TUNISIA
Il deserto vicino
Dopo tanti viaggi in Europa,
ho voglia di qualcosa di diverso: l'Africa e il deserto in
particolare.
L'Africa più vicina all'Italia
è la Tunisia, col Sahara lì, a portata di mano; e così, appena
mi ritrovo pochi giorni liberi, organizzo subito. Da soli
è facile, moto, tenda e via! La stagione è buona: fine marzo.
Non più freddo e ancora non caldo.
Arrivato a La
Goulette (il porto di Tunisi),punto
subito sulla capitale, ma non per visitarla: la mia destinazione
è il sud, il deserto.
E, andando verso sud, superata
la turistica Hammamet (ho mete più interessanti davanti
e quindi non ci dedico nemmeno un minuto), la prima meta da
non perdere è Kairouan.
Avvicinandomi alla città,
il terreno diventa sempre più arido: sto per lasciare
le fertili regioni del nord per inoltrarmi nel sud, prima predesertico
e poi desertico.
Kairouan è la 4^ città santa
dell'Islam, sede della più grande moschea dell'occidente.
Arrivato in città,cerco
subito la Grande Moschea; chiedo indicazioni ad un tunisino
in motorino che gentilmente mi accompagna.Questo
è solo il primo di una serie di episodi di cortesia
e disponibilità
dimostrata dalla gente del posto nei miei confronti, ogni volta
che chiedo indicazioni. Certo, aiuta anche il mezzo di trasporto,
la moto (che invoglia al contatto con la gente); oltre al fatto
che, in ogni posto in cui arrivo, desto davvero una "notevole
impressione", anche per il tipo di moto.
La Grande Moschea colpisce subito,
appunto, per le sue dimensioni: è imponente.Parcheggiata
la moto di fronte alle sue possenti mura,entro
nel vasto cortile, dominato dall'alto minareto.Sul
lato opposto, preceduto da un bel portico,è l'ingresso
alla parte interna della Moschea (inaccessibile ai non islamici).E'
una vera "foresta di colonne", con i pavimenti (e
le stesse basi delle colonne) completamente ricoperti di tappeti.
Il cortile, oltre che per la
vastità, è da segnalare per un ingegnoso sistema
di raccolta dell'acqua piovana (preziosa in questi posti),
utilizzata per le prescritte quotidiane abluzioni dei fedeli,e
per una meridiana.
Ripresa la moto ("sorvegliata"
da nugoli di ragazzini), costeggio il lungo perimetro fortificato
della moscheae
mi dirigo verso El Djem.
A El Djem è da visitare
il grande anfiteatro romano (il terzo per grandezza dell'antichità,
dopo Roma e Capua), che emerge sopra le basse abitazioni di
questa piccola cittadina, in un territorio semiarido.L'anfiteatro
è abbastanza ben conservato, tranne le gradinate che
sono in gran parte crollate.Interessante
anche il corridoio centrale sotterraneo.
Adesso basta visite a monumenti:
ho tanti km da fare verso sud, verso il deserto! Punto verso
Sfax, sul mare. Lungo la strada noto diversi banchetti che
espongono, appesi, agnelli appena sgozzati, pronti per il macello;la
cosa curiosa è che, accanto, girano tranquilli altri agnelli
dal destino segnato; non sarà il massimo dell'igiene
(a tacer d'altro), ma mi viene una gran voglia di carne arrosto.
Altri banchetti però attraggono
presto la mia attenzione. Espongono ... misteriose taniche:
piene di che? Resto un po' dubbioso, poi capisco: benzina!
A prezzo più basso del già economico prezzo ufficiale!Bene:
al prossimo pieno risparmio garantito.
Il terreno qui permette ancora
una certa agricoltura; km di file di ulivi si estendono nelle
campagne, tuttavia sempre più aride andando verso sud.
Superata Sfax, continuo costeggiando
l'ampio golfo di Gabes, dove arrivo alle 4 del pomeriggio:
ho solo due ore e mezzo prima del tramonto, che non voglio
mi sorprenda ancora in giro, in queste terre ormai desertiche;
continuo quindi verso sud, attraversando l'oasi di Gabes, che
si estende fino al mare.
