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Sei in: MOTO - TRANSASIA: VIA DELLA SETA, MONGOLIA, SIBERIA - DIARIO DI VIAGGIO - GIORNI 22-24
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TRANSASIA
Via della Seta - Mongolia - Siberia

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1.7.2009 - mercoledì - giorno 22
Tajset (RUS) (7.58) [+7] -
Irkutsk (RUS) (20.41) [+7]
km 677
viaggio h 12.43, guida h 9.54

Dirigo verso Irkutsk: voglio arrivarci oggi; rappresenta la metà del viaggio. Ma in mezzo ci sono ancora diversi chilometri di strada brutta, come quella di ieri. Oggi però non piove, il cielo è sereno e il sole asciuga la strada, che quindi diventa meno insidiosa … ma più polverosa.

Altri chilometri di sterrati e lavori in corso (con qualche breve intervallo rimodernato), ma poi finalmente torna l’asfalto: oggi 100 km in 3h 13’ (media 31 km/h). E’ fatta! Ho superato indenne il tratto più difficile del mio percorso in Siberia: la Mongolia mi attende!

Raggiunta Irkutsk, arrivo punto gps del Biker Club di Irkutsk e mi guardo intorno cercando un’insegna, ma non faccio in tempo a individuarla che un biker mi apre sorridente (per quanto possa essere sorridente un biker siberiano tutto giubbotto di pelle, borchie e tatuaggi). Non ho bisogno di parlare: la mia moto infangata, il mio giubbotto impolverato, i miei jeans, che ormai dell’azzurro originario hanno solo un pallido ricordo, parlano per me; sono un motociclista che viene da lontano, un motociclista che, in mezzo alla Siberia, ha incontrato altri motociclisti e chiede ospitalità. Il cancello si chiude, anche questa tappa è andata: sono tra amici, posso riposare.

2.7.2009 - giovedì - giorno 23
Irkutsk (RUS) (9.38) [+7] -
Ivolga Datsan (RUS) (19.10) [+7]
km 504
viaggio h 9.32, guida h 7.53

Esco da Irkutsk (qualche foto al volo e un breve passaggio sul lungofiume), diretto a sud-ovest. La strada attraversa una bella zona montuosa e dopo 100 km arriva in vista del grande lago Baikal.

Numerosi sono i venditori di pesce del lago (quasi tutte donne), fermi a bordo strada con i loro banchetti; si tratta dell’omul, una specie di salmone. Bene, oggi varierò la dieta (normalmente a base di carne).

Motel presso Ivolda Datsan (Rep. di Buriazia): di legno, tetto a pagoda, mi sembra di stare già in Mongolia; stradina sterrata per arrivarci, con profondi solchi dovuti all’acqua piovana. Nel salone un grande dipinto di cavalieri mongoli armati a cavallo (tipo Gengis Khan) occupa un’intera parete.

3.7.2009 - venerdì - giorno 24
Ivolga Datsan (RUS) (8.08) +7 -
Ulan Bator (MGL) (19.58) +6
km 558
viaggio h 12.50, guida h 8.34

Arrivo infine a Kyakta, l’ultima città russa prima del confine; numerose installazioni militari (tra cui una enorme caserma); faccio il pieno di sicurezza di benzina (non so cosa troverò in Mongolia) e raggiungo la frontiera. Sono le 11.43, ampiamente in tempo prima della chiusura, posso stare tranquillo. La temperatura ha raggiunto i 23°, ma è sempre coperto e minaccia pioggia. C’è la solita lunga fila di auto e camion; supero tutti e aspetto davanti alla sbarra.

Dopo un po’ il militare di guardia mi fa cenno di farmi avanti e comincia la trafila. L’uscita dalla Russia è sorprendentemente veloce: appena 20’. Avviso che rientrerò in Russia tra circa una settimana, da questo stesso valico; credo che lo annotino da qualche parte, comunque la militare mi avvisa (parla perfettamente inglese, mosca bianca) di riconsegnarle in quell’occasione il documento che mi dà oggi.

Sono curioso di controllare la notizia della chiusura della frontiera nel finesettimana e chiedo (a due militari diversi); mi rispondono che la frontiera è sempre aperta, tutti i giorni, 24 ore su 24. Insisto e mi dicono che sì, in effetti, anni fa chiudeva nel finesettimana, ma ora non più; la solita guida scrive ancora (2006) che invece è chiusa il sabato e la domenica.

Esco dalla dogana; la sbarra si alza su un altro mondo.

