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Sei in: MOTO - TRANSASIA: VIA DELLA SETA, MONGOLIA, SIBERIA - DIARIO DI VIAGGIO -GIORNO 28
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TRANSASIA
Via della Seta - Mongolia - Siberia

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7.7.2009 - martedì - giorno 28
Ulan Bator (MGL) (11.13)+6 -
Ivolga Datsan (RUS) (21.03)+7
km 544
viaggio h 10.50, guida h 9.56

Mi sveglio presto, determinato a far sì che questo non sia il giorno di un inglorioso, veloce, comodo rientro aereo, ma quello dell’inizio di un lungo, difficile e incerto ritorno a casa in moto.

Mi presento davanti al gommista alle 8, ma lui apre alle 9! Sbircio dalle finestre; la mia moto è ancora lì, dove l’ho lasciata.

Alle 9 il gommista apre ed entro, dirigendomi alla moto per prendere la camera d’aria e iniziare quindi l’operazione. Non c’è! La camera d’aria non c’è più; ma come è possibile? L’avevo lasciata qui, mostrandola al gommista; dove può stare?! Mi rivolgo al ragazzo, chiedendo spiegazioni, e lui mi indica la gomma. Sì lo so, è la gomma dove dobbiamo inserire la camera d’aria, ma, appunto, dove è finita la mia camera d’aria?

Il ragazzo continua a indicare la gomma; la guardo. E’ gonfia! Come è possibile! Ma se ieri sera … Guardo meglio; la mia vecchia valvola non c’è più e ne è “spuntata” un’altra, quella della camera d’aria che ieri sera avevo lasciato sulla moto! Il gommista ha fatto tutto! Ma quando? Gli ho dato la camera d’aria ieri alla chiusura e sono entrato oggi alla riapertura! Ha lavorato stanotte?

Guardo la ruota, sembra montata correttamente; i freni funzionano; il copricerchio destro è storto, ma poco male, l’estetica non mi interessa. Il cerchio, come mie istruzioni, non è stato toccato e l’ammaccatura è rimasta come ieri.

Il ragazzo mi invita a fare un giro di prova: inserisco le chiavi (che mi ero portato in albergo) e faccio il giro dell’isolato. La moto frena bene, sento un po’ la ruota ammaccata, ma può andare; le forcelle ovviamente sono nelle medesime (pessime) condizioni di ieri.

Torno all’officina e guardo di nuovo la ruota; la valvola della camera d’aria non è, come quella originale, a L, ma dritta; quindi, a causa della forma della ruota, arriva a pochi millimetri dal mozzo; pertanto non è possibile gonfiare la gomma e nemmeno controllarne la pressione. Addirittura non è possibile nemmeno avvitare un coprivalvola; mi chiedo come abbia fatto il gommista a gonfiarla, forse prima di montarla completamente; il ragazzo non sa spiegarmelo. Ha anche perso il mio bel coprivalvola cromato Honda, pazienza. Ma il problema è che non so a quanto è gonfiata la gomma: lui dice a 2,3 (normalmente la tengo a 2,5), a me sembra meno. Comunque la cosa grave e che non potrò né controllarla, né, se necessario, gonfiarla; addirittura, in caso di semplice foratura, non potrei usare le bombolette di emergenza, perché non c’è spazio per avvitarle, e sarei costretto a smontare la ruota!

Comunque, sono talmente felice che adesso la gomma sia (più o meno) gonfia, che non mi preoccupo tanto di questo.

E adesso? La gomma è gonfia e tiene (per ora), la ruota è montata (sembra) bene, le forcelle fanno pena, ma mantengono la moto, allora perché tornare in aereo in Italia?

Fermarsi ancora per riparare meglio la moto? E perché? Per trovare un altro gommista che mi monta storto anche l’altro copridisco? O rimonta male i freni, che invece adesso funzionano? Per farmi riparare il cerchio, col rischio di creparlo e restare immobilizzato? Per aprire la forcella e scoprire che (molto probabile) servono dei pezzi di ricambio che, qui in Mongolia (sicuramente), non ci sono, che dovrebbero essere ordinati alla Honda, col rischio di aspettare giorni, settimane o mesi (tornato in Italia, per le forcelle nuove Honda mi ha fatto un preventivo di consegna di 2 mesi e mezzo, poi le ho trovate usate). Per non parlare dei meccanici locali, che saranno anche bravi ad ingegnarsi con i pochi mezzi a loro disposizione, ma di cui non mi fido (dal punto di vista tecnico), soprattutto riguardo ad una moto complessa come la Gold Wing.