Avvicinandomi a Medenine, comincio
a vedere i primi rilievi del sud. Ormai sono nell'arido
sud e, diretto a est verso l'isola di Djerba, la mia ombra
mi precede stagliandosi sulla sabbia.All'ennesimo
banchetto, mi fermo per fare benzina,la
prima volta in vita mia da una tanica. Uno straccio fa da filtro:
osservo divertito l'operazione di travaso. Anche i due addetti
guardano divertiti la moto.
Arrivo al lungo ponte di collegamento
all'isola di Djerba proprio al tramonto.
Djerba è un isola molto
turistica; perfetta se volete spiagge, palme e confortevoli
alberghi, ma non è certo la Tunisia più autentica;
mi attirava comunque come "meta geografica". Punto
deciso verso nord, verso il capoluogo Houmt Souk(con
l'interessante Moschea degli stranieri e la Fortezza sul mare
Borj el Kebir) e, dopo aver gironzolato un po' per le sue vie,
trovo un albergo comodo ed economico.Noto
nella camera una freccia:indica
la direzione de La Mecca, rivolto verso la quale ogni buon
musulmano deve, 5 volte al giorno, pregare.
Ripartito da
Djerba, mi dirigo stavolta verso il traghetto (per El Jorf),
tanto per non fare la stessa strada dell'andata.
In effetti, tra l'attesa e il
tempo della traversata, ci vuole circa lo stesso tempo che
passando per il ponte, anche se quest'ultimo costringe ad un
giro ben più lungo. Ma, come detto, lo faccio solo per
fare una strada diversa.
All'imbarco, noto una fila lunghissima,ma,
come spesso accade per le moto, mi fanno cenno di passare avanti,
e così supero un centinaio di veicoli in fila da chissà quanto
tempo.
A dir la verità, non
so quanto sia la moto e quanto l'abitudine mediterranea; ricordo
infatti alcuni motociclisti nordici ordinatamente in fila a
certi posti di frontiera dell'est Europa ...
Comunque non me lo faccio certo
dire due volte e mi piazzo in prima fila. Il prezzo del biglietto
del traghetto è talmente basso che nemmeno me lo ricordo.
Il tratto di mare da attraversare
è breve; sull'imbarcazione
sono presenti molti turisti.
Giunto sul continente,
punto direttamente su Medenine, verso sud.Passata
questa città (importante nodo stradale), dovrei puntare
verso sud, verso Tataoiune, ma decido di arrivarci non dalla
strada principale (la comoda P 19) ma da una serie di strade
secondarie più a ovest, che passano tra le montagne.
Ottima decisione.
I primi rilievi si stagliano all'orizzonte subito
dopo Medenine.Questa
è la zona berbera della Tunisia, dove sono presenti
alcuni villaggi dove ancora vive il popolo che abitava questa
terra prima dell'arrivo degli arabi.
Finalmente un po' di belle curve!Passo
quindi da una serie di villaggi berberi: Beni Keddache,Ksar
Hadada,Ghomrassen,con
la strada (in buone condizioni), che si insinua tra le montagne,
in un bel paesaggio semidesertico.Le
ottime condizioni meteo della zona (sole e assenza di pioggia
quasi tutto l'anno) e la spettacolarità dell'ambiente
fanno capire perchè questo territorio è spesso
scelto come ambientazione di diversi film (tra cui il famoso
Guerre stellari). E, non essendo ancora estate, la temperatura è assolutamente
gradevole.
Ogni tanto noto qualche ulivo
che ancora, ostinatamente, resiste nella terra arida, ma, andando
verso sud, la vegetazione diventa sempre più rada.
Dopo Guermessa,cerco
la strada che dovrebbe portarmi a Chenini, ma, benchè segnata
sulla mappa Michelin, non c'è. Più avanti ce
n'è un'altra, che (così mi viene detto da un
gruppo di ragazzi del posto) porta a Chenini; ma è poco
più di una pista, sterrata. Dopo averne percorso una
parte, decido che non è il caso di proseguire su questa
stradae
torno indietro, imboccando la comoda strada asfaltata verso
Tataoiune. Poco prima della città, svolto per Chenini.
