque mi vede, anche da lontano, che sono un italiano. Mi avvicino al posto di blocco rallentando e, giunto al segnale, mi fermo, attendendo istruzioni.

Noto la sorpresa nei giovani visi dei militari che mi osservano. Al cenno di avanzare, mi avvicino e li saluto: "Sono italiano, posso visitare il monastero?" Consegno quindi il passaporto e i militari chiamano al telefono per avere istruzioni: immagino che per loro non sia una situazione frequente!

Nell'attesa di avere il via libera, chiacchiero con i militari: alcuni di loro sono qui da molti mesi e, per diversi di loro (nonostante la giovane età), non è la prima missione del genere (Afghanistan, Libano, ...). Giunge quindi l'ok e mi dirigo con la moto verso il monastero. All'ingresso c'è un altro posto di blocco, dove lascio il passaporto e la moto (unico veicolo nel parcheggio).Entro quindi finalmente nel monastero di Decani, fondato all'inizio del XIV sec. da un re serbo.

Appena dentro mi colpisce l'atmosfera di pace e serenità, in forte contrasto con tutti i posti di blocco presenti all'esterno. All'interno del recinto (la cui funzione di protezione devo amaramente constatare non si è esaurita nel corso dei secoli), spicca la mole della chiesa, su un prato verdissimo, ben curato.Intorno alla chiesa, gli ambienti conventuali.Entro a visitare la chiesa, le cui pareti interne sono (come si usa nelle chiese ortodosse) completamente affrescate da figure religiose. Purtroppo, come mi succederà quasi sempre in questo viaggio, non è possibile fotografare l'interno.

Parlo col pope, che mi conferma che, se non ci fossero i militari a proteggere il monastero, gli "albanesi" (cioè i kosovari di etnia albanese) deprederebbero il monastero. Noto serenità mista a rassegnazione nelle sue parole; è molto gentile: mi apre la chiesa e mi spiega i vari particolari del monumento. Gli anni trascorsi a contatto con i militari italiani di guardia gli hanno fatto imparare piuttosto bene la nostra lingua e quindi riusciamo a conversare agevolmente.

Di fronte ad una mia richiesta, mi dice anche che sono molto impegnati nella preparazione di icone, data la notevole richiesta dei militari della KFOR, tanto che, per averne una, è necessario attendere quasi un anno.

Uscito dal monastero, riprendo i mie documenti e la moto, ripasso i due posti di blocco e mi dirigo verso Pec.

Arrivato in città, punto verso il centro. Giunto, dopo qualche giro nei vicoli,di fronte alla moschea principale, il gentile custode, salutandomi con entusiasmo e ringraziando per i contributi ricevuti (dall'ONU, presumo) per la ricostruzione della moschea (che, come tante altre, aveva subito danni nel corso della repressione serba nel Kosovo), mi apre la moschea, facendomela visitare.E' bello questa passare, in pochi metri, da un monastero ortodosso a una moschea islamica. Chissà quando, però, quello che io apprezzo come una diversità culturale e storica (oltre che ovviamente una legittima differenza religiosa), sarà percepito dalla popolazione locale allo stesso modo. Temo che non sia una questione di anni, ma di generazioni.

Uscito da Pec, mi dirigo verso il monumento più importante del Kosovo per la cultura serba : il monastero Patrijarsija , cioè l'antico patriarcato serbo.

Nuovo posto di blocco (anche questo presidiato dagli italiani), nuova identica trafila per entrare, ma stavolta c'è un intoppo: per poter entrare è necessario chiedere il permesso alla custode del monastero, che i militari non riescono a contattare. Dopo aver aspettato un po' (e chiacchierato con i soldati), mi consigliano (nell'attesa) di fare un giro nei dintorni, indicandomi una vicina valle molto bella.

Ed è così che scopro un percorso veramente interessante, che parte da Pec e, dopo essere passato davanti alle lunghe mura del monastero (con la solita recinzione aggiunta del filo spinato),si dirige verso il vicino Montenegro, lungo una valle suggestiva. La strada si apre il varco nella viva roccia, attraverso la stretta valle.Questa strada rappresenta la via più agevole per entrare in Kosovo dal Montenegro (senza il faticoso passaggio dall'Albania che ho fatto ieri), anche se, comunque, è un percorso di montagna. Mentre la percorro tranquillamente in moto, penso alle migliaia di profughi kosovari che, spinti dai massacri e dalla pulizia etnica operata dai militari serbi, fuggivano tra queste montagne verso il Montenegro (o l'Albania o la Macedonia).

Arrivato ad una cascata,decido di tornare indietro: spero che i soldati siano riusciti a contattare la custode del monastero.

