TRANSASIA
Via della Seta - Mongolia - Siberia
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14.6.2009 - domenica - giorno 5
Tosya (TR) (7.43) [+1] -
Erzincan (TR) (18.05) [+1]
km 565
viaggio h 10.22, guida h 7.29 |
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15.6.2009 - lunedì - giorno 6
Erzincan (TR) (7.29) [+1] -
Maku (IR) (19.07) [+1.30]
km 533
viaggio h 11.08, guida h 7.49
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Anche oggi pioggia! La strada si mantiene sempre in quota, oltre i 1.200 m, generalmente tra i 1.500 e i 2.000. Ad un valico a quasi 2.300 m la pioggia si trasforma in grandine; non c’è alcun riparo e non mi resta che proseguire.
Improvvisamente, lo avvisto. Letto, sognato, atteso; il biblico monte Ararat è davanti a me, con la vetta ricoperta da nevi perenni (m 5.165); sono a pochi chilometri dal confine con l’Iran (a est) e con l’Armenia (a nord). La bianca cima si staglia contro lo scuro cielo nuvoloso; a destra (est) della vetta più alta, vedo il piccolo Ararat (m 3.925). Bibbia, Genesi 8,4: e il diciassettesimo giorno del settimo mese, l’arca si posò su un monte della catena dell’Ararat. Vista magnifica.
Sono ormai alla fine della Turchia, sento che il viaggio sta per entrare nel vivo.
Solo 5’ per uscire dalla Turchia; adesso affrontiamo il primo Stato nuovo (per me) del viaggio, l’Iran.
3.4 IRAN
Il nome Iran evoca in molti inevitabilmente l’immagine di uno Stato fondamentalista, governato da fanatici ayatollah. Incontro però persone molto gentili, che mi assistono ben più dei loro colleghi turchi nelle pur complesse pratiche doganali. Su entrambi i lati della frontiera supero lunghe file di camion e di auto in attesa.
Tutta la procedura richiede circa un’ora, distribuita, come al solito in questi paesi, tra dogana, polizia e militari, in un ordine che ormai ho rinunciato a comprendere del tutto; semplicemente mi adeguo, ponendomi il problema, solo dopo ogni passaggio, di quale sia il successivo. Trovo un addetto molto gentile che mi accompagna nei vari uffici, assistendomi in quasi tutte le procedure; addirittura mi conduce anche allo sportello bancario, permettendomi quindi di cambiare già in frontiera i miei dollari (accettano comunque anche gli euro) in valuta locale (dal valore infinitesimale di 0,007 centesimi; ci vogliono quindi 13.500 rial per 1 euro).
In Iran presento il Carnet di Passaggio in Dogana, faticosamente (e a caro prezzo) ottenuto in Italia. Memore delle contraddittorie notizie ricevute in Italia, chiedo all’addetto se tale documento è necessario in Iran. Mi risponde che, per soggiorni fino a 10 giorni, è possibile stipulare, direttamente qui in frontiera, un’assicurazione con una compagnia locale; il costo, rapportato al valore della moto (nel mio caso € 9.000), dovrebbe essere di 200/250 euro: più del costo del Carnet presso l’ACI (€ 120 più la tessera), ma molto meno considerando anche il costo della fideiussione che ho dovuto stipulare in Italia (necessaria per ottenere il Carnet). A saperlo prima! Comunque perfino il sito del consolato iraniano in Italia scrive che il Carnet è necessario e non fa cenno a questo documento.
Curiosa la visita medica, che si risolve nella domanda “sta bene in salute?”, seguita da un “approfondimento” consistente semplicemente in un “ha per caso l’influenza suina?”.
Noto anche la, seppur rara, presenza di donne tra gli impiegati della frontiera: è l’addetta al controllo del mio Carnet, coperta da capo a piedi da un vestito nero, ma col volto scoperto.
La prima città è Bazargan, in realtà poco più di un villaggio, con l’atmosfera tipica dei posti di frontiera; decido di proseguire per la vicina e più tranquilla Maku (25 km).
I cartelli stradali trilingue (iraniano, turco e inglese) mi danno il benvenuto in Iran.
Ben più caloroso è il benvenuto degli iraniani; appena entrato a Maku, numerose moto di ogni tipo si affiancano alla mia, in un festoso inseguimento; è un susseguirsi incessante di saluti, sorrisi, tentativi di comunicare in qualche modo l’entusiasmo per la vista di un raro occidentale, ancora più raro perché in moto.
Ad ogni sosta sono circondato da persone; i motociclisti (soprattutto ragazzi) sono davvero entusiasti e chiedono di essere fotografati insieme a me e alla moto, oltre a fotografarmi con gli ormai universali telefonini. Le scene si ripeteranno in tutto l’Iran. A volte devo tenere a bada l’entusiasmo dei motociclisti, facendo capire che non è il caso che si affianchino troppo vicino alla mia moto, per motivi di sicurezza; nessun problema, comunque.
Appena arrivato a Maku, non ho alcuna difficoltà a trovare un albergo; in numerosi si offrono di indicarmelo, compresa la polizia locale che blocca il traffico per aiutarmi a compiere l’inversione di marcia sulla strada principale.
A proposito di traffico, una cosa devo sottolineare subito: in Iran praticamente nessuno usa le frecce; svoltano a destra o a sinistra (o si fermano) senza alcuna segnalazione; potrebbe anche essermene sfuggita qualcuna, ma non ricordo di aver visto una sola freccia in tutte le migliaia di chilometri necessarie per attraversare questo paese da ovest a est. Tenetene conto!
L’albergo non ha garage, ma, anche qui, nessun problema: l’addetto mi fa cenno di entrare nella reception, passando con la moto sui tappeti persiani. Supero un gradino con l’aiuto di una pietra e parcheggio la moto nell’ingresso; rifiuto di andare più avanti, per la presenza di un secondo gradino ben più alto.
La camera è spartana, senza bagno (in comune nel corridoio), ma dal prezzo irrisorio. Da qui in avanti capiterà spesso.
Vado in giro a piedi per il paese cercando un posto per cenare e dopo un po’ trovo un ristorante. Sono l’unico cliente (è già piuttosto tardi); la televisione è accesa e scopro di essere arrivato in Iran proprio il giorno dopo le elezioni presidenziali, combattutissime tra il presidente uscente (il conservatore Akmadinejav) e lo sfidante (il progressista Barzani): ha vinto Akmadinejav, ma i risultati sono fortemente contestati da molti. L’audio della televisione è ovviamente per me incomprensibile, ma le immagini sono significative: adunate oceaniche in piazza a Teheran, scontri dei manifestanti pro-Barzani con la polizia, auto incendiate, arresti, feriti per le strade.
Capisco di essere arrivato in un momento caldo, anche se qui, ai margini della Repubblica Islamica, lontani migliaia di chilometri dalla capitale, la situazione è tranquilla.
Il ristoratore ben presto comincia a sfogarsi, in un incerto inglese. Non ne può più degli ayatollah, mi fa capire con gesti significativi indicando un mullah di passaggio. Non sopporta più le imposizioni dei religiosi, la loro invadenza nella vita del paese. Sperava in un cambiamento, con la vittoria di Barzani, ma ora è profondamente deluso; mi racconta del fratello, emigrato in Canada. Mi dice che questo sentimento è molto diffuso tra la popolazione, che è davvero stanca della situazione.
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