La strada sale dolcemente,con
gruppetti di palme che ogni tanto interrompono l'aridità
del paesaggio.Alcune
belle curve lungo la salita un po' più ripida, mi portano
infine a Chenini.
Si tratta di un villaggio berbero,
che ha la particolarità di essere quasi completamente
scavato nella parete della montagna. Ma
c'è un'altra meta interessante, qui vicino; a meno
di due km, infatti, c'è la moschea dei 7 dormienti.
Riporto la storia indicata sulla targa all'ingresso (in francese,
arabo, inglese e italiano).
C'era una volta un paese
nel cuore del deserto chiamato "Le sorgenti". Un
mare tropicale pescoso addolciva il clima e una densa foresta
faceva la felicità dei dinosauri che l'abitavano.
La leggenda racconta che i sette dormienti, citati anche
nel Corano, si rifugiarono in una grotta per sfuggire ai
loro persecutori. Due secoli più tardi si svegliarono.
Il loro corpi si erano allungati di qualche metro e fuori
tutto era cambiato. Decisero allora di ritornare alla grotta
e dormirvi per sempre.
A differenza della vicina Chenini
(piena di bus di escursionisti e affollata di turisti), non
c'è nessuno.
Visito la piccola bianca moschea,le
mitiche tombe dei giganti.
All'uscita non posso esimermi
dalle solite foto ricordo con i ragazzi del posto.
Continuo a sud di Chenini, tra
oasi e deserto,e
dopo un po' incontro una tempesta di sabbia; non è molto
forte e non mi crea molti problemi.Poco
prima di Douiretla
strada mi riporta verso nord e infine, dopo qualche altra bella
curva,torno
alla strada principale presso Ksar Ouled Debbab.
A questo punto dovrei tornare
verso nord, verso Tataoine e Medenine, ma voglio prima fare
un'altra puntata verso sud, verso Remada e il confine (invalicabile,
senza tutti i permessi) con la Libia.
Raggiungo così i 32° 46,880',
il punto più a sud con la mia moto.Questa
strada per la Libia è percorsa da camion stracarichi,
che sbandano visibilmente per il forte vento.
Giro la moto e torno verso nord.
La strada è scorrevolee
ben presto raggiungo Tataouiune, dove effettuo il secondo rifornimento
con le taniche.
Continuo verso nord e, arrivato
a Medenine, prendo la strada per Metameur e Matmata.
Prima però, dopo aver
rifornito la moto, ho bisogno di rifornirmi io: è da
quando ho visto quegli agnelli appesi che mi è rimasta
la voglia di carne arrosto; quindi, appena vedo qualcuno che
arrostisce carne sul bordo della strada (tra Medenine e Metameur),
mi fermo. Dopo
l'ottimo arrosto, la mancia è sostituita dalla foto
ricordo del cuoco sulla moto.
Adesso però devo ripartire:
sono in ritardo sulla tabella di marcia e non sono sicuro di
arrivare in tempo (prima del tramonto) a Douz, dove ho programmato
di campeggiare.
Percorro la strada tra Metameur
e Matmata: è molto bella, tra le montagne, con un buon
asfalto e paesaggi spettacolari.Dopo
qualche km arrivo al villaggio di Toujene, molto caratteristico,
con le sue case in pietra abbarbicate sulle pendici della montagna.Continuando
verso Matmata, la strada è sempre più bella,
invogliando anche a qualche piega;devo
ricordarmi che però che, ogni tanto, incrocio qualche
gregge.
A Matmata è imperdibile
la visita alla caratteristiche abitazioni scavate nella roccia,
sotto il livello del terreno. Si tratta di crateri, scavati
nel terreno. Dopo sono scavati, come spiegano i disegni presenti
nella casa,un
corridoio di ingressoe,
intorno al cratere, le varie stanze. Il cratere funge da cortile
centrale, con un albero e un pozzo.
In queste abitazioni sono state
girate diverse scene del famoso film "Guerre stellari".
Tornato in superficie, osservo
i diversi livelli abitativi: quello sotterranea e quello "di
sopra".