Così è infatti e quindi posso visitare il famoso Patriarcato di Pec. Il monastero risale al XII sec., quando l'arcivescovado ortodosso di Zica fondò la chiesa dei SS Apostoli, per sottrarre la regione alla giurisdizione dell'arcivescovo greco di Ocrida; nel 1253 vi fu portata anche la sede dell'arcivescovo serbo e nel 1346 l'imperatore serbo Dusan la elevò al rango di patriarcato autocefalo. Il patriarcato fu abolito nel 1766 e ristabilito nel 1920 a Belgrado.

Del vero e proprio Patriarcato restano solo le fondamenta, mentre sono intatte la sala dei sinodi e le quattro chiese affiancate.

Purtroppo la custode non permette nessuna foto.Dopo aver visitato il Patriarcato di Pec, mi rendo ancora maggiormente conto di quanto sia importante il Kosovo per il popolo serbo e questo luogo in particolare e quanto doloroso rappresenti per loro, quindi, il fatto che sia ormai in "terra straniera"; è la culla della nazione, rappresenta la nascita della loro Chiesa.

Purtroppo troppo tardi, però, questo popolo è riuscito a liberarsi di governanti tanto inadeguati quanto criminali, che lo hanno portato a subire questa, ormai irreversibile, perdita.

Dopo Pec, dirigo verso la capitale del Kosovo, Pristina, attraversando l'area centrale del Kosovo, lungo un altopiano che sale gradatamente dai circa 500 m di Pec agli oltre 600 di Pristina.

Fa caldo e, anche se quella di oggi è una tappa breve (insolitamente breve per me), mi sento stanco. In questo caso meglio fermarsi. La stanchezza non arriva con i km: può arrivare quando meno te lo aspetti. Come ho fatto anche 2.700 km in 24 ore, senza avvertire stanchezza, così posso avvertire stanchezza dopo appena 200, come oggi.

Individuo una stazione di servizio, con delle belle panche all'ombra; mi fermo, compro dell'acqua fresca e mi stendo a riposare.

Il cameriere del bar mi chiede se mi serve qualcosa: avevo notato che fanno un'espresso italiano (rarità all'estero): gli rispondo "un caffè tra 20 minuti".

Ritemprato dal breve riposo (e dal caffè), riprendo la strada verso Pristina. Poco prima della capitale del Kosovo, attraverso la località di Kosovo Polje. Guardandomi intorno, non sembra niente di speciale, ma questo è un posto molto importante per la storia della Serbia. Qui (o più precisamente nella piana che si estende a nord) si tenne una importante battaglia (Kosovo Polje, o Piana dei Merli), tra l'esercito serbo (insieme agli alleati cristiano bosniaci) e quello ottomano. Questi ultimi vinsero, i serbi subirono gravissime perdite e fu l'inizio della fine per il regno di Serbia, completamente conquistato dagli ottomani nel 1459.

Questa battaglia è considerata dai Serbi (nonostante la sconfitta) come fondante della loro identità nazionale; il principe Lazar (che comandava l'esercito) fu canonizzato dalla chiesa ortodossa serba. Nel 1989, 600 anni dopo, qui Milosevic (allora presidente della Serbia, poco prima che scoppiasse il grave conflitto tra le repubbliche federate) tenne un discorso, nell'ambito della sua politica nazionalistica, esaltando il ruolo della Serbia.

Tutti questi pensieri si rincorrono nella mia mente, quando avvisto Pristina, la capitale di quel Kosovo ormai non più serbo.

La cosa più interessante che ho previsto di visitare a Pristina non è in città, ma qualche km a sud: un monastero a Gracanica.

Decido quindi di raggiungere quella località, per poi tornare verso il centro città, trovare alloggio e visitare Pristina con calma (oggi ho fatto presto: non sono ancora le 15).

Ma le cose vanno diversamente: complici la mancanza di carte dettagliate nel gps, l'assoluta mancanza di indicazioni stradali (Gracanica si trova in una delle poche zone serbe del Kosovo e in Kosovo la segnaletica stradale non abbonda certo di indicazioni verso i monasteri), dopo aver imboccato (correttamente) la superstrada per la Macedonia, non riesco a trovare lo svincolo per Gracanica. Faccio su e giù un paio di volte, chiedo ripetutamente indicazioni e infine credo di aver capito come arrivarci. Ma sono sul lato sbagliato di uno svincolo parzialmente in costruzione. La persona cui ho chiesto informazioni mi fa cenno di passare, attraverso un breve sentiero in terra che porta sull'altra carreggiata. Non vorrei passare di lì, preferirei fare tutto il giro, tanto non ho fretta; ma insiste, dice che non c'è problema; infine passo, percorro i pochi metri del sentiero e ... alla fine c'è un marciapiede; ormai è troppo complicato tornare indietro, il dislivello mi sembra modesto; decido di passare e ... bum, sento un colpo sotto alla moto.