5 - MONGOLIA
5.1 PAESAGGI SCONFINATI

Le operazioni sono lunghe e piuttosto complesse. Polizia, dogana, militari, immigrazione. Gli addetti sono comunque gentili, anche se il tutto non mi pare il massimo dell’organizzazione e c’è abbastanza dispersione tra i vari uffici; certo questi mongoli mi paiono meno “freddi” dei russi. Qualche modulo indecifrabile (il mongolo è scritto in caratteri cirillici e l’altra lingua più diffusa è il russo, che per me è altrettanto incomprensibile), qualcuno in inglese; una vasca da attraversare con la moto per sterilizzarla (l’acqua copre oltre metà delle ruote); un colloquio col medico per assicurarsi che non abbia malattie (sulla cui utilità ho molti dubbi: la dottoressa si limita a chiedermi come sto), con una piccola tassa. Alla fine ottengo il via libera e, dopo due ore e mezzo di trafila, entro in Mongolia. Chiedo anche alla dogana mongola se chiude nel finesettimana e mi danno la stessa risposta dei russi; è sempre aperta, chiudeva solo fino a qualche anno fa. Cambio in moneta locale (tugrik) appena dopo il confine.

Sarà una mia impressione, sarà la lunga attesa, ma, superata l’ultima sbarra, inoltrandomi lungo la strada, ho davvero l’impressione di essere entrato in un altro mondo. Non so come descriverlo, ma ho la sensazione che, improvvisamente, il paesaggio diventi sconfinato; un grande altopiano, monti arrotondati sullo sfondo, presenza umana scarsissima, solo la strada che percorro, segnali stradali quasi nulli.

La Mongolia è nota come la “Terra del cielo blu”, per via dei 260 giorni di sole all’anno; evidentemente questo è uno degli altri 105, perché il cielo continua ad essere coperto ed anzi inizia a piovere.

La strada peggiora subito dopo il confine, pur essendo la principale della Mongolia (e una delle poche asfaltate); è ancora discreta, ma strettina, dall’asfalto piuttosto rovinato, qualche buca ogni tanto e i segni di riparazioni sommarie. Inoltre l’asfalto, anche a causa della pioggia, mi sembra particolarmente scivoloso e sono costretto a diminuire la velocità.

Piove a intermittenza, ma riesco comunque ad ammirare il paesaggio. Cominciano ad apparire le prime gher, le tipiche tende circolari mongole. La strada sale gradualmente da 700 m a 1.400 (Ulan Bator è a m 1.200), le montagne si ergono, non molto alte rispetto all’altopiano, con una forma arrotondata. Greggi di pecore attraversano, liberi, la strada; numerosi i bovini e le mandrie di cavalli, senza che io ne veda i custodi. Questa zona della Mongolia (il nord) è piuttosto verde, a causa della abbondanza di precipitazioni (che sto sperimentando sulla mia pelle).

Avvicinandomi a Ulan Bator, mi sembra che la presenza umana aumenti un po’; niente di particolare, solo un po’ più di gher e qualche rara costruzione fissa.

Ma ormai la concentrazione è quasi tutta sulla strada: la pioggia aumenta e il cielo è talmente scuro che, sebbene siano appena le 19, si fa buio come se il sole fosse ormai tramontato. La pioggia diventa forte, ormai è un diluvio e, all’ingresso della città, la strada si riduce proprio in condizioni disastrose. Come se non bastasse, arriva una cosa nuova per la mia breve esperienza in Mongolia: il traffico.

Dire che i mongoli guidano male sarebbe far loro un complimento: guidano proprio da cani! Capisco che, fino a pochi anni fa, quasi nessuno aveva l’auto; che negli ultimi anni c’è stata un’esplosione di vendite, soprattutto di grossi SUV, ma guidare dentro Ulan Bator è un’esperienza allucinante. Sembrano come bambini cui hanno appena regalato un giocattolo nuovo; guidano le loro auto da diverse tonnellate sembrando incuranti di quello che li circonda, senza frecce, con continui e improvvisi cambi di direzione, frenando bruscamente davanti ai citati rallentatori e poi invece affrontando in piena velocità buche pazzesche.

La mia moto, seppur grossa, quasi sparisce in mezzo a quei bestioni e devo adottare mille cautele per non restarne stritolato. No, qui dentro ci voglio stare il meno possibile, mille volte meglio la campagna e le montagne!

Quindi, entrato in città, tra buio pesto dovuto al cielo coperto (illuminazione molto scarsa), strade disastrose, pioggia forte, traffico convulso e disordinato, mi trovo davvero in difficoltà, peggio che sugli sterrati siberiani. Proprio all’ingresso della città, si trova un altro casello; all’addetto che, sotto la pioggia battente, si avvicina per il pedaggio, credo di fare una faccia talmente truce ed esasperata dalla situazione che si ritrae quasi immediatamente, facendo segno di passare, senza nulla pretendere. E vorreste pure essere pagati per questo?

Decido di lasciar perdere l’albergo scelto con cura in centro e, appena vedo un possibile alloggio, metto la freccia (la freccia, hai capito, brutto st####o col SUV che mi tampini a mezzo metro?! Tieni il tuo muso lontano dalla mia ruota!) e accosto. Si tratta di un bar-ristorante, ma ha anche qualche camera.

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