La visita è stata molto
interessante, ma è tardi, e non so se riuscirò ad
arrivare stasera al campeggio di Douz, come da programma, anche
perchè prima voglio raggiungere Ksar Ghilane.
Cosa c'è a Ksar Ghilane?
Quasi nulla, ma voglio arrivarci più per la strada da
fare che per il posto da raggiungere. Ksar Ghilane rappresenta
il
"punto estremo" che posso raggiungere, il limite
per le possibilità
della moto.
Ed eccola, improvvisa, sulla
strada principale compare l'indicazione per Ksar Ghilane, a
sinistra (km 78).Da
qui parte una strada, asfaltata solo l'anno scorso (infatti
la mia carta del 2007 ancora la segna sterrata, ma sapevo da
fonte certa che era asfaltata).
La strada è suggestiva;
si inoltra nel deserto, con le dune ben visibili sul lato
destro; la parte veramente asfaltata è piuttosto stretta, è in
gran parte rettilinea e presenta numerosi dossi. La percorro
col sole che ormai è basso alla mia destra, proprio
mentre infuria una tempesta di sabbia che, in certi punti,
fa quasi scomparire l'asfalto, ricoperto da uno strato (sottile,
per fortuna) di fine sabbia del Sahara. E' entusiasmante percorrerla,
velocemente, sentendo la moto quasi volare sui numerosi dossi,
con la sabbia che ormai penetra dovunque, sotto il casco e
nel giubbotto.
Ogni tanto devo fare attenzione
a qualche curva, ma basta rallentare un po'.
Non incontro quasi nessuno,
tranne qualche fuoristrada che torna da Ksar Ghilane; nessuno
che ci va, data l'ora tarda. Devo però prendere una
decisione; ormai mi rendo conto che non farò in tempo
a tornare indietro prima del tramonto e, come se non bastasse,
un altro problema si presenta: sono in riserva (autonomia
al massimo 60 km), quindi devo necessariamente trovare benzina
a Ksar Ghilane, altrimenti in quel posto ci resto. E dovrò anche
trovare da dormire, ma questo è un problema secondario:
adesso la priorità
è la benzina. Fermo un fuoristrada che mi viene incontro
e chiedo informazioni. Bene! Mi assicurano che a Ksar Ghilane
ci sono i soliti bidoni. Non chiedo per il dormire, mi basta
arrivarci.
Pochi km prima di Ksar Ghilane,
la strada piega bruscamente a destra (attenzione, se arrivate
da 60 km di rettilineo ad alta velocità) e mi trovo
col sole, ormai basso, proprio negli occhi, con l'aggiunta
della sabbia della tempesta che continua. Ma ormai manca poco
e continuo.
E infine, col sole ormai basso,
arrivo a Ksar Ghilane. La
strada finisce di colpo, praticamente nel nulla.C'è
solo un piccolo villaggio di beduini.
Per prima cosa, cerco la benzina:
chiedo in giro, ma non ricevo indicazioni chiare, anche
se vedo dei bidoni di carburante, senza però nessuno
accanto. Mi insabbio anche, girando nel villaggio (di asfalto
non c'è nemmeno l'ombra), ma riesco ad uscirne. Alla
fine trovo il posto giusto e faccio il sospirato pieno alla
moto.Piccola
sorpresa negativa: qui, a differenza degli altri punti di rifornimento "volanti",
la benzina costa molto più cara della stazioni di
servizio ufficiali: mi viene poi spiegato che è dovuto
ai costi di trasporto, per i luoghi di rifornimento, come questo,
posti nel deserto. Comunque ho speso meno che in Italia.
A questo punto, devo pensare
a dove dormire; in Italia mi hanno detto che forse qui c'è
un campeggio. Chiedo e, per fortuna, il campeggio c'è.
Ma c'è un problema: "e lì, nell'oasi".
Guardo verso l'oasi: due km di pista di sabbia mi separano
dall'oasi!
Vabbè, proviamo anche
questa! La ruota posteriore della moto derapa in maniera impressionante;
più volte mi insabbio, ma fortunatamente riesco ad uscirne.