No, io non resto fermo qui chissà quanto, col rischio poi di non combinare niente o peggiorare la situazione. Non è proprio nel mio modo di viaggiare una sosta prolungata in un posto. Due giorni a Ulan Bator e scoppierei, mi sentirei come in gabbia, senza poter cavalcare la mia moto.

La moto va, male, ma va; io mi sento in grado di guidarla; conosco la mia moto, ho girato con lei per 11 anni e quasi 600.000 km; so fino a quanto posso osare, so quanto lei mi può dare, so quanto posso pretendere da lei. La guardo, guardo le vecchie ferite della caduta in Turchia (ancora coperte col nastro adesivo), guardo le sue forcelle che ormai non riescono più a reggere completamente l’anteriore (si è già abbassata un po’), guardo le sue carene sporche dell’olio fuoriuscito dagli steli, guardo la sua ruota ammaccata, guardo la gomma anteriore, scalinata, usurata in modo anomalo dalla bassa pressione. Mi soffermo in particolare sulla gomma, incerto se reggerà, provo a immaginare cosa saranno per lei i prossimi oltre 10.000 km, se potrà resistere a questa usura.

Non lo so, stimo di sì, ma non ne sono certo.

D’ora in poi l’obiettivo sarà soprattutto la sopravvivenza; del resto, lungo il ritorno, non ho previsto molte soste turistiche. Guiderò dall’alba al tramonto, per fare il maggior numero possibile di chilometri; voglio arrivare a casa il più presto possibile, finché regge la moto, finché reggo io. Non ho infatti la tranquillità, né lo stato d’animo necessario per bighellonare da un posto all’altro, per fare il turista; la strada, sempre più la strada, sarà la mia meta, il mio scopo. Manterrò solo le previste visite ai 3 cremlini di Kazan, Nizni Novgorod e Mosca (sono proprio sul mio itinerario, quindi non mi faranno perdere troppo tempo o chilometri); per il resto, nessuna deviazione, nessuna distrazione; concentrazione massima e via!

Torno in albergo, carico i bagagli sulla moto e parto. Oggi voglio uscire dalla Mongolia e raggiungere la Russia.

L’ammaccatura della ruota si sente, eccome; è completamente squilibrata e, quando rallento, posso contare i suoi giri, tanto sono distinti (e forti) il rumore e la vibrazione prodotti dall’ammaccatura, che si ripercuotono fino alle manopole, che normalmente invece sulla Gold Wing non vibrano per nulla.

La situazione delle forcelle rende la moto quasi ingovernabile: la notizia buona è che l’olio ha smesso di uscire; quella cattiva è che il motivo è che … è finito; ormai nelle forcelle sono rimaste solo le molle. L’assetto della moto è mutato, si è abbassata davanti; quando mi fermo non riesco a mettere il cavalletto laterale, se non mi alzo un po’ permettendole quindi di sollevarsi di quei centimetri necessari per abbassarlo. Il controllo del manubrio è molto difficoltoso; per rendere l’idea, è come guidare un camion senza servosterzo. La moto quasi non piega; per le necessarie pieghe, devo inclinarla di scatto, percorrere un tratto così e poi raddrizzarla di colpo. Davanti è talmente rigida che sento ogni asperità del terreno; le buche poi non ne parliamo: mi fanno letteralmente saltare.

Guidare la moto in queste condizioni è quasi un atto di forza; ma, contemporaneamente, devo essere molto dolce. Deciso e dolce, difficile equilibrio; ma guidare la moto cos’è, in fondo, se non un continuo, instabile, magnifico esercizio di equilibrio?

Comunque la moto va e questo mi basta. E, finché va, non la tocco. Go, GW, go!

Poche foto, nel ritorno; e poche soste. Guido per ore senza fermarmi. Ma è bello, magnifico anzi. Non mi sono mai sentito così vicino alla mia moto come in questi momenti. Mi sento un tutt’uno con essa.

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