Oggi ho pianto.
Non ho pianto quando visto la mia faccia devastata dall'incidente,
ridotta a una maschera di sangue.
Non ho pianto quando il dottore ha cucito il mio volto con quindici punti, uno dopo l'altro, trafiggendo la mia carne.
Non ho pianto quando ho visto il mio naso spostato, da una forza immensa, di netto a destra,
e il dottore cercava di ridurre la frattura con le sue mani.
Non ho pianto mentre il collare mi immobilizzava per ore, quasi togliendomi il respiro,
e la mia schiena implorava sollievo dalla dura lettiga, dove ero bloccato.
Non ho pianto quando ho visto il dolce volto di mia moglie, giunta di corsa da 300 km,
rabbrividire per un attimo e subito dopo farsi triste vedendomi.
Non ho pianto quanto ho visto il viso di mia figlia,
brutalmente sottratta alla sua felice vacanza e messa di fronte alla sofferenza del padre.
Non ho pianto, prima, quando, riverso sull'asfalto, ho sentito il sangue colare caldo dalla mia testa,
bagnare il mio collo e la maglietta, scendendo fino alle mie mani.
Non ho pianto quando ho dovuto subire il catetere in ospedale o
quando l'ennesimo ago ha forato le mie carni,
quando l'infermiere non riusciva più a trovare un punto adatto per bucare.
Ho pianto, invece, quando il dottore mi ha guardato con aria seria e mi ha detto che
non era sicuro che avrei riacquistato l'uso della mia mano.
Ho pianto quando, alla mia immediata domanda:
"Dottore, per me la mano sinistra significa leva della frizione: niente mano funzionante, niente moto!",
ho visto il dottore esitare e scuotere la testa.
Ho pianto quando ho pensato alla mia vita senza moto.
Ho pianto quando ho pensato alle strade percorse:
alle steppe della Mongolia, alle foreste della Siberia, alle città del Giappone,
alle vette delle Alpi e dell'Himalaya, ai deserti dell'Africa e dell'Australia,
alle genti del Medio Oriente, dell'Iran, dell'India.
Ho pianto pensando alle terre attraversate e a quelle da attraversare,
all'America che mi aspetta per essere percorsa da sud a nord,
all'Africa da esplorare, a tanti altri posti da vedere.
Ho pianto quando ho pensato al fresco vento sulla mia pelle,
alla pioggia battente sulla mia tuta,
al freddo e al caldo percepito dal mio corpo durante un giro in moto.
Ho pianto quando ho pensato a quella sottile, inebriante, fantastica, leggera vertigine
che ti prende quando la moto inizia a piegare,
quando senti la gomma afferrare la strada,
quando avverti il dolce e insieme brutale, sublime, sussulto che il motore dà a tutto il tuo corpo durante una violenta accelerazione.
Ho pianto, quando ho pensato a tutto questo,
quando ho pensato che tutto questo forse non lo avrei più potuto rivivere.
No, la mia vita senza moto non riesco proprio a immaginarla.
Ma ora non mi resta che aspettare e sperare. |