Giungo infine al campeggio.Di
fronte all'ingresso vedo diversi autoveicoli,
tutti fuoristrada: loro non hanno di certo avuto problemi per
percorrere questi ultimi due km! Nessuna moto: l'unico "pazzo" sono
io.
Per la prima volta in vita mia,
pianto la tenda sulla sabbia.
Il campeggio è ben organizzato;
tende beduine a disposizione degli ospiti, ristorante, piscina
(anche se ancora vuota).
C'è una gran pace e il
cielo, nel deserto, sembra avere milioni di stelle.
La prima notte in tenda
nel deserto è
passata tranquilla. Non ho pensato a quello che ho letto nelle
guide (presenza di serpenti e scorpioni velenosi nelle aree
desertiche.
Sono esaltato
da questo mio campeggiare nel deserto e sono contento di
aver portato con me la tenda anche in questo viaggio, dopo
che, in un primo momento, vista l'economicità degli
alberghi in Tunisia, avevo pensato di lasciarla a casa. Ma
campeggiare in tenda non
è solo una questione di costi, è anche una scelta
di libertà;
è il potersi fermare, ovunque, senza dover dipendere
da nessuno. E' il completamento ideale (secondo me) di un
viaggio in moto.
Il campeggio è abbastanza
frequentato, ma non può certo dirsi affollato; diversi
camper, pochissime tende; molti fuoristrada, nessuna moto.
A Ksar Ghilane è interessante
da vedere il forte, situato a pochi km (verso il deserto),
e raggiungibile con dei fuoristrada con delle guide del posto.
Uscito dal campeggio affronto
nuovamente i due km di sabbiaper
tornare al villaggioe
alla strada.
Oggi la tempesta di sabbia è finita
e affronto tranquillamente i 70 km per tornare sulla via principale.
Guardo a lungo le dune del deserto accanto a me, lungo la strada
... deserta.Noto
anche delle specie di siepi, costruite sulla sommità della
dune, forse per proteggere la strada dalla sabbia.
Tornato sulla via principale,
dopo aver evitato qualche cammello che, incurante dello scarso
traffico, attraversa la strada,dirigo
verso Douz, lungo un tratto semidesertico.
Ed infine eccola, l'oasi di
Douz, con le sue 300.000 palme produttrici di ottimi datteri.Ma
non è ai datteri che penso adesso, bensì alla
famosa "porta del deserto", posta alla fine
dell'oasi.
E' una porta "sul nulla".
La strada finisce davanti ad essa e, affacciatisi dall'altra
parte, si è ... "nel Sahara"; direttamente,
senza transizione.
Sul
"lato deserto", sono presenti delle gradinate, probabilmente
per accogliere gli spettatori in occasione di spettacoli.Un
gruppo di cammelli a pochi metri.Davanti
a me comincia l'immensità del nulla; niente strade oltre
questo punto.Guardo
davanti a me e penso a quanto ancora ho da esplorare su questa
Terra, quanti luoghi che non potrò mai raggiungere,
ma che mi accontento di vedere almeno un po'. E penso a quanti
posti ancora, per fortuna, possono essere definiti
"deserti".
Mi dirigo quindi verso il centro
della città,fermandomi
nella piazza principale, attorniata da negozi.
Uscito da Douz, punto verso
nord; attraverso distese semidesertiche, punteggiate di alcune
oasi;a
un certo punto vedo una pattuglia di polizia: mi fanno cenno
di fermarmi, ma non è per un controllo. Infatti, al
mio cenno di mostrare i documenti, se ne disinteressano completamente.
Vogliono solo chiacchierare, e ammirare la moto. Anche loro
sono in moto. Sono estremamente cordiali e facciamo anche una
foto ricordo.
Continuo verso nord-ovest e
mi avvicino al grande lago salato dello Chott el Jerid. Si
tratta di un'ampia superficie (lungo circa 150 km da ovest
e est e largo 70), una volta occupata da un lago, adesso quasi
completamente secca. Una crosta di sale lo ricopre, interrotta
in qualche punto da pozze salmastre.
