TRANSASIA
Via della Seta - Mongolia - Siberia
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13.6.2009 - sabato - giorno 4
Turchia (front. Bulg.) (8.08) [+1] –
Tosya (TR) (18.39) [+1]
km 749
viaggio h 10.31, guida h 7.35 |
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3.3 TURCHIA … CON CADUTA
Mantengo la velocità limite indicata dai segnali stradali, 120 km/h. Traffico normale, autostrada a 3 corsie per senso di marcia.
Improvvisamente, l’imprevisto.
Procedo tranquillo su un rettilineo, moto dritta, di colpo il manubrio comincia a ballarmi tra le mani; l’anteriore della moto sembra impazzito, non riesco più a controllarla; tre ampie sbandate sinistra-destra-sinistra e mi rendo conto che non riuscirò a mantenere la moto.
La Gold Wing ormai è ingovernabile, posso solo cercare di limitare i danni. Capisco che la caduta è inevitabile e a questo punto spero solo di riuscire a cavarmela; la velocità non è calata di molto e stimo di essere ancora vicino ai 120 km/h. Sono nella corsia centrale: cerco di coricare la moto dolcemente sul fianco destro, mantenendola in asse con la direzione di marcia, sia per avere la massima via di fuga davanti (lontano dalle solite barriere spartitraffico ammazza motociclisti, sbarre di acciaio a mo’ di ghigliottina, presenti sia a sinistra che a destra), che per ridurre il rischio di ribaltamento.
La moto tocca terra sul lato destro; potrei cercare di restare attaccato alla moto, sfruttando il suo riparo per proteggermi dall’impatto con l’asfalto, ma temo che si ribalti e preferisco quindi che affrontiamo separatamente il nostro destino; lascio andare la moto, ormai per lei ho fatto quello che potevo, adesso devo pensare alla mia pelle.
Indosso, come sempre in questo viaggio, il giubbotto traforato con semplici protezioni morbide e jeans senza protezioni (le ho tolte per il caldo); sopra, poiché piove da ore, ho l’antipioggia in goretex (giacca e pantaloni); stivali e guanti di pelle. Non è la tenuta ottimale per affrontare una caduta a 120 km/h, ma devo fare in modo che basti.
Il primo impatto con l’asfalto è della gamba e spalla destre. Il contatto però avviene quasi tangente all’asfalto, poiché mi separo dalla moto quando ormai sono a pochi centimetri da terra. Sento il colpo, ma nessun dolore. Bene, il primo problema è risolto.
La moto tocca l’asfalto con le sue protezioni di metallo, ma ben presto, come prevedibile vista la notevole velocità, queste non bastano e si corica completamente sul lato destro, dallo specchietto alla borsa laterale, fino al baule posteriore.
Io intanto assumo la posizione di “galleggiamento”, sulla schiena: apro gambe e braccia, mi irrigidisco un po’ e comincio a scivolare sul liscio asfalto per decine di metri; con le mani, protette dai guanti di pelle, tocco l’asfalto e cerco di mantenere la direzione, la più dritta possibile, lontano dalle barriere ai lati della carreggiata. La moto continua a scivolare sulla mia sinistra, leggermente più veloce di me.
Con la coda dell’occhio la osservo, sia per essere sicuro che non sia in rotta di collisione con me, sia per valutare i danni; per fortuna la moto non si ribalta e si limita a strisciare sulla fiancata destra.
Continuo a scivolare; colpisco tre volte il terreno con il casco, poco sopra la nuca, ma non forte. Il terreno bagnato diminuisce l’attrito, che in questi casi è il pericolo maggiore (oltre ai rischi dovuti all’impatto contro ostacoli).
Sono secondi lunghissimi, ma, ogni momento che passa, aumenta in me la convinzione che dovrei cavarmela; vedo che riesco a mantenere la traiettoria centrale rispetto alla carreggiata e anche la moto prosegue diritta senza scomporsi più di tanto.
Quanti secondi sono passati? Non lo so, certo meno di quelli necessari a leggere queste righe, ma non sono stati pochi. 5, 6? Forse. Credo da 50 a 100 metri di scivolata sull’asfalto.
La velocità, infine, diminuisce e mi fermo, in mezzo all’autostrada.
Adesso non c’è tempo da perdere: devo evitare l’ultimo pericolo, quello di essere investito da un veicolo sopraggiungente; infatti non sono su una deserta strada secondaria, ma in una trafficata autostrada.
Guardo subito dietro: non c’è nessun veicolo vicino. Controllo la moto: è pochi metri avanti a me, leggermente a sinistra, coricata sul fianco destro. Mi alzo, raggiungo la moto, la rialzo, ponendola prima sui sostegni di metallo; da questa posizione (a 45°), la rimetto in assetto di marcia e la metto in moto: si avvia! La sposto subito sul margine destro della carreggiata, al sicuro.
Intanto continuo a guardare dietro, preoccupato che qualche veicolo, magari un TIR da decine di tonnellate, possa piombarmi addosso, mettendo fine al viaggio (e non solo a quello). Mi accorgo che, provvidenzialmente, si è fermato un furgone, in mezzo all’autostrada, accendendo le frecce di emergenza, a proteggermi dai veicoli sopraggiungenti: lo ringrazio con un cenno del capo e di una mano.
Messa la moto al sicuro, controllo i danni. Guardo prima me: non sento alcun dolore, muovo le braccia e le gambe; tutto a posto. Controllo i vestiti: integri, guanti, giacca e pantaloni. Questi ultimi hanno solo due piccoli fori (2 mm) all’altezza della tasca posteriore destra dei jeans; è stata la zip della tasca dei jeans che, per l’attrito provocato dalla scivolata, ha forato i sovrastanti pantaloni antipioggia in goretex. Il casco ha solo una piccola screpolatura di 2 mm poco sopra la nuca. Mi è andata di lusso!
Guardo la moto. Il bagaglio legato sulla sella è restato al suo posto; solo la tanica di benzina (vuota) si è spostata sulla destra, poiché l’elastico che la lega in quella zona non ha un appiglio sicuro; durante la scivolata della moto ha raschiato sul terreno, graffiandosi leggermente. La moto ha danni non strutturali alla carrozzeria destra: specchietto, deflettore, presa d’aria, paracarene, borsa, altoparlante. Bene, niente di grave, il viaggio continua! Sistemo il tutto con del nastro adesivo, ringrazio il turco del furgone che, gentilmente, si è fermato per tutto il tempo necessario a che io rimettessi la moto in sicurezza (si tratta, guarda caso, proprio di un furgone dell’assistenza stradale, ma non ne ho bisogno), salto in sella e riparto: non devo permettere che la caduta alteri la mia determinazione ad andare avanti. In un viaggio del genere si deve mettere in conto anche la possibilità di incidenti; sono i rischi dell’andare in moto e, più strada si fa, più possibilità ci sono che accada.
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