Sulle prime non do molta importanza alla cosa; altre volte ho toccato sotto alla moto; quasi sempre è il cavalletto centrale, che può assorbire senza problemi colpi anche forti, proteggendo il resto. Ma stavolta non ho urtato il cavalletto; me ne rendo contro dopo pochi km, quando, trovato finalmente lo svincolo per Gracanica (per forza non lo trovavo: non c'era scritto il nome della località serba, ma di una albanese posta dopo Gracanica!), noto che sto perdendo olio!

Mai nei miei viaggi in moto ho avuto paura ... tranne in questo momento. Temo di aver rotto qualcosa sotto, al motore. Penso "sono sopravvissuto (con la moto intera) alle terrificanti strade albanesi di ieri, per poi rompere la moto e rischiare di finire il mio viaggio per un marciapiede!".

Non c'è tempo da perdere: lascio dietro di me una lunga, continua, scia d'olio. Stimo però che la perdita sia debole: nei pochi minuti passati avrò perso poche centinaia di grammi d'olio; potrei fermarmi a rabboccare, ma sarebbe un palliativo e ritengo più opportuno non perdere tempo e recarmi subito alla vicina Pristina a cercare un meccanico.

Mi fiondo in centro, giro un po' alla ricerca di un meccanico, chiedo, ma nulla. Alla fine blocco un taxi, gli spiego il problema e gli chiedo di portarmi subito da un meccanico: gli pagherò la corsa (poi mi chiederà appena 3 €). Il tassista mi porta al meglio che riesce a trovare: un meccanico che fa assistenza gli scooter Mondial .... e ripara biciclette! Alzo gli occhi al cielo e ... speriamo bene!

Il meccanico non capisce una parola d'inglese, io ovviamente nulla di albanese; gli spiego quindi il problema tramite il tassista, ma tanto la scia d'olio è già abbastanza chiara!

Guardiamo sotto e ... subito una buona notizia: non è niente di grave: è solo il filtro dell'olio che, con la botta presa, si è rotto."Solo", per la verità, non sarebbe la parola giusta, poichè non devo dimenticare di essere in Kosovo. Vabbè, che sarà mai, in fondo sono in una capitale di uno Stato europeo, si troverà un filtro dell'olio della marca di motociclette più diffusa al mondo! Invece NO!

Per farla breve, dopo un intero pomeriggio di attesa, il meccanico riesce a trovarmi un filtro dell'olio di marca sconosciuta, più grande del mio, ma che, fortunatamente ha la stessa filettatura. In Italia glielo avrei tirato dietro, ma qui è come la manna dal cielo. Lo monta, lo controlla, rabbocco con due kg d'olio (stimo uno perso per strada e un altro nel cambio del filtro), anche questo di marca sconosciuta (rabbrividisco quando leggo sulla confezione "per motori 2 T, 4T e diesel"): il filtro non perde, il problema sembra risolto.

Durante l'attesa presso il meccanico, mi sento chiamare "Marcello, ma tu che ci fai qui?!".

E' Tano, un mio amico motociclista (ha una Gold Wing 1500 come me), che non vedo da anni, da un raduno Gold Wing. "Faccio un giro in moto" gli rispondo ridendo: lui è qui da mesi, carabiniere nella missione internazionale in Kosovo, come mi racconta appena sceso dalla camionetta militare che si è fermata proprio di fronte al "mio" meccanico.Incredibile, trovo un amico, con la stessa mia moto, che non vedevo da anni, qui, in Kosovo! Tano sembra ancora più meravigliato di me: di turisti in effetti non ne ha visti molti qui, nè di motociclisti: sono il primo italiano in moto che incontra in Kosovo. Anche lui mi dà del "pazzo": grandi risate, tanti ricordi e staremmo a parlare per ore, anche del mio viaggio, ma il dovere lo chiama. Mi dà qualche utile indicazione su dove dormire e dove andare, e ci salutiamo.

E' ormai sera quando il meccanico trova il filtro e mi sistema la moto. Il pomeriggio, che avevo programmato altrimenti, ormai è andato. Pazienza, poteva andare peggio! Trovo l'albergo ed esco un po' in giro per Pristina e dintorni.

Di questo giro serale, mi colpisce la gran vita presente in questa città, piena di locali, affollati di gente (è sabato sera). Forse è anche la voglia di lasciarsi indietro anni di guerre e di incertezza, in un nuovo Stato che spera in un futuro migliore.

Gentilissimi i poliziotti locali, che mi fanno passare in moto e parcheggiare senza problemi, in pieno centro. Anche a Pristina è notevole la presenza dei militari della missione internazionale, di varie nazionalità (a Pristina è presente il comando della KFOR).

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