La strada lo attraversa con
un lungo rettilineo di 50 km, leggermente rialzato rispetto
alla sua superficie. E' impressionante vedere questa vasta
distesa perfettamente piatta, senza nessun segno di vita, per
decine di km tutto intorno. A nord, lungo l'orizzonte, cominciano
a vedersi le montagne dell'Atlante, presagio della montuosa
parte settentrionale della Tunisia che mi accingo ad esplorare,
dopo due giorni nelle regioni del sud.
Qualche spartano bar lungo
la strada.Quando
attraverso regioni così inospitali e prive di risorse,
penso a cosa significava viaggiare prima, senza i potenti mezzi
della tecnologia odierna; cosa voleva dire percorrere questi
territori a piedi, o anche solo a cavallo. Oggi, in pochi
minuti o al massimo in qualche ora, posso attraversare un paese;
prima, le distanze si misurava in giorni.
Ad un certo punto compaiono
delle pozze salmastre, dovute soprattutto alla presenza del
terrapieno della strada, che impedisce la circolazione superficiale
sotto lo strato di sale.
Finito lo Chott el Jerid, riprendono
le oasi.Arrivo
quindi a Tozeur.
Interessanti a Tozeur i muri
degli edifici (dalla moschea alla semplice abitazione) sui
quali i mattoni sporgenti disegnano come dei merletti.
A ovest di Tozeur c'è Nefta:
vale certamente la deviazione, per la sua eccezionale oasi,
davvero unica. Infatti è posta sotto il livello del
terreno circostante (catino della Corbeille) e quindi è possibile
ammirarla all'interno della città, dall'alto.
Arrivato a Neftaentro
in città e cerco il passaggio verso l'oasi; non chiedo
indicazioni e tiro un po' a indovinare, puntando dritto verso
sud. Mi ritrovo così, nel centro storico della città,
in mezzo a vie sempre più strette, al punto che, ormai,
non posso più
fisicamente girare la moto e tornare indietro.Per
fortuna dopo un po' arrivo ad uno slargo, da dove posso ammirare
il catino della Corbeille, con l'oasi.Bellissimo.
L'oasi si estende alcuni km oltre la città ed è l'ultima
prima del confine con l'Algeria: è bello girare per
le sue tranquille vie.
Girata la moto, mi rituffo nelle
viuzze del centro, e riesco a venirne fuori.
Dopo Nefta dovrei tornare verso
Tozeur e poi a nord, verso le montagne dell'Atlante. Ma non
voglio ancora lasciare le regione dell'arido sud e inoltre
mi attira l'idea di dirigermi verso l'estremo ovest, vicino
alla proibita Algeria. Poche settimane fa in queste zone sono
stati rapiti alcuni turisti inglesi col loro fuoristrada. E
infatti questa zona è considerata pericolosa, a causa
delle infiltrazioni dei terroristi islamici dall'Algeria, che è oltre
un vicino confine segnato solo sulla carta, ma in pratica,
deserto.
Decido quindi di dirigermi
verso il confine; noto che in questa zona i controlli di polizia
diventano ben più stringenti che nel resto del paese.
Subito dopo Nefta un posto di blocco mi ferma e mi controlla
(seriamente) i documenti. Mi chiedono dove sono diretto e
io rispondo che vado a ovest, verso il confine, finchè possibile:
poi tornerò indietro. Non so se
hanno capito, ma comunque mi fanno passare.
La strada per il
confine attraversa un territorio ai limiti del deserto. Dopo
l'oasi di Neftala
sabbia la fa da padrona.A
Hezoua (uno di quei posti in cui mi pongo la domanda: ma la
gente qui di cosa vive?)raggiungo
il posto di frontiera con l'Algeria. Arrivato alla sbarra di
confine, dietrofront.Ma
ci sarà un giorno in cui si potranno superare senza
problemi tutte queste frontiere?
Tornando verso Nefta, noto,
ai lati della strada, delle siepi o recinzioni: serviranno
a proteggere dalla sabbia del deserto o come recinti per cammelli?
Ripassato da Tozeur,dirigo
verso nord, verso le montagne. Sulla strada mi imbatto in un'altra
tempesta di sabbia,superata
comunque senza grossi problemi. Sono gli ultimi "attacchi"
del deserto: ormai sono vicino alle montagne e ben presto arrivo
alle prime "oasi di montagna" (Chebika). La
strada quindi comincia a salire, in un paesaggio ancora desertico.
Poco a sud di Tamerza, un'oasi
particolare; al suo interno, infatti, c'è una cascata.E'
davvero piena di sorprese l'area desertica della Tunisia, con
le sue numerose oasi e ora questa, con al suo interno addirittura
una cascata!
Nell'oasi di Tamerza c'è un
campeggio; dopo averlo trovato, visto che ancora mancano
tre quarti d'ora al tramonto, decido di andare nella vicina
Mides, dove c'è un'altra oasi di montagna e (forse)
un campeggio. Se non lo troverò potrò sempre
tornare qui per passare la notte.
Nella luce del sole ormai basso,
salgo tra le montagne al confine con l'Algeria: non c'è nessuno,
la strada è tutta per me.Ma
anche qui (come più a sud stamattina), i controlli della
polizia si fanno più stringenti. Ad un incrocio, infatti,
mi fermano ad un posto di blocco e controllano con attenzione
i documenti. Sono sempre molto gentili; capisco che lo fanno
per controllare eventuali infiltrazioni di terroristi islamici
dall'Algeria, mai vicina come adesso. Infatti sono ad appena
un km dal confine, confine che, qui, in pratica non esiste,
essendo solo montagne e deserto, quindi facilmente "permeabile".
Saluto i poliziotti ed entro
a Mides, con la sua oasi di montagna.Nella
piazza accanto all'oasi una persona si offre di accompagnarmi
per visitare i dintorni, ma è troppo tardi ormai, col
sole che sta per tramontare.Scopro
che il campeggio è stato chiuso l'anno scorso, a causa
della scarsità di turisti.
Peccato: è un bel posto
per passare la notte, in quest'oasi tra le montagne. Vuol dire
che tornerò a Tamerza.
Il sole infuoca le montagne
mentre scendo a Tamerza, affrettandomi per giungervi prima
del buio ormai imminente.
A Tamerza il campeggio è
il più piccolo che abbia mai visto: praticamente il
giardino di un'abitazione! Mi accolgono comunque con cortesia
e curiosità.Viste
le scarse risorse del posto (nonostante l'insegna Camping-Restaurant-Cafè),
mi cucino da solo.
La mattina,
dopo aver fotografato la mia moto che sembra essersi messa
in posa sotto una palma come il logo della mia rivista preferita,parto
verso nord.
Intendo attraversare
tutta la parte nordoccidentale della Tunisia, attraverso
la catena montuosa dell'Atlante.
Inizialmente per la verità,
punto verso est, verso Gafsa. Il paesaggio è ancora
semidesertico, ma reso vario delle montagne attraversate.Il
traffico quasi nullo e il buon asfalto permettono di apprezzare
anche la "guidabilità" della strada.
Dopo l'oasi di Gafsa, la strada
piega decisamente verso nord. Da questo punto, ogni km percorso
in quella direzione, il paesaggio diventa sempre meno arido
e i campi coltivati aumentano, grazie alle precipitazioni maggiori
che aiutano l'agricoltura.
Le strade sarebbero buone, se
non fosse che spesso ne trovo alcune in completo rifacimento,
con conseguente abbondanza di polvere, terra e sassi.Attraverso
diverse città, come Ferianae
Thala,poste
a notevole quota (Thala è a m 1.017)
.
(Episodio della fotocamera rubata)
Continuando verso
nord, incontro la Table de Jugurta,
una spettacolare montagna (m 1.271) dalla sommità piatta,
che prende il nome da un re della Numidia del II sec. a.C.,
sconfitto dai Romani.
Per raggiungerla devo compiere
una deviazione di 30 km dalla strada principale, ma ve vale
assolutamente la pena.
A proposito della deviazione,
anche qui mi rendo conto che alcune zone della Tunisia presentano
qualche cautela da adottare in più. La deviazione verso
le Table de Jugurta porta a pochi km dalla frontiera con l'Algeria,
frontiera che anche qui è poco più di un segno
sulla carta, senza vere barriere naturali. Al momento in cui
giungo all'incrocio dove abbandono la strada principale, noto
la solita pattuglia della polizia (presente in molti incroci)
che però in questo caso prende buona nota del mio passaggio
(senza nemmeno fermarmi). All'arrivo al paese, un altro poliziotto
controllerà la mia presenza e la riferirà ai
colleghi al momento in cui ripartirò da lì per
tornare alla via principale: un turista entrato, uno uscito.
Come per dire: "non ne abbiamo perso nessuno". Ricordo
infatti che, pochi giorni fa, in queste zone una coppia di
turisti inglesi (in auto fuoristrada) è stata rapita
da terroristi di Al Qaida, infiltratisi dall'Algeria.
Sono ancora a diversi km dalla
Table de Jugurta, ma già si vede, inconfondibile,
con quell'ampio pianoro sulla sommità.Arrivo
infine al paese che sorge alla base della montagna, Kalaat
Es Senan.Da
qui comincia la salita, prima asfaltata,poi
sterrata.Il
panorama è spettacolare: lo sguardo spazia libero fino
alla vicina Algeria e sulle montagne vicine tutto intorno.
Devo però pensare anche alla strada e alle limitazioni
intrinseche della mia moto: aver fatto pochi mesi fa lo sterrato
dell'interno dell'Islanda non mi autorizza a continuare
impunemente, su una strada che diventa sempre più dissestata.
Fermata la moto, continuo qualche
metro a piedi per vedere com'è la situazione dietro
il prossimo tornante: non buona, ma posso ancora continuare,
almeno un po'. Un amico in Italia mi ha detto che posso arrivare
in moto fino in cima, ma preferisco controllare certe informazioni,
anche perchè lui ha un enduro, io no di certo. I locali
mi danno indicazioni contrastanti, decido quindi di continuare
finchè quello che vedo mi dà un minimo di sicurezza. Ormai
sono a pochi metri dalla cima, ma
la strada diventa davvero impossibile e, in caso di caduta,
data la notevole pendenza, rischierei davvero di provocare
seri danni alla moto, oltre che di farmi male. Mi fermo qui.
Incontro un gruppetto di ragazzi
che stanno scendendo, che mi confermano che dopo la strada
peggiora ancora. Quota 1.050, circa 200 metri sotto la cima.
Ma è comunque un posto spettacolare.
Girata la moto (non senza difficoltà,
vista la precaria posizione), comincio la discesa, prudentemente,fino
a tornare al sicuro asfaltoe
al paese di Kalaat Es Senan.
Qui mi ristoro, festeggiando
lo scampato pericolo dello sterrato con un buon pranzo (per
i soliti pochi euro): nei minuti in cui sono fermo a mangiare
una piccola folla si raduna intorno alla moto, che è bersaglio
di continue foto (i telefonini con fotocamera integrata sono
arrivati anche qui, e diversi ragazzi li sfoggiano).Ricevo
anche la visita del poliziotto del paese, che discretamente
si assicura che tutto proceda bene, comunica la mia partenza
ai colleghi incontrati prima sulla strada principale e mi scorta
(lui su un motorino, quindi rallento per non lasciarlo indietro)
fuori dal paese.
La strada continua veloce verso
nord, attraverso un paesaggio ormai decisamente più
verde, ricco di campi coltivati.
Passo da El Kef,vicino
all'antica città romana di Dougga e
infine, dopo Tesour, imbocco l'autostrada (gratuita) verso
Tunisi, gradita perchè ormai si è fatto
tardi e il sole sta per tramontare.
A Tunisi ho qualche difficoltà
a trovare la strada per il porto (La Goletta, la segnaletica
non è il massimo della precisione), ma, dopo qualche
giro vizioso, ci arrivo e mi presento all'imbarco con un
buon anticipo.
Nell'attesa
del traghetto, trovo molti fuoristrada (auto e moto) che rientrano
in Italia.
Sono stati pochi giorni (appena
4 in Tunisia, 7 compresi i trasferimenti e i traghetti), ma
sono soddisfatto: ho scoperto un paese che, seppure già visto
più volte (ma non in moto), mi ha regalato tante emozioni,
a conferma del fatto che viaggiare in moto è proprio
un'altra cosa.
|